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 2008  gennaio 31 Giovedì calendario

Mi scappa la pensione. Panorama 31 gennaio 2008. Costerà molto più del previsto la riforma delle pensioni approvata in via definitiva poco prima di Natale dalla maggioranza di centrosinistra

Mi scappa la pensione. Panorama 31 gennaio 2008. Costerà molto più del previsto la riforma delle pensioni approvata in via definitiva poco prima di Natale dalla maggioranza di centrosinistra. Secondo il piano finanziario preparato a corredo della legge, per abbattere lo scalone previdenziale dell’ex ministro Roberto Maroni (innalzamento repentino del requisito per l’accesso alla pensione di anzianità da 57 a 60 anni a partire dal 2008) lo Stato avrebbe dovuto sborsare 7,4 miliardi di euro in più nel decennio in corso. Ma dalle previsioni ufficiali di spesa elaborate dai tecnici del ministero dell’Economia e delle Finanze guidato da Tommaso Padoa-Schioppa, che Panorama ha potuto consultare in anteprima, risulta che quelle stime iniziali erano sbagliate per difetto e che probabilmente le uscite saranno molto più elevate (tabella a pagina 102). Cresceranno infatti di circa 7 miliardi di euro già nel 2009, poi di altri 9 miliardi nel 2010 e di ulteriori 8 miliardi nell’anno successivo. Con la riforma Maroni, invece, la spesa sarebbe addirittura diminuita. L’anno prossimo gli esborsi per le pensioni saliranno a quasi 231 miliardi dai 224 miliardi del 2008, con un incremento di 3,1 punti percentuali; nel 2010 supereranno i 239 miliardi (più 3,6) e nel 2011 schizzeranno oltre 247 miliardi (più 3,4). Si tratta di variazioni così consistenti che rischia di essere terremotato il delicatissimo equilibrio del sistema previdenziale conquistato a fatica con oltre un decennio di correzioni avviate con la riforma di Lamberto Dini del 1995. Le previsioni sulla ripresa della corsa per le uscite previdenziali sono contenute in un documento elaborato dal ministero dell’Economia nell’ambito del monitoraggio della spesa per prestazioni sociali. Il testo è stato preparato in vista della presentazione delle stime che l’Istat renderà pubbliche alla fine di febbraio. In base a queste previsioni si profila la possibilità che non sia scongiurata la tanto temuta impennata di spesa per le pensioni prevista tra il 2025 e il 2040, con un picco di uscite statali pari al 15,8 per cento del prodotto interno lordo. E che proprio in seguito alla riforma approvata dal governo di Romano Prodi quello sfondamento possa avvenire in anticipo, risultando oltretutto più acuto del previsto. Se un evento del genere si verificasse davvero, i contraccolpi sulla finanza pubblica sarebbero molto gravi, perché sarebbe messo seriamente a repentaglio il piano di rientro del debito (ora superiore al 104 per cento del pil) concordato dall’Italia con l’Unione Europea. Il mancato rispetto degli impegni assunti accrescerebbe le perplessità nei confronti del nostro Paese sia dei partner Ue sia delle organizzazioni economiche internazionali come il Fondo monetario che in più occasioni hanno invitato l’Italia a contenere la spesa pubblica, a cominciare da quella previdenziale. La conseguenza potrebbe essere un peggioramento della valutazione del debito pubblico italiano da parte delle maggiori agenzie di rating e comporterebbe un aggravio del costo dello stesso debito che già oggi pesa sulle casse statali per circa 70 miliardi di euro all’anno. Le preoccupanti previsioni del ministero dell’Economia, inoltre, potrebbero avere conseguenze immediate dal punto di vista della politica interna. Rinfocolando la polemica tra chi vorrebbe impegnare le maggiori entrate fiscali incamerate negli ultimi mesi per ridurre subito le tasse ai percettori di redditi medio-bassi, con il taglio di 3 punti dell’aliquota Irpef del 23 per cento, e chi invece (il ministro Padoa-Schioppa in testa) vorrebbe rinviare la decisione ritenendo il risanamento ancora incerto e la dinamica delle uscite tutt’altro che sotto controllo. Il metodo degli scalini e delle quote introdotto con la riforma previdenziale approvata alcune settimane fa consente di andare in pensione di anzianità sommando gli anni di contributi versati (almeno 35) con un’età minima che per i lavoratori dipendenti è di 59 anni nel 2009 (quota 95) e sale fino a 61 nel 2013 (quota 97). Con questo sistema probabilmente lo Stato dovrà erogare molte più pensioni di anzianità rispetto a quelle che avrebbe riconosciuto se fosse stato conservato lo scalone Maroni approvato nel luglio 2004: 345 mila pensioni in più in 10 anni, secondo le previsioni della relazione tecnica che accompagna il testo approvato dalla maggioranza; almeno mezzo milione, invece, in base alla valutazione di centri di studi non governativi come l’associazione Giovane Italia, il cui comitato scientifico è presieduto dall’esperto di previdenza Giuliano Cazzola. In pratica il 2008 sarà l’ultimo anno in cui la spesa per le pensioni seguirà una dinamica contenuta, ma non a causa del nuovo testo votato dal centrosinistra, piuttosto per effetto soprattutto della riforma Dini che faticosamente stava andando a regime dopo un lungo periodo di transizione. Nell’anno in corso lo Stato spenderà 1 miliardo e mezzo di euro in meno per la previdenza rispetto ai 12 mesi precedenti, per una serie di motivi, alcuni di natura contabile e altri più sostanziali. Tra i motivi di sostanza spicca il meccanismo delle cosiddette finestre di uscita per il pensionamento di vecchiaia che assicurano risparmi dal punto di vista della cassa. Inoltre sul contenimento delle spese previdenziali nel 2008 influirà il sistema di conteggio dell’inflazione. La stima della variazione dei prezzi è molto importante dal punto di vista previdenziale perché influenza la previsione degli stanziamenti statali complessivi e perché in un secondo tempo si riflette anche sull’entità degli assegni percepiti dai circa 23 milioni di pensionati. In un primo momento era stato fissato un tasso di inflazione per il 2007 dell’1,7 per cento, ma all’inizio dell’anno quel dato è stato ritoccato e ridotto di 1 decimale di punto proprio nel momento in cui molti centri studi economici attestavano, invece, una ripresa inflazionistica e indicavano intorno al 2 per cento la valutazione corretta del fenomeno. Grazie a questa minuscola variazione lo Stato riuscirà a risparmiare circa 200 milioni di euro. DANIELE MARTINI