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 2008  gennaio 14 Lunedì calendario

La Santa alleanza dei media Usa. Affari e finanza 14 gennaio 2008. New York. Mentre Ben Bernanke parlava giovedì scorso a Washington, per tranquillizzare i mercati e promettere nuove azioni della banca centrale contro la recessione, gli utenti del sito web del "New York Times" potevano seguire in video il presidente della Federal Reserve grazie alle immagini fornite dalla rete "Cnbc"

La Santa alleanza dei media Usa. Affari e finanza 14 gennaio 2008. New York. Mentre Ben Bernanke parlava giovedì scorso a Washington, per tranquillizzare i mercati e promettere nuove azioni della banca centrale contro la recessione, gli utenti del sito web del "New York Times" potevano seguire in video il presidente della Federal Reserve grazie alle immagini fornite dalla rete "Cnbc". E quando lo stesso giorno l’ex candidato alla Casa Bianca John Kerry si è schierato a favore del senatore afro-americano Barack Obarna, snobbando Hillary Clinton e il suo ex-vice John Edwards, sul sito della "Cnbc" veniva subito pubblicata un’analisi politica molto approfondita firmata da Jeff Zeleny, un giornalista dei "Times". L’intreccio di questi contenuti media è l’obiettivo del nuovo accordo, entrato in vigore una settimana fa, tra il gruppo New York Times guidato da Arthur Sulzberger, che oltre al pìù prestigioso quotidiano americano, e forse mondiale, pubblica anche il "Boston Globe" e altre testate locali, e il colosso General Electric di Jeffrey Immelt, che, oltre al network "Nbc", controlla la "Cnbc", il programma televisivo di notizie economiche più seguito (283mila spettatori, 250 milioni di utili). L’obiettivo segreto di Sulzberger e Immelt? Creare difese e sinergie in vista della grande sfida di Rupert Murdoch. L’editore di origine australiana non fa mistero delle sue intenzioni. Lanciando a ottobre dell’anno scorso "Fox Business Network" si è proposto di ripetere l’operazione della sua "Fox News", che ha superato la celebre "Cnn" come leader dei canali di informazione. Questa volta la vittima disegnata è la "Cnbc". E completando a dicembre l’acquisto per oltre 5 miliardi di dollari del gruppo Dow Jones, e quindi del maggiore quotidiano economico, il "Wall Street Journal", Murdoch ha preannunciato una analoga battaglia per sottrarre al "New York Times" la posizione dominante nella carta stampata. Molti guru dei media sono convinti che dietro all’espansione della News Corp,, la holding con cui Murdoch controlla il suo impero mondiale, ci siano finalità politiche. Nel passato non ha mai rinunciato a imporre svolte conservatrici alle testate che andava conquistando, dal "Times": di Londra al "Post" di New York. Ma almeno in questa fase sembrano prevalere nell’operato di Murdoch, che ha quasi 77 anni, ma è sempre aggressivo e infaticabile, strategie puramente di mercato. E’ convinto che alla crisi della stampa tradizionale, colpita in tutto il mondo dal calo dei lettori e degli introiti pubblicitari, si esca solo puntando con coraggio sul web, di gran lunga lo strumento preferito dai giovani, e sull’informazione economica, di cui intuisce una domanda mondiale crescente e che garantisce la generosa presenza di inserzionisti. Secondo questa logica Murdoch pensa di rinunciare in tempi brevi a far pagare l’accesso alla versione on-line del "Wall Street Journal", nonostante che sia l’unico veramente proficuo tra tutti i siti dei giornali. La settimana scorsa ha già reso gratuite le pagine dei commenti, arricchendole con contributi visibili sul net e non sull’edizione cartacea. Lo scopo? Allargare il bacino di utenza. Attrarre centinaia di migliaia di nuovi utenti, sostituendo il mancato incasso con proventi della pubblicità on-line, sul modello Google. Murdoch si prefigge anche di valorizzare le sinergie tra il "Journal" e "Fox Business Network": ad esempio, mettendo a disposizione dei telespettatori l’esperienza (e i contatti) dei giornalisti dei quotidiano e le analisi dei suoi commentatori. Una mossa, questa, che non potrà dispiegare tutte le sue potenzialità, prima del 2012, quando scadrà un contratto analogo stipulato a suo tempo dalla Dow Jones con la "Cnbc". E per il momento la rete economica di Murdoch procede molto male, a dispetto della campagna pubblicitaria, di investimenti per 200 milioni di dollari e della distribuzìone in 30milioni di case americane. Secondo alcune stime, avrebbe meno di 7mila telespettatori: il 4 per cento di quelli della "Cnbc". Ma anche con questi ostacoli, le intenzioni di Murdoch spaventano gli avversari, che sanno di avere a che fare con uno "squalo" come viene spesso chiamato, disposto a inghiottire qualsiasi rivale. Per contrastare le sue ambizioni avevano cercato di impedirgli la scalata a Dow Jones. In un primo tempo contavano sull’opposizione della famiglia Bancroft, che da cent’anni controllava il "Journal" considerandolo un fiore all’occhiello, avendo poi capito che la famiglia era troppo frammentata per poter resistere alla cifra offerta da Murdoch, provarono a ipotizzare delle contro-cordate. Immelt avviò dei contatti; si parlava di un interesse della Microsoft, il nome Sulzberger ricorreva spesso. Ma 5 miliardi di dollari erano troppi: un importo fuori mercato, specie per editori di giornali con bilanci in flessione e quotazioni dei titoli in ribasso. Negli Stati Uniti, infatti, i redditi del settore sono scesi dell’1,9 per cento nel 2006, dell’8 per cento nei primi tre trimestri del 2007 e nel 2008, secondo le proiezioni degli analisti della Goldman Sachs, dovrebbero sprofondare addirittura dell’8 per cento, a causa delle condizioni dell’economia e del mercato ímmobiliare, con contraccolpi sugli utili dei maggiori gruppi, da Gannett al New York Times. Ad approfittarne dei disorientamento è stato Murdoch, che ha messo le mani sul "journal" e avviato un rimescolamento, di assetti ed equilibri in tutto il comparto. Nel quadro di questa "rivoluzione" imposta dal magnate australiano rientra la cessione della Reuters ai canadesi della Thompson e l’alleanza "New York Times"-"Cnbc". Per ora quest’ultima si traduce solo in uno scambio di contenuti, senza contropartite finanziarie, tra i siti internet del quotidiano e del network televisivo. "Ognuno dei due gruppi sarà il partner prioritario nel web dell’altro, rafforzandoci reciprocamente", ha spiegato Vivian Schiller, general manager della società del "New York Times". "Noi finora non avevamo un sufficiente volume di filmati da mettere in rete" ha aggiunto Larry Ingrassia, redattore capo dell’econornia del quotidiano. "In cambio noi forniremo analisi giornalistiche approfondite". Ovviamente si tratta di un primo, timido passo. Ma è chiaro che la sfida Murdoch dovesse farsi più acuta e pericolosa, l’accordo "Times"-"Cnbc" offrirà l’impalcatura per una integrazione multimediale e una base di lancio per il contrattacco. Arturo Zampaglione