L’Espresso 31/01/2008, Umberto Eco, 31 gennaio 2008
Un paese diverso dagli altri. L’Espresso 31 gennaio 2008. Ma che cosa è successo da voi nelle ultime due settimane? mi chiede l’amico straniero
Un paese diverso dagli altri. L’Espresso 31 gennaio 2008. Ma che cosa è successo da voi nelle ultime due settimane? mi chiede l’amico straniero. Mah, rispondo, un ministro è stato accusato di concussione. Beh, dice l’amico, niente di strano, è successo anche da noi. Come ha reagito il governo? Gli ha assicurato la sua solidarietà morale, rispondo. Giusto, dice l’amico, il governo deve supporre che, sino a che non sia provato che il ministro ha davvero commesso un crimine, egli sia una persona per bene, altrimenti non l’avrebbero mai cooptato. Piuttosto, continua, l’amico, dimmi che ha fatto il ministro. Rispondo che, per essere libero di tutelare la sua onorabilità e non mettere in imbarazzo il governo, ha dato le dimissioni. L’amico osserva che siamo davvero davanti a una persona degna del massimo rispetto. Così si fa nei paesi civili. vero, gli dico, ma è successa una cosa strana. Quel ministro, che si trova evidentemente in aspra polemica con la magistratura che l’ha accusato, ha detto che se il governo non aderirà alla sua polemica gli ritirerà i voti del suo gruppo e lo farà cadere. Osserva l’amico che questo suona un poco come un ricatto: se il ministro aveva dato le dimissioni per potersi difendere liberamente senza coinvolgere il governo, perché allora lo coinvolge? La cosa mi fa specie, dice, anche se comprendo che il vostro è un governo che si regge sull’appoggio esterno, contrattato volta per volta, di vari gruppi, tra cui quello del ministro in questione. No, correggo: al governo c’è una ’unione’ di partiti che si sono presentati alle elezioni sotto la stessa bandiera perché condividevano tutti alcuni sacri principi e tutti si opponevano a quello che consideravano il malgoverno precedente. Mi domanda l’amico: compreso il gruppo del ministro dimissionario? Certo, rispondo. E dunque, insiste l’amico, il ministro di cui si parla aveva aderito alla unione per motivi ideali ed era, sia pure in senso metaforico, disposto a battersi sino all’ultimo per il trionfo di quei principi ideali. E come no, rispondo io. E allora, si stupisce l’amico, perché nel momento in cui viene accusato il ministro non crede più in quei principi ideali e minaccia di far cadere quel governo per sostenere il quale è stato eletto? Non sapendo cosa rispondere, prego l’amico di cambiare argomento. Egli mi chiede allora come mai quando un nostro uomo politico, compresi gli uomini di governo, fa un viaggio e viene intervistato all’estero, anziché farsi interprete degli interessi del nostro paese presso il paese ospite, rispondendo alle domande dei giornalisti locali, risponde invece alle domande dei giornalisti italiani, che tra l’altro non si vede perché abbiano fatto un viaggio così costoso per domandare al politico cose che avrebbero potuto domandargli in patria. E nel rispondere a quelle domande il politico parla di cose di casa propria, lanciando dei messaggi sovente minacciosi non solo ai suoi avversari ma spesso anche ai propri colleghi di partito o di governo. Mi dice l’amico che nel resto del mondo civile, se un uomo di governo deve fare una dichiarazione importante, non fa del turismo ma resta nel proprio paese e convoca una conferenza stampa o addirittura lancia un messaggio alla nazione, come fa spesso il presidente Bush; oppure parla in parlamento, che è la sede deputata per dichiarazioni che concernono la politica nazionale. Vedi, gli spiego, se il nostro politico parla in una conferenza stampa o in parlamento, il suo discorso viene registrato parola per parola, e dopo non può più smentire quello che ha detto. Invece parlando all’estero, la sua voce arrivando in patria attraverso la mediazione di cronisti, può sempre dire di essere stato frainteso. Ma perché un politico desidera essere frainteso, mi domanda l’amico? Confesso che anche su questo punto non ho una risposta convincente. In ogni caso gli faccio notare che è importante per un nostro politico parlare all’estero, perché noi siamo dei provinciali e quello che si dice a Roma fa meno notizia di quello che si dice a Mombasa. Per questo i nostri politici fanno tanti viaggi all’estero, magari con famiglia - la cui unità va salvaguardata. Sembrate quasi un paese diverso dagli altri, dice l’amico. Per esempio, perché sin dal primo giorno dopo le elezioni, pare che il fine dell’opposizione nel vostro paese sia fare cadere il governo, tanto che la sua caduta viene richiesta e annunciata ogni giorno? Ma come, domando, il fine di una opposizione non è quello di fare cadere il governo in carica? Assolutamente no, almeno da noi, risponde l’amico. In democrazia il fine dell’opposizione è, poiché il governo è stato eletto, tallonarlo giorno per giorno, per fargli migliorare le leggi, per impedirgli di prevaricare. Se l’opposizione perde tempo ogni giorno per architettare piani per far cadere il governo, non ha tempo per studiare i progetti alternativi che dovrebbe opporgli, o le critiche circostanziate e continue alla sua azione, per correggerla. Devo ammettere che ha ragione, anche perché da noi, per far cadere il governo, non è indispensabile l’opposizione, basta la maggioranza. A questo punto devo ammettere che effettivamente sembriamo un paese diverso dagli altri. Umberto Eco