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 2008  gennaio 25 Venerdì calendario

«Divenni la Marianna del ’68 Oggi le modelle vanno a destra». Corriere della Sera 25 gennaio 2008

«Divenni la Marianna del ’68 Oggi le modelle vanno a destra». Corriere della Sera 25 gennaio 2008. MAINNEVILLE (Normandia) – E’ la storia di una fotografia scattata per caso e diventata icona di un’epoca. Come il Che nella Cuba rivoluzionaria o il partigiano di Cartier- Bresson nella guerra di Spagna. Il 13 maggio 1968, Caroline de Bendern, bellissima indossatrice di nobili origini inglesi (è nata a Windsor), partecipa a un altro genere di sfilate: quelle degli studenti parigini che occupano la Sorbona, si scontrano con la polizia del presidente de Gaulle, lanciano pietre e slogan indimenticabili: «proibito proibire », fate l’amore, non la guerra », «siamo realisti, chiediamo l’impossibile». A cavalcioni sulle spalle di un compagno, capelli corti e frangetta, sguardo altero, agita una bandiera del Vietnam sullo sfondo del quartiere Latino. Forse lo spirito del Sessantotto è morto, forse i sessantenni di oggi devono scegliere fra nostalgie proustiane e senso del ridicolo, ma quella foto fa il giro del mondo, insegue anniversari e generazioni, fissando nella memoria ideali e spirito del tempo. Oggi Caroline deve aggiungere al quarantennale i suoi ventotto anni di allora e fa giusto sessantotto. Ben portati, con serenità e orgoglio di essere stata molto bella. Si è ritirata a Mainneville, villaggio di trecento anime nelle pianure brumose della Normandia. Casa di campagna, in cui passato e presente si fondono in un disordinato salotto- museo. Un «book» con le copertine di Vogue e Amica, piano elettrico e tamburi del suo attuale compagno, il jazzista Jacques Thollot, libri e dischi sparsi un po’ dovunque, ritagli, tanti ritagli del Maggio glorioso: Life, Paris Match, L’Espresso. Ritagli che la resero famosa, ma che, suo malgrado, le stravolsero la vita. Ricorda, con tono malinconico e divertito: «Ero una bella mannequin, senza opinioni politiche e con tanta voglia di vivere. Viaggiavo fra l’Italia, Parigi e New York, frequentavo fotografi, gente del cinema, artisti, come Andy Warhol. Ho avuto un flirt con Lou Reed. Ero soprattutto una fortunata ereditiera. Mio nonno era ricco, imparentato con la corte austriaca, si dice fosse discendente illegittimo di un nobile austriaco, Hirsch, diventato barone sotto l’imperatore Francesco Giuseppe. La regina Vittoria riconobbe il titolo in Inghilterra. Dopo la separazione dei miei genitori, fu lui a occuparsi del mio futuro. Studiavo musica e buone maniere. Mi mandò a Vienna, nella speranza di combinare un matrimonio di rango. Ma non ero fatta per quella vita. Avevo voglia di viaggiare, conoscere il mondo. Cominciai a lavorare nella moda e lui, per farmi rinsavire, mi tagliò i viveri. In Francia, nell’inverno del ’67, ero ospite di una zia. Di giorno in posa. La sera frequentavo pittori, musicisti, intellettuali. Volevo darmi al cinema. E così arriviamo alla manifestazione del 13 maggio, place Edmond Rostang, vicino al giardino del Luxembourg... ». Fu tutto un po’ casuale, come il mal di piedi di Caroline dopo la lunga marcia e il gesto gentile dell’amico pittore che si offrì di portarla sulle spalle. Le passano la bandiera del Vietnam. «Alzala più che puoi», le dicono. Lei si ricorda di essere un’indossatrice e si mette in posa. Jean-Pierre Rey, grande reporter che «copre» la rivoluzione studentesca per l’agenzia Gamma, scatta la foto-simbolo. Caroline diventa l’eroina del Maggio. «Non ero una rivoluzionaria, ma ero contro la guerra del Vietnam e in America avevo simpatizzato per il movimento hippie. Ho sempre amato la libertà, lo spirito creativo. Avevo già recitato in un film underground sul movimento studentesco americano. Ho sempre odiato la violenza e la guerra. Ero felice di essere sulle spalle del mio amico, a cavallo della Rivoluzione ». La fotografia fa il giro del mondo. Purtroppo per lei, finisce sulle scrivanie delle redazioni di moda, poco disponibili a immortalare una mannequin di sinistra. «Non potevano prevedere che anche il Vietnam sarebbe diventato capitalista, con negozi di moda a Ho Chi Min Ville! Pensare che le mannequin di sinistra oggi sposano i presidenti di destra! ». La foto finisce anche sotto gli occhi del ricco bisnonno, il quale, da buon aristocratico british, non può accettare la rivoluzione in casa propria. Caroline viene diseredata e si ritrova sola con i suoi occhi azzurri e un visino d’angelo ribelle, senza soldi e senza lavoro. Unico bagaglio, la conoscenza delle lingue: inglese, tedesco, italiano, francese, un po’ di cinese. «Quando il nonno vide la foto, poco tempo prima di morire, mi disse che non gli piaceva come ero vestita. Te ne pentirai, mi disse al telefono. Fu di parola: non mi lasciò un soldo dell’eredità. Così mi sono inventata una nuova vita. Avevo sposato Barney Wilson, grande sassofonista conosciuto a Parigi. Partimmo per l’Africa, con il regista Serge Bard. L’idea era di girare un film. Zanzibar, Nigeria. Ci restammo un anno e mezzo, il film non si fece mai, il regista si convertì all’Islam e io divorziai». Dalla fine degli anni Ottanta, Caroline si è ritirata in campagna con Jacques, il suo nuovo compagno. Vita semplice, senza grandi esigenze: «I soldi non mi hanno mai interessato, non fanno la felicità. Tuttavia, Gamma avrebbe potuto ricordarsi di me per i diritti della fotografia». Unico rammarico: non avere avuto figli. «Per diverse ragioni, ma anche per paura. Forse se il Sessantotto avesse davvero cambiato il mondo avrei avuto più coraggio e più speranze. Oggi? Con Sarkozy siamo tornati all’epoca di Maria Antonietta, ricchezza ostentata mentre la gente sta male. Quanto allo spirito del Maggio, non c’è più. Ognuno pensa solo a se stesso». Massimo Nava