Manifesto 20 gennaio 2008, Mario Dondero, 20 gennaio 2008
Il calcio lunare degli uomini blu. Manifesto 20 gennaio 2008. Tamanrasset: mitico capolinea di tutte le avventure e disavventure turistiche del Sud
Il calcio lunare degli uomini blu. Manifesto 20 gennaio 2008. Tamanrasset: mitico capolinea di tutte le avventure e disavventure turistiche del Sud. Avamposto della giovane repubblica sul fronte della valorizzazione del Sahara. Nodo vitale di una regione che «nel 1990» proclamano i giornali «sarà la più ricca dell’Algeria». In occasione dell’Assihar, l’importante fiera del deserto, questa piccola Abilene africana per giovani pionieri socialisti si riempie di una folla compatta e cosmopolita: negozianti dei suks, uomini d’affari d’Africa e d’Europa, funzionari, agricoltori delle oasi, soldati e, con gli Hulot in vacanza, anche i superbi Kel Rela, i più nobili fra gli uomini blu. Da questa ressa festosa può anche capitare di vedere emergere il torpedone, impolveratissimo, di una squadra di calcio venuta a Tam da un’altra oasi per partecipare al tradizionale torneo. Questi ragazzi si sottopongono a trasferte epiche che durano molte ore sulle dune degli erg e le pietraie delle hamade e che sono possibili soltanto grazie ad autisti che, come il signor Chaumon delle linee regolari, sono autentiche bussole itineranti. Le partite sono, al confronto, dei viaggi riposanti. Un calcio eroico, ormai estinto in Europa. Venire da Timiaouine, per esempio, vuol dire farsi tredici ore di viaggio, se va bene, per percorrere i 700 chilometri di una pista impervia, sottoposta all’azione di quei vortici di vento che i tuareg chiamano Kel es Souf, perché li considerano genii maligni. Con tutte queste difficoltà ambientali, logistiche ed anche magiche, diventa molto difficile dar vita ad una normale attività agonistica. Oltre ai tornei estemporanei, come quello dell’Assihar, si svolge, durante la stagione più mite dell’anno, un campionato che ha, ovviamente, una vita molto breve. Andrà certamente molto meglio quando saranno in funzione gli impianti del grande stadio in costruzione, che dovrebbe permettere ai giovani della regione di dedicarsi allo sporti in strutture adeguate. Come questo, una trentina di altri stadi stanno nascendo in tutto il paese. Ognuna delle 31 regioni dell’Algeria sarà dotata di moderne arene sportive grazie all’apporto di grandi somme provenienti dai proventi del totocalcio. Oltre che del toto, questi stadi sono figli della rivoluzione politica che ha investito il mondo sportivo. Calcio e politica vivono in simbiosi in Algeria sin dai tempi della guerra di liberazione, quando avvenne un episodio che vale la pena di raccontare. Tutto incominciò la notte del 17 marzo 1958 quando un gruppo di calciatori algerini (Zitouni, Zouba, Rouai, Boubekeur e Mekloufi), figure molto note del calcio professionistico francese, varcarono clandestinamente la frontiera e raggiunsero a Tunisi il quartier generale del F.L.N. Un gesto clamoroso che avrà grandi ripercussioni. Viene subito allestita una temibile formazione che raccoglierà allori sui campi di mezzo mondo, provocando spesso spinose situazioni diplomatiche, ma costituendo un formidabile supporto propagandistico all’azione degli insorti. Raggiunta l’indipendenza, l’urgenza della ricostruzione del paese induce i dirigenti ad accantonare le riforme sportive e il calcio, disertato dai pied noirs, vivacchia in attesa di cambiamenti. Alla fine della lotta di liberazione, un certo numero di calciatori, come il celebre Rachid Mekloufi, tornano a cercare fortuna nelle squadre francesi. (...) Nel 1983 un cittadino su 5 di questo paese di giovanissimi (due terzi della popolazione ha meno di vent’anni) gioca al pallone con la speranza di succedere ai Belloumi, ai Majer e ai Mezarkane che hanno messo in crisi i panzer tedeschi ai Mondiali. Questo incontro nel cuore del Sahara è la prima tappa di una ricerca su un calcio meno alienato: il calcio-dialogo, l’esatto contrario dello squadrismo sportivo. Questi ragazzi sono la riprova dell’universalità del football. Insieme rappresentano un campionario dei differenti gruppi etnici e sociali che compongono la nazione algerina: soldati che partecipano alla costruzione della «route de l’unité africaine», impiegati del settore turistico venuti dal Nord, arabi e berberi fusi con i locali, figli dei pastori nomadi, degli agricoltori delle oasi e dei commerci mozabiti. Il campo di calcio è ricavato dalla sabbia del deserto che incombe da tutte le parti, a poche centinaia di metri dal corso principale di Tam affollato di gente. Ma lo scenario è immenso in questo Hoggar lambito dal tropico del Cancro, dove le montagne sembrano ciottoli posati da una mano gigantesca sulla «terra fattasi luna». I nomadi che parcheggiano i cammelli si fermano a guardare la partita ed esultano ai molti goal che accompagnano l’esibizione, a conferma della facilità di comunicazione del gioco del calcio. Questo calcio sulla luna sembra piacere molto ai suoi più antichi abitanti perché ricorda loro in qualche modo il Takatchek, il gioco che li ha accompagnati nell’infanzia. Il Takatchek viene praticato quando due accampamenti tuareg si trovano vicini nella solitudine del deserto nei momenti di riposo vicino ai pozzi o ai pascoli. E’ un gioco le cui regole sono codificate in tamasheq, la loro misteriosa lingua. Precursore dell’hockey, è giocato con una palla di cuoio riempita di pelo di capra e con bastoni fatti con il duro legno della tahla, l’acacia del deserto. Con le ilougan, le corse con i cammelli, esso costituisce insieme ad incruenti duelli con la takouba, la spada dei tuareg, tutto il bagaglio sportivo del ragazzo tuareg prima dell’incontro con il mondo moderno. Passare da queste esperienze ad attività come il calcio o la pallacanestro non è generalmente un problema. La pratica degli sport moderni, la fraternità dei campi di gioco è anzi per i giovani che provengono dal chiuso mondo pastorale una sorta di dolce terapia del malessere che genera inevitabilmente l’impatto con il mondo totalmente nuovo in cui si trovano a dover vivere. I nomadi tuareg, tobu, peul, abituati per secoli a spaziare per tutta l’area sahariana e sahelica, sopportano male i mille condizionamenti dell’età moderna e in Algeria e nei paesi limitrofi, nonostante l’attenzione dedicata ai loro problemi, essi vivono una difficile transizione. Nel tentativo di rendere indolore questo processo di integrazione, lo sport finisce con l’assumere un ruolo consolatorio nella perdita del loro paradiso. E anche per il giovane «nordista», insegnante o soldato, la partita di calcio, intermezzo gradito della sua giornata, è l’occasione per incominciare a capire quei personaggi bizzarri, quegli enigmatici compatrioti che sono gli uomini blu. Mario Dondero