La Stampa 25/01/2008, SARA RICOTTA VOZA, 25 gennaio 2008
Tramonta l’età dell’oro di Famiglia Cristiana. La Stampa 25 gennaio 2008. MILANO. Sei piani più giardino e palazzine interne, reception elegante, spazi ampi e vetrate
Tramonta l’età dell’oro di Famiglia Cristiana. La Stampa 25 gennaio 2008. MILANO. Sei piani più giardino e palazzine interne, reception elegante, spazi ampi e vetrate. Gusto Anni Settanta, ma di qualità. La sontuosa sede di Famiglia Cristiana a Milano è figlia di un miracolo italiano dell’editoria, non solo religiosa. Il settimanale «venduto sul sagrato» tirava oltre un milione di copie a settimana e macinava utili da reinvestire, per esempio, in questo spazio che ospita anche gli altri periodici San Paolo. Da un po’ di anni quei fasti son lontani e anche per l’ammiraglia dei Paolini si pronuncia apertamente la parola crisi. Due milioni di euro persi nel 2007 assieme a 27 mila copie. E più indietro si va, più i confronti diventano impietosi: 26 milioni di euro e 300 mila lettori persi per strada dal ”99 a oggi. Troppo per i dirigenti della Società San Paolo, preti manager in giacca e cravatta che qualche giorno fa presentano ai giornalisti un «Programma di interventi per superare la situazione di crisi economica». E scoppia il finimondo. Il «Programma» prevede infatti la chiusura delle sedi di Roma, Torino, Venezia e Bologna e il trasferimento a Milano di 14 persone. Quattordici «famiglie cristiane» in carne e ossa che entro maggio devono riorganizzarsi. La redazione si riunisce in assemblea e rigetta il documento come «irricevibile». Poi chiede – entro oggi - un incontro con la proprietà e minaccia uno sciopero di 20 giorni. guerra o quasi, insomma, in quegli ovattati uffici in cui negli stessi giorni si è saputo casualmente – per intercettazione di una newsletter interna – anche della sostituzione del direttore del mensile Jesus don Vincenzo Marras col confratello don Antonio Tarzia, oggi al Giornalino. Motivo? Si dice, una certa propensione a trattare temi caldi, retroscena, inchieste. Pare che tempo fa la rivista abbia fatto saltare sul seggio qualche vescovo per un ritratto da bravo parroco di don Vitaliano della Scala, più noto (e poi sospeso a divinis) come prete no-global. A Famiglia Cristiana i giornalisti si attengono al documento sindacale, il direttore don Sciortino pare stia abbottonatissimo anche coi suoi più stretti collaboratori e la proprietà si affida all’amministratore unico della galassia editoriale San Paolo (periodici, libri, librerie, radio e due tivù locali), don Vito Fracchiolla. Ma che succede? Off the record qualcuno si sbottona e paventa un «ritirarsi nell’ambiente ecclesiale e un ripiegamento sulla congregazione». Che vuol dire? Che Famiglia Cristiana si è via via «normalizzata» e non è più la nave corsara che preoccupava un po’ le alte sfere ecclesiastiche ma piaceva al cattolicesimo più progressista? Forse. Altre voci parlano di un piano Cei di salvataggio e di una fusione con Avvenire per accedere all’8 per mille. Altre ancora prospettano la nascita di un network cattolico globale sorvegliato in Vaticano dal cardinal Bertone. Voci. A cui don Fracchiolla risponde ricevendoci in sala riunioni. Sull’autonomia a rischio: «Ci può essere collaborazione fra noi e il Vaticano, fra noi e la Cei, ma che questo venga visto come l’ingresso in un’orbita di fusione, no. Sarebbe impensabile svolgere la missione congregazionale diretti dalla Cei». Sulle sedi chiuse: «La comunicazione va verso il digitale. Per questo, fermo restando che a settembre rilanceremo il giornale, abbiamo deciso di convogliare le risorse su Milano per offrire al lettore anche un sito molto interattivo». Uscendo incontriamo don Leonardo Zega, l’ex direttore da un milione di copie, quello dei Colloqui col Padre dalle posizioni aperte in materia sessuale, rimosso esattamente dieci anni fa, nel ”98. Con fair play riconosce che anche lui oggi farebbe fatica in un mercato dove «l’attenzione si è polarizzata fra la faziosità politica e il gossip». E poi «quando c’era lui» c’era anche la Dc, le chiese erano affollate e un esercito di «delegati della buona stampa» allestiva banchetti all’uscita della Messa. Lorenzo Rota è il loro responsabile per le 1107 parrocchie della diocesi di Milano: «Famiglia cristiana arriva dappertutto, ma c’è meno gente che va a Messa». E i parroci, la leggono? «Molti si fregiano di non leggere i giornali cattolici», ammette don Davide Milani, responsabile Comunicazioni sociali della diocesi ambrosiana. «In fondo se si cercano informazioni di Borsa si compra il Sole, non Avvenire, e allora perché le cose della Chiesa non raccontarle anche noi, non sostenere un po’ la nostra voce?». SARA RICOTTA VOZA