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 2008  gennaio 19 Sabato calendario

Tra bulli e pupe. Tuttolibri 19 gennaio 2008. Ma il Duce ha sempre ragione? Su qualche muro in riva al lago, il categorico atto di fede avrà resistito alle intemperie come ai ravvedimenti

Tra bulli e pupe. Tuttolibri 19 gennaio 2008. Ma il Duce ha sempre ragione? Su qualche muro in riva al lago, il categorico atto di fede avrà resistito alle intemperie come ai ravvedimenti. Gianni Clerici, in Mussolini. L’ultima notte (Rizzoli, pp. 115, e15), pur non dimenticando la Storia, l’oltrepassa, si dispone a raccogliere le estreme ore di Lui (e di Claretta), è il testimone di un’agonia che non assolve, non impietosisce, ma la carità sì, la suscita. Perché ad ora incerta, manzonianamente (quel ramo del lago di Como), si manifesta il Dio che atterra. Può, questo «romanzo teatrale», introdurre nella biblioteca di Gianni Clerici, il giovine signor tennis che, dopo i letterari apici in terra battuta e sull’erba (I gesti bianchi, Baldini & Castoldi) e Divina (Corbaccio), ha arato ulteriori commedie umane, eccellendo in Zoo, racconti fra squali e corride. E’ la dedica di Mussolini. L’ultima notte ad avviare il primo game (oh, la forza delle cose: la casa-studio di Gianni Clerici color mattone, quel color mattone; non lontano è, era, l’estremo rifugio di Ben, a Bonzanigo di Mezzegra). All’apparenza stridente: a Giorgio Bassani. «E’ un mio zio adottivo. Con Soldati e Brera. Avrei voluto accomunarlo a Soldati. Ma ho preferito riservare a Mario il prossimo libro. Inizialmente la dedica suonava così: ”Al mio amico ebreo Giorgio Bassani”. Poi l’ho sfumata. Sia il lettore a decidere se la mia opera è filofascista o antifascista o a prescindere. Io, per me, in me, non scorgo alcuna disposizione fascista». Bassani, una figura cardinale negli scaffali mai impolverati, mai inamidati, sempre all’erta di fronte alla vita, di Gianni Clerici. Sempre di più cardinale, a mano a mano che lo «scriba», come quest’anima comacina civettando ama ritrarsi, obbedisce al richiamo poetico. Perché l’autore delle Storie ferraresi nella poesia si confondeva, una sorta di orfico abbraccio. In Postumo in vita l’amico fedele evoca un’epifania bolognese, uno status di «erezione mentale»: «Fuori di te / da una corte a un portone / mi andavi trascinando / e balbettavi / ascolta questo verso / l’hai capito?». Ma Bassani come avrebbe accolto «Mussolini. L’ultima notte»? «Ci posso pensare?». Bassani, devoto anch’egli al tennis, tra letteratura e realtà, tra i «Finzi-Contini» e il circolo Marfisa d’Este. «L’anno venturo, a Ferrara, sarà allestita una mostra sul tennis in Italia, le sue origini. Un viaggio à rebours, al Cinque-Seicento, quando il tennis si chiamava palla e rachetta. Una passione squisitamente aristocratica. Bassani, come me, non solo giocava. Il suo culto per i gesti bianchi sconfinava nella pittura. Un quadro del Tiepolo, alla Fondazione Von Thyssen una volta a Lugano, in particolare lo affascinava». Da Bassani a Soldati... «Di cui apprezzo sommamente La giacca verde. Ma nella mia vicenda di scriba non posso disgiungere Giorgio e Mario. Affidai loro i miei Gesti bianchi. Ne conservo le correzioni autografe. Bassani, in particolare, era intransigente sulle regole di interpunzione. Ecco un appunto: ”Sempre la virgola, anche dopo le virgolette del discorso diretto...”». Quando c’erano gli angeli custodi... «Ma che tarpavano le ali altrui. Fuori rosa, il romanzo calcistico con cui partecipai allo Strega nel 1966 (giocai pure a pallone, in prima e in seconda divisione), uscì monco degli ultimi due capitoli. Bassani e Soldati li ghigliottinarono considerandoli troppo osé. Una nuova, integrale edizione? L’auspicava Giovanni Raboni, se non che...». Si esaurirà solo con la loro scomparsa, la protezione di Bassani e Soldati? «No, provvidenziale sarà l’incontro con O.d.B., Oreste del Buono. ”Non badare ai maestri” mi suggerì. E io gli diedi retta. A mia volta porgendo un salvagente a Giuan Brera, che però non lo raccolse. Accadde che un editore, letto il suo romanzo Il mio vescovo e le animalesse, lo depresse: ”Il giudizio è negativo, ma pubblichiamo ugualmente il libro tale la sua popolarità, sicura garanzia di buone o addirittura ottime vendite”. Ci stette male. Inutilmente tentai di rincuorarlo. Non produsse nuovi romanzi. In tutto - li scriveva durante le vacanze a Monterosso - ne ha lasciati tre. Il migliore è Naso bugiardo, ovvero La ballata del pugile suonato. Ma la sua autentica maestria si dispiega compiutamente, sontuosamente, nell’Arcimatto, il genere letterario che è». Quali le prime letture di Gianni Clerici? «Salgàri, che allora - durante la guerra, nella Riviera di Lord Hanbury - pronunciavamo Sàlgari. La Gallinara immaginata alla stregua della Tortue». Le letture di famiglia? «Mio padre, un uomo d’affari, nonché un ragazzo del ”99, leggeva occasionalmente. A differenza di mia madre, una donna borghese, affezionata alla Medusa, la collana mondadoriana». Tempo di guerra. A proposito. In «Mussolini. L’ultima notte» qua e là pare di scorgere il fantasma di Gian Carlo Fusco, «Le rose del ventennio» e dintorni. «Tra le fonti, il Mussolini di J. B. Boswoerth e un articolo inedito in volume di Fusco, Le donne del duce. Un carissimo amico che mi riconduce alla stagione felice del Giorno. Un geniale bizzarro. Quando, al seguito della Milano-Sanremo, giunto al traguardo si ricordò di non aver dato da mangiare al gatto... E così, anziché fare l’articolo, riprese la strada di Milano». La vera scoperta, la lettura folgorante? «L’incontro, nel dopoguerra, con Hemingway. Sulla pagina e personalmente. Soldati mi consigliava di accostarlo in inglese. Conservo una copia di Morte nel pomeriggio, 1951, dove fissai i miei versi d’esordio (o quasi): ”Nell’arena / di sabbia / ombra e sole / parole / vino dalla bota / sui denti bianchi / sulle camicie bianche / la tromba / suona la fine della curiosità / resta / solo / Antonio Ordoñez / col toro nero / per l’eternità / di un colpo di spada”». E l’Hemingway vis-à-vis? «A Pamplona. Al bar. Ero con due amici. Lui avrebbe fatto il giornalista. Lei, Maria Teresa Nessi, pubblicò da Garzanti un romanzo che ebbe grande successo, Il letto tiepido. Quindi votandosi alla traduzione di Proust». E con Hemingway, nel Pantheon? «In primis Evelyn Waugh, che considero, tale la dimensione ironica, lo zio adottivo di Woody Allen. E Graham Greene. E Edward Morgan Forster. Li lega un fil rouge che illustrerei così: molti viaggi, tante avventure, ma soprattutto vaste letture. La mia divisa». E offrire un profilo di questa letteratura? «Chissà. Potrebbe essere il tema di un corso universitario da tenere a Pavia. Il prestigioso ateneo della città lombarda mi ha conferito di recente una laurea e la cattedra di Ironia e classe. Al Rettore che mi sollecita a insegnare ho manifestato l’intenzione, o prima o poi, di raccontare ciò che prediligo: la letteratura inglese anni Trenta-Sessanta». Consigli agli editori? «Un autore pressoché ignoto nel nostro Paese, Damon Runyon, americano, l’artefice di Bulli e pupe. Fitzgerald, che non amava Hemingway, lo considerava superiore a Hemingway. Non so. Di certo è notevole. Una miniera che aspetta sempre di essere sfruttata». Laggiù il lago, Villa d’Este, alle spalle una rara tela, tennistica la scena, di Mario Pannunzio, il leggendario direttore de «Il Mondo». «A Villa d’Este, l’anno scorso, ho scambiato qualche colpo con un deputato francese che ha in seguito fatto carriera, politica e sentimentale: monsieur Nicolas Sarkozy. Modesto, con la racchetta...». Scrittori di lago, intorno al lago, magari frequentati... «Frequentato perché letto: Guido Morselli. Muovendo dalla sua vicenda, vorrei imbastire un libro sul rapporto fra la scrittura creativa e la critica. Ebbene: quando gli portai Fuori rosa, Vittorio Sereni mi trattenne a lungo. Tentò di dimostrarmi che non erano state le bocciature editoriali a innescare il suicidio di Morselli. La sua arringa si risolse - almeno mi apparve - in una confessione. Avvertiva la responsabilità intellettuale della tragica fine». Si alza la schighera, la nebbia, sul lago, Bassani come avrebbe accolto Mussolini. L’ultima notte? Gianni Clerici potrebbe palleggiare ore e ore, mai andando a rete. E’ l’«amico ebreo» a soccorrerlo: «Sono stati sempre loro, i temi dei miei libri, a venirmi incontro, a chiedermi insistentemente di prender forma». La vita. Clerici è nato a Como nel 1930. «Comacino», non comasco, come distingueva il suo amico Gianni Brera. Laurea in Giurisprudenza a Urbino. Una lunga milizia giornalistica: dalla «Gazzetta dello Sport» a «Il Giorno» a «La Repubblica», alla televisione, in tandem con Tommasi. Dal 2006 nella «Hall of fame» del tennis. Bruno Quaranta