L’Espresso 31/01/2008, Roberto Di Caro, 31 gennaio 2008
Fame, freddo e ahmadinejad. L’Espresso 31 gennaio 2008. L’ ultima, Rahelé Zamanì, l’hanno impiccata alle 3 di notte di mercoledì 2 gennaio nel famigerato carcere di Evin a Teheran
Fame, freddo e ahmadinejad. L’Espresso 31 gennaio 2008. L’ ultima, Rahelé Zamanì, l’hanno impiccata alle 3 di notte di mercoledì 2 gennaio nel famigerato carcere di Evin a Teheran. Costretta dal marito a prostituirsi, l’aveva ucciso sotto l’effetto degli allucinogeni che lui le faceva ingerire. "Giudicata senza avvocato, inutilmente ho presentato domanda per rifare il processo", dichiara Farideh Gheirat, avvocato, vicepresidente dell’Associazione per i diritti dei prigionieri: "Senza esito persino l’intervento del capo del potere giudiziario, l’ayatollah Mahmoud Shahroudì, per una sospensione dell’esecuzione". Detenuta da tre anni, Rahelé aveva due bambini piccoli. Dire ’l’ultimo caso’ è un azzardo, perché nell’Iran del presidente Mahmoud Ahmadinejad il mattatoio funziona a pieno ritmo. Nel 2007, fonte Amnesty international, le condanne a morte eseguite sono state 360. Ma delle tre persone impiccate a una gru in piazza a Qom, la città santa delle università coraniche quello stesso 2 gennaio, foto in prima pagina su tutti i giornali del mondo, qui in Iran solo un paio di quotidiani hanno parlato, in un trafiletto. E poco più si trova nei siti dedicati, come prisons.ir e noruz.com. Censura, certo. Ma anche il fatto che hanno mille altri problemi per la testa, gli iraniani, alla vigilia delle prossime elezioni del 14 marzo per il Majlis, il Parlamento. Due anni e mezzo di presidenza Ahmadinejad hanno raddoppiato non solo le esecuzioni capitali, ma anche l’inflazione (ufficialmente al 17,2 per cento, in realtà oltre il 20 per gli economisti e per l’ultimo rapporto della Banca centrale), la massa di denaro circolante (più 37,3 per cento solo negli ultimi sei mesi), il prezzo delle case (1.500 euro a metro quadro in periferia a Teheran, un po’ meno nella degradata area sud). I risultati della dissennata politica economica li vedi per strada: ai distributori file costanti e lunghe anche un chilometro. La benzina è razionata con tessere annonarie: 4 litri al giorno a persona, oltre la paghi cinque volte tanto al mercato nero. E li patisci nelle case, prive di gas in centinaia di città, specie nel nord del Paese, proprio nel periodo più freddo: meno 20 a Sarì, capitale del Mazandaran, fino a meno 30 a Khalkhal e Kosar nell’Azerbaijan occidentale, dove le forniture non funzionano tuttora, le case sono al freddo, manca il pane perché i panifici sono fermi, 500 persone sono morte assiderate. Nel Khorazan le industrie hanno dovuto sospendere la produzione, e persino a Teheran, per risparmiare, gli uffici sono rimasti chiusi una settimana. Colpa del Turkhmenistan, si è difeso Ahmadinejad, che ha imposto di raddoppiare il prezzo al quale ci vende il gas e per ricattarci ha tagliato le forniture. "Noi dovevamo prevedere ed evitare che ciò avesse effetti così disastrosi, come avevamo stabilito nel Consiglio di discernimento", lo ha attaccato, con la sua voce pacata e senza enfasi, l’ayatollah Akbar Hashemì Rafsanjani dalla tribuna della preghiera del venerdì nel giorno sacro di Tasuà. Sconfitto alle presidenziali del giugno 2005, Rafsanjani è più potente di prima, avendo sommato nel settembre scorso anche la presidenza del Consiglio degli Esperti che controlla la Guida Suprema. E si prepara a dare battaglia al presidente alle politiche di marzo, punto di coagulo di conservatori pragmatici e transfughi dai conservatori e dai fondamentalisti. Peggio, a bocciare la politica di Ahmadinejad sono i suoi stessi economisti di punta, deputati rimasti con lui. Primo fra tutti Mohammad Koshchehré, docente all’Università di Teheran, presidente della Commissione di controllo del Majlis e membro di quella economica: "Sei mesi fa il presidente ha cancellato l’Organizzazione per il budget e il piano, che esisteva da sessant’anni. Non c’è in questo alcuna logica, se non quella dell’accentrare tutto il potere, in modo autoritario e oltre i limiti di legge. Il piano ventennale prevedeva di diminuire la nostra dipendenza dalle importazioni di petrolio, invece lui ha portato i previsti 15 miliardi addirittura a 37 nel 2006, promettendo di risolvere la disoccupazione e di terminare i lavori di infrastrutture in corso: ha ottenuto esattamente l’effetto opposto". Con un esempio: se a un malato che ha bisogno di una fiala di sangue ne somministri tre, starà peggio di prima. Così ha fatto Ahmadinejad, mettendo in circolo una enorme massa di denaro, che ha lanciato l’inflazione e depresso l’economia. Sicché "oggi i ricchi sono più ricchi, i poveri più poveri, i lavori fermi o in ritardo". Il Parlamento è orientato a bocciare il Budgé, la Finanziaria: invece dei conti dettagliati, Ahmadinejad ha presentato una cinquantina di fogli di linee generali, poi annacquate in 600. l’autunno del presidente? Il suo populismo è fallito persino con i suoi: "A quasi un milione di famiglie, soprattutto di basiji, le milizie del regime, e di fondamentalisti religiosi, ha distribuito azioni per 500 mila tuman (sui 380 euro), ma di aziende ex statali decotte, che non valgono niente. Ora gli speculatori le rastrellano a un decimo del valore, come nella Russia di Eltsin", ricorda l’economista sindacale Fariborz Rais Danà, cacciato dall’università. Il malumore serpeggia pure nel blocco dei pasdaran, il cui potere economico Ahmadinejad ha ulteriormente accresciuto e dei quali è in genere considerato espressione e garante. L’intransigenza sul nucleare e i continui attacchi al diritto di esistenza di Israele hanno fatto il resto: le sanzioni internazionali, ancorché blande, hanno effetti pesanti sull’import-export: sia per le difficoltà imposte alle transazioni bancarie, sia per il clima di insicurezza determinato dai venti di una guerra possibile. Sono in calo gli investimenti stranieri, ma anche il commercio: nel solo primo semestre 2007 le importazioni in Iran dall’Unione europea sono rimaste stabili, ma le esportazioni verso la stessa area sono crollate di un sesto. Più Ahmadinejad accentra potere, dunque, più si sgretola il blocco sociale ed economico che lo sostiene? In parte è così. Ma questo non significa che i partiti suoi sostenitori crolleranno alle elezioni. Gli equilibri politici, in Iran, non li decide né il popolo né il mercato, ma la Guida: l’ayatollah Alì Khameneì. Ciò che l’insuccesso e il malcontento spostano in un verso, l’apparato clericale compensa: così il ministro degli Interni Pur Mohammadì dichiara irridente: "Perché mai molti si ostinano a presentare la loro candidatura quando sanno che il Consiglio dei Guardiani le boccerà?". Con vincoli del genere, è difficile che i due tronconi dei riformisti, quelli dell’ex presidente Mohammad Khatami e quelli del moderato Mehdi Karrubi ex presidente del Parlamento, possano crescere più di tanto: quanto agli studenti, sono come al solito a dibattere se astenersi contro il regime o votare per il meno peggio. Il polo in crescita, verso il quale si orienta chi nella maggioranza prende le distanze dai fallimenti di Ahmadinejad, è quello del Fronte dei moderati. Rafsanjani ma anche, al suo interno, formazioni emergenti come i ’fondamentalisti indipendenti’ di Mohammad Bagher Galibaf sindaco di Teheran, Ali Larijani consigliere della Guida, Ali Haddadadel presidente del Parlamento, Mahmoud Mohammadi vicepresidente della Commissione per la Sicurezza nazionale: "Siamo idealisti nell’ideologia ma realisti in politica", spiega Mohammadi: "Si deve governare con criteri di conoscenza, professionalità, specializzazione; l’eccesso di religione sta generando effetti opposti, una rinascita dell’identità laica e nazionalista, il ritorno a un’identità persiana preislamica e talora anti-islamica.". Parole calibrate, ma il ’ben calibrare’ è esattamente il messaggio del gruppo: mediare, conciliare, ridurre le tensioni interne e internazionali, svelenire, cambiare a piccoli passi, "trovare soluzioni accettabili per la nuova generazione. Se riusciremo a portare alle urne, soprattutto a Teheran e nelle grandi città, parte di quel 30 per cento che non votava, il risultato potrebbe disegnare un Parlamento molto diverso dall’attuale". Accettabili per la nuova generazione, qui sta il punto in un Paese dove due persone su tre hanno meno di trent’anni. Le ragazze di Teheran le vedi sgusciare tra le maglie della legge per mimare l’ultima moda occidentale, dal trucco coi brillantini agli stivali sopra i pantaloni espressamente vietati, insieme al cappello al posto del velo, dall’ultima ordinanza del capo della Polizia Ahmad Rouzbehanì. O sedute a scrivere pagine infinite di diario nel viavai dei camerieri armeni al Café Naderì, negli anni Cinquanta ritrovo degli scrittori cupi e francofili come Sadegh Hedaiat, oggi un po’ sfasciato e per questo amato dai giovani intellettuali coi capelli lunghi e il codino che divorano bistecche a prezzi modici tra i commercianti e i cambiavaluta della zona. I meno alternativi li incontri nel più elegante Caffè degli artisti, con tanto di ristorante vegetariano, esposizione di giovani pittori e installazioni del regista Abbas Kiarostami: istituzione statale ricavata da un ex mattatoio, il nuovo direttore, un fondamentalista, ha imposto limitazioni a temi e organizzatori dei cicli di conferenze. Ma resta pur sempre un centro vitale, se non altro perché fiore all’occhiello del regime. Altrove è invece calata la scure della repressione: "In epoca Khatami era un pullulare di piccoli caffè-librerie dove ci si incontrava, si dibatteva, come il Café Titre frequentato da giornalisti, chiuso quest’autunno, o il Cheshmeh, rimasto solo come libreria. Case della Cultura come Farhangsara esistono ancora, ma i nuovi direttori hanno spento ogni fermento culturale. Giorno per giorno stanno militarizzando lo spazio pubblico", racconta Nahid Keshavarz, sociologa. Responsabile della campagna ’Un milione di firme’ per cambiare le leggi che discriminano le donne, Nahid per questo è finita a più riprese in galera tra rapinatrici e prostitute, ed è sotto processo per turbamento all’ordine pubblico e alla sicurezza nazionale e propaganda contro la Repubblica islamica. Le donne del movimento le arrestano a turno: in galera ci sono Ronak Safarzadeh e Hana Abdi, ventiduenni. La battaglia, in questa fase, è contro il progetto di legge del governo sul nuovo diritto di famiglia che, accusano, incita alla poligamia, non prevedendo per il secondo matrimonio dell’uomo alcun permesso della prima moglie, ma solo l’avallo del tribunale. In galera finiscono i venditori di dvd occidentali proibiti (a un dollaro), poi ricominciano. Arrestati, negli ultimi due mesi, i principali fornitori di alcolici, ma quando non li si trova fuori, vino e acquavite si producono in casa. Dopo l’arresto in massa, in agosto a Karaj presso Teheran, di 250 partecipanti a un rave party clandestino, "oggi ci riuniamo, via Internet, in gruppi più piccoli in vari parchi, cantiamo in jam session, fuggiamo se arriva la polizia", racconta Soheil, 15 anni, rapper underground. Spesso li arrestano. A inizio gennaio, a Karaj, due ventenni, Nanà e Atesh: alle donne è vietato cantare di fronte a uomini, le hanno accusate di satanismo. Ma il rap sta diventando l’unica arte di opposizione. Soheil canta dei giovani persi tra hashish e il lavoro che non c’è; dell’imbroglio di chi dice "è la volontà di Dio". Canta che i giovani devono imparare ad agire insieme, "se non vogliamo che il buio della notte di oggi ci distrugga". Roberto Di Caro