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 2008  gennaio 24 Giovedì calendario

Stinnes, il giovane Kaiser del carbone. Il Sole 24 ore 24 gennaio 2008. Hugo Stinnes morì a Berlino il 10 aprile 1924

Stinnes, il giovane Kaiser del carbone. Il Sole 24 ore 24 gennaio 2008. Hugo Stinnes morì a Berlino il 10 aprile 1924. Erano le 8,30 di sera e il medico curante attribuì il decesso alle complicazioni causate da un’operazione alla cistifellea. Ai funerali nella capitale tedesca era presente l’establishment politico ed economico della Repubblica di Weimar: il cancelliere Wilhelm Marx, il ministro degli Esteri Gustav Stresemann, il ministro delle Finanze Hans Luther. In onore di uno dei più straordinari imprenditori della Belle poque suonò anche una banda militare. Ma accanto alle personalità più illustri, il cilindro in mano, resero omaggio anche i rappresentanti di un’altra Germania: 300 minatori provenienti dalla Ruhr. Era tutt’altro che un saluto retorico per un uomo che alle sue miniere di carbone dava il nome dei suoi famigliari: Victoria, Mathias, Carolus Magnus, Friedrich Ernestine. Un po’ in disparte nei loro vestiti scuri, semplici ma decorosi, gli operai volevano ricordare il ruolo che l’industria carbonifera aveva avuto nella vita di un imprenditore che il «Time» nel 1923, ad appena cinque anni dalla sconfitta del Kaiser Guglielmo II nella Grande Guerra, definiva «il nuovo imperatore di Germania». Industriale, finanziere, uomo politico, Stinnes morì lasciando un gruppo con 600mila dipendenti, 4.554 società e oltre 3mila stabilimenti industriali, proprietario di imprese siderurgiche, alberghi, giornali, navi e appunto miniere di carbone. In pochi altri protagonisti della rivoluzione industriale tedesca si riflettono così perfettamente le tante realtà del carbone: la materia prima per eccellenza, quella senza la quale non vi sarebbe stata la modernizzazione del continente, la nascita del capitalismo ma anche del comunismo, l’emergere del sindacalismo organizzato, la grande ondata colonialista a fine Ottocento. E senza il carbone, con una punta soltanto di esagerazione, non vi sarebbero state forse due guerre mondiali. Non è un caso se sempre nel 1924 la salma del socialista francese Jean Jaurès fu anch’essa trasportata al Panthéon da 70 minatori: tra economia e politica il carbone è stato per oltre un secolo il grande motore dell’Europa, nel bene e nel male. Non sempre le pagelle scolastiche sono lo specchio del futuro di una persona. Quelle di Stinnes sono un’eccezione. Nato a Mülheim an der Ruhr nel 1870 in una famiglia proprietaria di una società di navigazione sul Reno e di miniere di carbone, l’imprenditore fu un ottimo alunno, tra i primi della sua classe. Hugo, terzo di quattro figli, frequentò una scuola commerciale a Coblenza, studiò chimica a Berlino e trascorse un anno, tra il 1888 e il 1889, in una miniera della Ruhr. Era un modo per farsi le ossa: lo stesso aveva fatto quarant’anni prima Friedrich Engels, mandato dal padre, un piccolo imprenditore renano, a fare uno stage a Manchester. Due esperienze simili, ma dai risultati opposti. Mentre il periodo in miniera fu decisivo per convincere Engels, autore con Karl Marx del Manifesto del Partito Comunista, che l’industria carbonifera era la culla della rivoluzione, per Stinnes fu l’occasione per rafforzare il suo spirito imprenditoriale. D’altro canto, alla fine degli anni 80 dell’800 la Germania era in forte crescita economica. Le miniere della Ruhr stavano consentendo al Paese di recuperare il tempo perduto, se è vero che da ormai mezzo secolo in Gran Bretagna il carbone era la materia prima per riscaldare le case, produrre acciaio, far funzionare nuove macchine utensili. Lo stesso fenomeno si toccava con mano negli Stati Uniti: negli anni 1840, la produzione manifatturiera americana passò dal 17 al 30% del prodotto interno lordo. Insomma, la crescita economica sui due lati dell’Atlantico era un virtuoso effetto a catena, tanto che a cavallo del secolo, la Germania superò la Gran Bretagna in termini di ricchezza e sviluppo economico. La produzione di carbone nella Ruhr era aumentata in modo vertiginoso: da 2 milioni di tonnellate nel 1850 a 22 milioni nel 1880 a 60 milioni nel 1900 a 114 milioni nel 1913. D’altro canto, è tedesco il salto di qualità della rivoluzione industriale: se le ferrovie furono un’invenzione inglese, la meccanica di precisione, i motori a combustione e la chimica organica nacquero in Germania. Nei primi del Novecento, E.C. Jeffrey, professore di Harvard, sosteneva che «la decadenza di alcune razze europee non è dovuta a una particolare degenerazione, piuttosto a una carenza di risorse carbonifere». E in questo contesto, Stinnes, che da giovanissimo si dilettava a fare esperienze in un piccolo laboratorio chimico regalato dal padre, era il rappresentante di un’imprenditoria moderna, capace di coniugare il senso degli affari con l’addestramento tecnico. Nel 1898, Stinnes, sposato con Cläres Wagenknecht che gli dette sette figli, si lanciò nella prima grande operazione industriale, fondando la Rheinisch-Westfälische Elektrizitätswerke (Rwe). Qualche anno prima aveva riunito le miniere della Ruhr in un cartello partecipato da 98 società e che rappresentava l’87% della produzione tedesca di carbone. Il tentativo della Rwe era ambizioso: creare un gruppo industriale verticale con l’obiettivo di controllare l’intera catena produttiva, dallo sfruttamento delle miniere di carbone, alla produzione di elettricità e acciaio, alla costruzione di navi, armamenti o macchine utensili. Era l’inizio di una fortuna straordinaria, anche se nella vita personale Stinnes rimase un uomo dallo stile morigerato. Scriveva nel 1923 a proposito degli imprenditori tedeschi un osservatore: «Alcuni di loro, perfino al culmine del trionfo, danno l’idea del sindacalista o del lavoratore benestante assai più di quanto non diano l’idea del milionario. Non giocano a golf! Non attribuiscono neppure grande importanza al denaro; lo vedono semplicemente come una sorta di combustibile concentrato con cui alimentare nuovi altiforni». E lo stesso Stinnes usava dire ai figli a mo’ di avvertimento: «I miei crediti sono i vostri debiti». Era la Belle poque: la vita quotidiana aveva subito profonde trasformazioni. Non più solo treno ma anche automobili, non più solo giornali ma anche radio. Nelle case moderne ormai c’era il telefono, l’acqua corrente, l’elettricità e il riscaldamento. Mentre negli Stati Uniti, i supermercati Sears iniziavano nel 1897 a vendere stufe a carbone alla classe media americana, Berlino si dotava in Potsdamer Platz del primo sistema semaforico d’Europa. John Maynard Keynes disse un giorno che «l’impero tedesco fu costruito più sul carbone e il ferro che sul sangue e il ferro». In questo senso, Stinnes partecipò all’espansionismo tedesco: produsse armamenti durante la Grande Guerra, sfruttò le miniere del Belgio, si appropriò di alcuni stabilimenti chimici in Bessarabia. «Vuole controllare l’industria europea dell’acciaio - scrisse il «Time» nel 1923 a proposito dell’imprenditore tedesco -. Come tutte le figure misteriose che si muovono nel mondo della politica internazionale, è destinato a vincere in tutte le situazioni». Sottolineò dal canto suo «The New York Times» nel 1921: «Alcuni dicono che è proprietario della Germania. Altri lo accusano di essere un capitalista senza scrupoli che sta trasformando il Paese in un enorme cartello. Altri ancora lo considerano un pioniere del socialismo». In effetti, Stinnes è un personaggio difficile da classificare. Negli anni 1920, mentre la Germania faceva i conti con l’iperinflazione, riuscì a speculare contro il marco guadagnando enormi somme di denaro, tanto da essere definito il "Re dell’inflazione". Nel contempo, fondava il Deutsche Volkspartei, era eletto in Parlamento e guidava la Lega anti-bolscevica, nata nel timore che la Rivoluzione d’Ottobre potesse mettere radici anche nella Repubblica di Weimar. Stinnes fu al tempo stesso il portavoce del libero capitale, ma anche colui che si adoperò per l’introduzione della giornata di otto ore e per la presenza dei sindacati nella gestione delle imprese. Stinnes morì troppo presto per assistere al declino del carbone nel secondo dopoguerra quando il petrolio prese definitivamente il sopravvento. Alla decadenza contribuì anche la crescente attenzione all’ambiente. Nel 1952 Londra fu attanagliata da uno smog talmente spesso che uno spettacolo fu cancellato perché i cantanti non riuscivano a vedere il maestro d’orchestra. Morirono in 4mila e una volta dissolta la pea soup (come ai tempi veniva chiamata la nebbia perché ricordava il colore giallognolo della minestra di piselli) i cadaveri di 50 disperati furono recuperati in un parco della città. Quattro anni dopo, il carbone fu bandito dagli appartamenti londinesi. Il suo progressivo declino non impedì comunque a questa materia prima di avere un ruolo decisivo nel processo di integrazione europea nel dopoguerra. La Comunità del carbone e dell’acciaio fu alla base della riconciliazione franco-tedesca. Gli alleati avevano capito che ripetere l’errore del Trattato di Versailles sarebbe stato suicida. Durante gli anni di Weimar, Stinnes lo aveva definito un diktat. Era preoccupato per il futuro del suo patrimonio? Forse: alla sua morte il gruppo ebbe problemi economici e fu in parte liquidato. Trovò però una seconda giovinezza nella logistica, tanto che oggi è un pilastro della Deutsche Bahn. Ma questa è un’altra storia che con il carbone ha poco a che fare. Beda Romano