Affari e finanza 14 gennaio 2008, Andrea Greco, 14 gennaio 2008
Profumo, Geronzi e i ’Vespri’ siciliani. Affari e finanza 14 gennaio 2008. Siamo ancora al «Caro Alessandro», «Caro Cesare»? Forse no, ma le esperienze di questi nove mesi lasciano in dote a Profumo e Geronzi un rapporto più maturo, franco e schietto
Profumo, Geronzi e i ’Vespri’ siciliani. Affari e finanza 14 gennaio 2008. Siamo ancora al «Caro Alessandro», «Caro Cesare»? Forse no, ma le esperienze di questi nove mesi lasciano in dote a Profumo e Geronzi un rapporto più maturo, franco e schietto. Migliore, si fa intendere dai due versanti. Le pubbliche attestazioni di stima, affetto e rispetto per l’altro profuse a metà 2006 tra Profumo e Geronzi erano certo in buona fede. E senza questi sforzi di comprensione non sarebbe stato possibile realizzare l’incorporazione di Capitalia in Unicredit e Capitalia. Oggi siamo tornati a un rapporto da "banchieri adulti", attraverso episodi che rivelano una dialettica mai semplice, e ripetutamente messa alla prova dalla scorsa primavera. Le turbolenze irredentiste al Banco di Sicilia non sono che l’ultimo episodio che fa risaltare la distanza dei due mondi bancari. Poco importa che il banchiere di Marino non si occupi da tre mesi delle cose di Capitalia, e abbia appreso della vicenda dai giornali, di ritorno da una breve vacanza in Libia. O che l’amministratore delegato di piazza Cordusio, che ha passato le feste alle Maldive, abbia delegato al suo team la gestione delle cose siciliane. Eppure anche questa è un’eredità del passato che torna a infastidirli. Da giugno, quando Bankitalia limitò i poteri del neo presidente di Mediobanca con una lettura restrittiva del sistema duale, non sono mancate occasioni per far emergere la diversità tra i due leader. Diversità cui entrambi tengono: Profumo per continuare a rispondere agli investitori del mercato, Geronzi per meglio tessere il suo network ai piani alti del sistema bancario nazionale. I casi eclatanti sono stati la gestione del 2% di Capitalia nella Rizzoli (subito posta in vendita da Unicredit); le porte chiuse agli Angelucci quando hanno chiesto fidi per comprarsi l’Unità (gli imprenditori delle cliniche romane erano in ottimi rapporti con i capitolini, ma col passaggio a Unicredit hanno scontato l’allergia per l’editoria di piazza Cordusio); le pendenze di responsabilità civile lasciate da Capitalia ai milanesi nel processo Eurolat (Parmalat). Geronzi e Profumo s’erano incontrati sotto Natale per chiarire il più recente "distinguo", sulle nomine del vertice Telecom. Sbloccate da un’intesa prandiale tra Geronzi e Giovanni Bazoli, e criticate nel metodo da Unicredit (la cui voce in capitolo deriva dal ruolo di primo azionista di Mediobanca, socio del gruppo telefonico). Natale e Capodanno, insomma, erano stati santificati con la debita etichetta di serenità. Ma subito dopo è scoppiata la grana siciliana, con il presidente Salvatore Mancuso deciso a immolarsi per contrastare il diritto del nuovo padrone a scegliere il management. Fonti vicine a Geronzi, peraltro, definiscono «eccellenti» i rapporti attuali con Profumo, e negano contatti tra il banchiere romano e i ribelli del BdS. li sospetto nasce dai rapporti tra Mancuso e Geronzi, rinsaldati un anno fa in Capitalia con il sostegno nella difficile battaglia dei presidente con l’ad Matteo Arpe. «Ma come in tutte le cose siciliane, c’era un prezzo, cioè la nomina di Mancuso nel cda Unicredit e la sopravvivenza dei marchio BdS -ha scritto il Financial Times- Ora la controllata siciliana rifiuta di stare al gioco e consentire a Unicredit il diritto di esercitare il controllo. una distrazione indesiderata e imbarazzante per Profumo, che ha abbastanza problemi da risolvere senza impantanarsi in acque italiane bancarie e politiche infestate da squali». Unicredit, nove mesi fa, accettò di pagare un prezzo non certo scontato - specie osservando con il facile senno del poi - a patto di poter gestire l’incorporazione di Capitalia senza vincoli. E, caso raro, senza dover condividere le mosse future con i vertici romani. Ne sa qualcosa Arpe, uno degli artefici del rilancio che decise di dimettersi dopo la fusione. Il presidente, poi, dopo un breve traghettamento è sbarcato in Mediobanca. Il condirettore generale Fabio Gallia ha cambiato sponda passando alla guida di Bnl. Tutto è andato bene fin qui, ma forse Unicredit aveva sottovalutato le resistenze e i campanilismi dei siciliani. «E un caso da manuale, che parte come modalità di convergenza di eredità organizzative ed economiche diverse e si trasforma in uno scontro, in cui i piani di ìnterpretazione di comportamenti e prospettive operative divergono profondamente - dice Pierluigi Celli, direttore generale della Luiss che ha indossato la casacca di Unicredit, alla guida dell’identità aziendale - Unicredit è un benchmark nelle fusioni, quel che cambia in questa vicenda è il peso, e i vincoli, di una politica localistica che tende a riassumere in proprio la specificità culturale anche dell’azienda bancaria, trattata come filiazione». Secondo Celli i siciliani contrabbandano la difesa di interessi particolari con quella di professionalità e competenze: « in ballo una guerriglia di posizione, che dietro la tutela dei diritti professionali dei dipendenti tende a riaffermare il primato dei potentati politici sulla vitalità del mercato e dei suoi attori più illuminati». Il revival creditizio dei vespri siciliani finirà, e presto, con Unicredit che fa valere le sue ragioni, magari con più attenzione ai gangli palermitani (finora non è che il gruppo abbia brillato per diplomazia nell’isola, arte in cui la vecchia Capitalia era più adusa). Il reale problema sarà la permanenza di Mancuso nel cda della holding, luogo dove passano le informazioni riservate. Quanto a Profumo e Geronzi, presto avranno un nuovo, grande banco di prova del loro rapporto. Si tratta del futuro delle Generali, al solito incerto e dibattuto. Andrea Greco