Il Venerdì 18 gennaio 2008, Jordi Valle, 18 gennaio 2008
Garcia Marquez. Il Venerdì 18 gennaio 2008. CARTAGENA. Lui non è invecchiato, è sempre lo stesso
Garcia Marquez. Il Venerdì 18 gennaio 2008. CARTAGENA. Lui non è invecchiato, è sempre lo stesso. Come Cartagena. I gerani sui piccoli balconi di legno sembrano quelli di quando sono venuto qui l’ultima volta, anche se è passato un anno. Gabriel Garcìa Márquez ha gli stessi baffi di sempre, il sorriso sornione e lo sguardo vivace dei tempi passati. L’accoglienza, ma me lo aspettavo, non è di quelle da fiesta nacional, però il bentornato è implicito nella tavola carica di frutta multicolore. « Ti trovo sempre bene, don Gabriel» esordisco. «Y tu mas viejo y cansado». E tu più vecchio e stanco. Cominciamo bene. Fra una battuta e un aperitivo, l’idea sarebbe di parlare con il Gabo di L’amore ai tempi del colera, il film tratto dal suo romanzo, per sapere cosa ne pensa. Qui è in programmazione dalla fine di novembre e, nonostante le critiche internazionali piuttosto negative, è stato accettato con favore dagli spettatori, che hanno fatto le consuete file ai botteghini dei cinema colombiani. Il discorso è difficile, si mormora che, dopo tre anni di insistenze del produttore Scott Steindorf, Gabriel Garcìa Márquez abbia accettato di vendere i diritti cinematografici per ben tre milioni di dollari. Quindi sarà arduo strappare qualche commento: ma io ci provo «Sono stato a vedere El amor» gli dico: «Bella, giovane e italiana la Mezzogiorno. Grande, secondo me, l’interpretazione di Javier Bardem, Ti è piaciuto?» «No» (secco). Glisso: «E gli interpreti?». «Muy bien Bardem», e fin qui siamo d’accordo, «anche se hanno giocato a farlo assomigliare il piú possibile a me. A parte la sua esuberanza con le donne» tiene a sottolineare. «La "vostra" Giovanna Mezzogiorno è guapa ma troppo adulta per impersonare Fermina da adolescente, e troppo giovane per essere una vedova con i capelli bianchi». Sorseggia un’imprecisata bevanda colorata, poi sentenzia: «Encantadora la chica, però». In attesa dei bocadillos per accompagnare gli aperitivi, gli dico che ho letto, prima dì andarmi a vedere il film, che sia David Denby dei prestigioso New Yorker sia John Anderson di Variety hanno stroncato il film. Addirittura Sura Wood dell’Hollywood Reporter parla di «melodramma estremamente complicato e recitazione scarsa ... ». «Gringos ... » borbotta. «E nessuno ha sottolineato come tutte le scritte, nelle lettere d’amore, negli indirizzi, perfino quella bellissima sul ventre di una delle tante amanti di Florentino Ariza, siano in inglese». Ci pensa su: «Per un pubblico solo americano, ma in un ambiente del tutto colombiano, anzi di Cartagena», ora si lascia proprio andare, «dovrebbero doppiare anche le scritte!». Osservo che la regia ha spinto molto sul registro melodrammatico. E lui: «Mi rendo conto che non è stato facile fare un film adattando il testo: ma hanno tagliato troppo per poter rendere tutto quel che il libro racconta». Poi spezza una lancia in favore dello sceneggiatore Ronald Harwood: «Non deve essere stato facile, però». Medita, fra un bocadillo, un sorriso e un sorso dell’aperitivo colorato, e infine emette il verdetto: «Troppa mezela di culture e di accenti per gli attori: italiano, spagnolo e americano. nessuno con l’aspetto colombiano, nemmeno fra le tante amanti di don Florentino Ariza». Pausa di riflessione: «Forse solo l’amante del dottor Urbino». Pare una stroncatura bella e buona, gli chiedo conferma. «Mi vuoi far dire delle cose che non penso! Cartagena è ben rappresentata, i tempi del colera rievocati in modo appropriato e i paesaggi aerei sono splendidi: l’immagine finale del cielo è bella, quasi interiore». «E l’amore pluricinquantenario?» domando. «Una storia di fedeltà, passione e allegria si è trasformata in feticismo» sogghigna: «Ma El amor non è un libro facile da leggere, figurati da Interpretare!». I bocadillos sono finiti, chiama per averne altri, poi sussurra: «Neppure io saprei fare di meglio, in così poco spazio, per raccontare la storia di Juvenal Urbino. Quando cade dalla scala è solo un uomo che cade da una scala. Però da tutto il film non traspare nulla dell’amarezza di un amore imposto e mai corrisposto». Ma c’è qualcosa che lo intriga particolarmente: «Comunque, il regista, come si chiama?, ah, sì, Mike Newell, ha fatto un lavoro impressionante per invecchiare i protagonisti. Come c’è riuscito? Con il computer?» mi domanda. Ricordando il bel seno di Giovanna Mezzogiorno cadente e raggrinzito, mi tengo sul vago: «Non so, maestro. Forse». E riprendo l’argomento dell’eccesso di riduzione: troppo poco spazio per un amore e una storia lunghi mezzo secolo? «Non c’era lo spazio, mi amigo, però per i sentimentì, per l’allegria e la passione un angolo si trova sempre, volendo». Enigmatico, ma forse fin troppo chiaro, il premio Nobel. Sorrido, non so come reagirà quando gli chiederò di pubblicare questa breve conversazione di cui ho preso frettolosi appunti. Lascio la domanda come digestivo, alla fine del pranzo, che già attende sulla tavola, con tutti gli aromi di questa terra incantevole. Intanto, gli chiedo un parere definitivo: «Ma ti è piacìuto o no?», Prende tempo: «Dejame pensarlo. Adesso pensiamo al pranzo, sacro come la sacralità dei sentimenti e dell’amore». A tavola rimugino sulla parte del libro che preferisco, il primo capìtolo, e la confronto con la scena iniziale del film. In effetti manca la forza dell’amarezza. Anche se lo sceneggiatore riprende spesso frasi del testo di Márquez. L’inventíva, a volte paurosa, del maestro inciampa sulle ìmmagini. D’altronde, della prima edizione spagnola di El amor si scriveva già che la penna di Márquez contiene tanti e tali registri che è impossibile trasferirli in immagini. Ricaccio in gola la domanda digestiva quando, sgranocchiando mais, il Gabo ríattacca: «Infine, mi amigo, il successo lo decreteranno gli spettatori, più degli scribacchini, dei censori e delle testate vanquis di cinema che sono spesso condizionate dal mercato. Cerca di vedere il film in più lìngue possibile, di leggerne le traduzìoni. Forse i doppiaggi ne daranno altre immagini o renderanno meglio il testo... quien sabe! Però il film trascura il periodo storico colombiano, la guerra civile, a vantaggio solo di una storia d’amore moderna, che però si snoda a cavallo del dicíannovesimo secolo e dura oltre cinquant’anni». Sembra condividere il giudizio della critica, ma poi scarta«Troppo difficile mettere d’accordo la critica, dei letterati e dei cinefilii, con i gusti del pubblico che legge e va a vedere un film, Troppo difficile sapere se le critíche sono sincere o condizionate. Lasciamo alla fine di questo mese il responso agli spettatori. Loro dìranno se il film è bello». Sorride ancora: «E poi, forse, andranno a comprare il libro, se ancora non l’hanno letto. A volte è bello leggere il libro dopo aver visto il film, che ne díci?» Mastico. Il libro l’ho letto nell’85, in spagnolo. Poi in italiano, ìn inglese e francese per capirlo meglio. Il film l’ho visto qualche giorno prima dì arrivare a Cartagena. E adesso è giunta proprio l’ora di servire il mio digestivo. Le parole escono difficili, conoscendo la rítrosia del Gabo verso giornali e giornalisti. La risposta di assenso, a mezze frasi, mi fa volare nel bellissimo cielo di Cartagena, come nelle immaginì finali del film. «Hasta pronto, amico curioso e simpatico» mi apostrofa per invitarmi a lasciarlo riposare: «Perché non ti riposi un po’ anche tu e ti dai al giornalísmo? Così ti vedrò un po’ meno». Forse scherza, mi dico, Forse no. Jordi Valle