Corriere della Sera 25/01/2008, GIULIO GIORELLO, 25 gennaio 2008
L’affaire Sapienza lo avrebbe divertito. Corriere della Sera 25 gennaio 2008. Nelle conversazioni con gli amici, tanto per «ammazzare il tempo» (come suona all’incirca il titolo della versione italiana della sua Autobiografia a suo tempo pubblicata presso Laterza), Paul Feyerabend amava riferirsi al suo Contro il metodo come a quel «bastardo, dannatissimo libro» che lo aveva trascinato in polemiche a non finire
L’affaire Sapienza lo avrebbe divertito. Corriere della Sera 25 gennaio 2008. Nelle conversazioni con gli amici, tanto per «ammazzare il tempo» (come suona all’incirca il titolo della versione italiana della sua Autobiografia a suo tempo pubblicata presso Laterza), Paul Feyerabend amava riferirsi al suo Contro il metodo come a quel «bastardo, dannatissimo libro» che lo aveva trascinato in polemiche a non finire. In Italia è nota soprattutto la versione pubblicata da Feltrinelli nel 1979 che non contiene il celebre passaggio sul processo a Galileo; Feyerabend era solito modificare i propri testi nelle nuove edizioni. E comunque, quella sua valutazione del «caso Galileo » è contenuta in un contributo successivo dal titolo «Galileo e la tirannia della Verità», che fa parte dei saggi di Addio alla Ragione, pubblicato da Armando. Uno dei motivi del contendere è che il filosofo e fisico austriaco aveva osato prendersela con Galileo Galilei, «il fiorentino scopritore non di nuove terre, ma di non più vedute parti del cielo», come recita la dedica con cui gli Accademici Lincei presentavano Il Saggiatore (1623) a Maffeo Barberini, ovvero Papa Urbano VIII, passato alla storia per aver in seguito fatto processare e condannare lo stesso Galileo. Il quale aveva, per così dire, rotto l’impegno, a suo tempo concordato con alti prelati, tra cui il cardinal Roberto Bellarmino, di non sostenere la validità della concezione copernicana in assenza di prove convincenti. A Feyerabend sono sempre piaciuti contrasto e anticonformismo. Galileo aveva avuto l’audacia di violare i criteri della buona scienza invalsi alla sua epoca e si era comportato da «opportunista»! Le evidenze che portava dall’osservazione dello «splendore dei cieli» potevano trovare spiegazione anche nei sistemi di Tolomeo e di Tycho Brahe; quanto all’argomento fisico delle maree abbozzato nel Dialogo sopra i massimi sistemi per «dimostrare» il moto della Terra… faceva tipicamente acqua. Se mi è lecito un ricordo personale, una volta il fisico Edward Teller (proprio lui, il padre della bomba H) mi diceva che Urbano VIII avrebbe addirittura potuto «bruciare Galileo »! Feyerabend non si spingeva a questo punto; si limitava a trovare corrette («razionali e giuste») le procedure seguite dalla Chiesa nei confronti dello scienziato. Roberto Bellarmino prima, e Maffeo Barberini poi, avevano soprattutto preoccupazioni di tipo etico: temevano che Galileo turbasse le coscienze proponendo una teoria che andava contro l’interpretazione usuale della Scrittura e che non pareva (ancora) confermata dalle osservazioni. Ma Galileo aveva dalla sua il coraggio di chi sapeva di star «sovvertendo» la concezione dell’uomo centro del mondo e l’orgoglio di chi rivendicava il diritto di sostenere un’opinione, anche se sembrava «far violenza ai nostri sensi». Che le sue motivazioni più profonde fossero quasi di ordine estetico e poco dotate di supporto empirico, agli occhi di Feyerabend non toglieva niente al fascino di colui che il nostro Carlo Emilio Gadda chiamava ironicamente «il maligno pisano». Bertolt Brecht ci ha narrato la vita di un Galileo che non aveva saputo essere «eroe» fino in fondo. Feyerabend, che aveva ben presente l’approccio del drammaturgo tedesco, a sua volta ha messo a fuoco come colui che aveva mandato in pezzi «la fabbrica dei cieli » di Aristotele e di Tolomeo non fosse così attento alle «regole del metodo», come tendono a credere i posteri – specie storici e filosofi della scienza. Paul e sua moglie Grazia Borrini amavano scherzare anche sul (cauto) interesse del teologo Joseph Ratzinger, all’epoca successore di Bellarmino, per le tesi del «dannato libro ». Probabilmente, la recente disavventura della Sapienza (intesa come università romana) avrebbe divertito Feyerabend, questo grande «anarchico delle idee», che aveva soprattutto il dono della leggerezza. Tanto più che in Italia Contro il metodo venne accolto come un testo che poteva «corrompere i giovani »: guarda caso, la stessa locuzione, infelicemente usata da qualche professore di laicismo nei confronti di Benedetto XVI. GIULIO GIORELLO