MARIO SERENELLINI, Repubblica 20 gennaio 2008, 20 gennaio 2008
John Voight. Repubblica 20 gennaio 2008. C´è un altro 11 settembre in America. Risale al 1857, un secolo e mezzo fa
John Voight. Repubblica 20 gennaio 2008. C´è un altro 11 settembre in America. Risale al 1857, un secolo e mezzo fa. Un altro agguato, un´altra strage. Un primo blitz di sopraffazione a tradimento, mascherato da credo religioso, anzi, da diktat divino. Siamo sulle Mountain Meadows, nello Utah, territorio mormone. Intere famiglie, stipate dentro una lunga carovana, vacillante grattacielo orizzontale in viaggio verso la California, sono assalite e brutalmente sterminate dagli "illuminati", i mormoni padroni, scatenati «in the name of God» contro gli infedeli, diavoli incarnati. Le verdi alture dello Utah s´arrossano del sangue di 137 coloni, di cui 17 bambini, 22 donne, 13 vecchi: 137 pionieri il cui "American Dream" s´è spezzato in massacro, l´11 settembre 1857, prima data sicura di un´azione di terrorismo religioso sul suolo degli Stati Uniti. Indignato da quella storica carneficina (di cui si trova traccia anche in Mark Twain, nel suo Roughing It), un film disseppellisce la vergogna, la faccia nascosta dell´America on the road. S´intitola September Dawn, l´ha diretto Christopher Cain (Young Guns - Giovani pistole), che l´ha presentato in prima in Canada, al XXXI Festival des Films du Monde di Montreal, accompagnato dal protagonista, Jon Voight, convinto del valore di monito che può avere oggi quella pagina di storia insanguinata: «Quell´11 settembre di centocinquanta anni fa riguarda tutti noi, alle prese con i fanatismi religiosi che inquinano il mondo», s´accende l´attore: «Il film non è sui mormoni ma sulle ideologie dell´intolleranza, sulle intrusioni della religione nella politica e nel destino dei popoli, sugli estremismi fondamentalisti e le violenze che provocano. Tutte le religioni che hanno oggi potere e largo seguito dovrebbero fare un esame di coscienza, voltarsi a guardare le scie di sangue che si lasciano alle spalle e fare di tutto per non ripetere i gravi errori del passato. Gente innocente veniva uccisa nel nome di Dio secoli fa e continua a essere uccisa nel nome di Dio oggi». Abituato a lavorare con grandi registi, da John Schlesinger a Martin Ritt, da John Boorman a Francis Ford Coppola, anche stavolta Voight ha selezionato con attenzione il nuovo impegno tra le molte proposte che continuano a arrivargli, a sessantanove anni, sia dal cinema che dalla tv: «In Usa è sempre più difficile realizzare film come questo, dove si obbliga il pubblico a guardare in faccia la realtà. Hollywood sforna ormai quasi unicamente film-pop-corn o supergiocattoli in celluloide, costruiti al computer, tutta tecnologia e effetti speciali. Una situazione produttiva che rende immediatamente ardite, ma anche all´antica, opere di sia pur larvata denuncia. Non a caso, negli Stati Uniti hanno bollato September Dawn con la temuta "R", il divieto ai minori». Gli occhi d´azzurro felino, capelli d´argento, il sorriso che si apre subito al riso risvegliando l´espressione sorpresa, quasi infantile dei suoi primi film, Voight, incoronato dal direttore del festival di Montreal con il Grand Prix des Amériques alla carriera, è da tempo una miracolosa stella evergreen del made in Usa. Oggi è percepito dalle nuove generazioni soprattutto come papà di Angelina Jolie, ma è uno dei grandi di Hollywood, e dei più inossidabili. Antico bello a tutto schermo, quasi un Brad Pitt degli anni Sessanta-Settanta, da Un uomo da marciapiede a Un tranquillo week-end di paura, è, nelle successive stagioni, un caratterista perfezionista, dal Franklin D. Roosevelt di Pearl Harbour al Wojtyla della fiction Rai di due anni fa. Una carriera che sfiora il mezzo secolo, tra cinema, teatro, tv, cadenzata da ripetute nomination agli Oscar - oltre che per Un uomo da marciapiede, per A trenta secondi dalla fine di Andrei Konchalovsky, Alì di Michael Mann (dov´era il giornalista sportivo) e Tornando a casa di Hal Ashby, sua prima e per ora unica statuetta, dovuta al ritratto perfetto di reduce dal Vietnam paralizzato alle gambe -, cui forse s´aggiungerà September Dawn, dove Voight è il livido vescovo dei mormoni, indotti al bagno di sangue da una sua predica infuocata, magistralmente persuasiva, di inquietante anticipazione mediatica: «I had a dream... Ho fatto un sogno...». «Non è un´invenzione della sceneggiatura», precisa l´attore: « un testo che viene dal passato, è il discorso pronunciato alla vigilia del massacro di Mountain Meadows. Ci ho messo l´anima nel prepararlo, l´ho rosolato ben bene: volevo che diventasse il manifesto d´ogni fanatismo religioso, d´ogni bluff politico. Io, cattolico, sono stato coinvolto in modo inatteso da questa pellicola, per il sorprendente riverbero che ha sull´epoca attuale. Tra tutti i film che ho interpretato, direi che September Dawn e Un tranquillo week-end di paura, altro capitolo della nostra brutalità animale, uscito ormai trentacinque anni fa, sono i due che meglio fanno da cassa di risonanza ai mali che oggi ci attanagliano». E Un uomo da marciapiede? « una gemma della mia carriera, grazie al regista e a un partner come Dustin Hoffman. Schlesinger aveva un innato sense of humour. Molti dialoghi li abbiamo improvvisati insieme sul set, tipo quello tra me e Dustin: "Curioso, non ti ho mai visto una volta cambiare gli slip". "E tu, com´è che conquisti tutti con i tuoi abiti da cowboy? John Wayne era pederasta?". "Parli come un prete...". Sul set Schlesinger era un perfezionista, non tanto nella tecnica quanto nella sensibilità. Talvolta, davanti agli ostacoli, noi uomini miglioriamo le nostre capacità. Principio che vale più che mai sui set. I frequenti dubbi di Schlesinger avevano spinto Dustin e me a dare di più, in una sana gara a chi farà meglio. C´è una sequenza che rimane la mia preferita, non solo in questo film ma forse nella totalità di quelli che ho girato e che ho visto da spettatore. quando Dustin e io, grandi amici, ci battiamo, perché stiamo per prendere decisioni opposte. Un conflitto elementare, che diventa la scintilla, l´eruzione che illumina tutto quanto finora non era stato detto, che ciascuno aveva tenuto per sé. Un colpo di bacchetta magica ma anche un passaggio di grande complessità, costato a Schlesinger due notti insonni e incontri sfiancanti con lo sceneggiatore. una sequenza perfetta perché scioglie in un attimo un intreccio aggrovigliato e restituisce intera, ai due personaggi, la loro personalità». Un solo dispiacere nella meravigliosa collezione di ruoli e registi del suo cinema: Qualcuno volò sul nido del cuculo. «Avevo tempestato di telefonate il produttore Michael Douglas e il regista Milos Forman. Per il ruolo di protagonista era stato in corsa anche il papà di Michael, Kirk Douglas. Non ce l´ho fatta, nonostante il mio assedio ostinato. Il film non è male. E devo dire che nessuno meglio di Jack Nicholson avrebbe potuto interpretarlo». Sempre cavalleresco, ormai chiamato a ricoprire soprattutto ruoli di patriarca (persino, otto anni fa, il biblico Noè nella miniserie della Nbc Noah´s Ark), Voight continua a essere presente a tempo pieno sugli schermi. Segretario alla Difesa nell´estivo Transformers, sarà tra poco, con Nicolas Cage e Diane Kruger, in National Treasure: Book of Secrets e, a fianco di Edward Norton e Colin Farrell, in Pride and Glory: «Un dramma», anticipa, «girato nello spirito del cinema statunitense degli anni Settanta. Mi farà sentire più giovane», sorride. Riconosce gli alti e bassi, se non le montagne russe, d´una carriera comunque invidiabile. Tra le cadute ingloriose, indica, ma con autoindulgenza («vi ho preso parte perché ne era protagonista mia figlia, nel ruolo di Lara Croft»), Tomb Raider: «Ero Lord Croft, uno dei ruoli più scemi che mi siano mai capitati. E il film è quel che prima tacciavo di pop-corn. Anch´io ci sono cascato. Ma per debolezza paterna». Sulle altre fragilità padre-figlia, che l´han visto al centro d´una mini-soap-opera domestica, anch´essa pop-corn, preferirebbe glissare. Riassunto delle due puntate precedenti: Angelina detesta il padre per le ripetute scappatelle fatte subire alla madre adorata, l´attrice-produttrice francese Marcheline Bertrand, e il padre peggiora la situazione dichiarando in tv, anni fa, che la figlia è psicolabile, un po´ per causa sua. Terza, prossima puntata: riconciliazione, dopo la morte della madre avvenuta lo scorso gennaio. Voight, ora legato alla cantante Diana Ross, non nasconde i suoi andirivieni sentimentali: «Le donne sono state la calamita della mia vita. Ho avuto due mogli (la prima, Laurie Peters, l´ho conosciuta nel 1961 a Broadway sulle scene del musical The Sound of Music) e innumerevoli amori. Curioso: nel cinema mi ricordate per Un uomo da marciapiede, dove sono un prostituto, ma nella vita sono un devoto esclusivo della donna. un peccato ereditario: lo devo a mio padre cèko-americano, campione di golf, fisico atletico e sguardo leale, che del cinema faceva polpette, non perdendo mai l´occasione di parodiare qualche scena epocale. Da lui mi viene una certa inclinazione all´istrionismo, al divertissement, anche tra le lenzuola: all´Università Cattolica di Washington, dov´ero stato spedito per ricevere un´educazione esemplare, il migliore apprendistato è stato nel dormitorio delle ragazze, dov´ero di stanza ogni notte». Qualche amore sbagliato? «Uno, con Dustin Hoffman! successo sul set di Tootsie, dove lui è travestito da donna. Era con altre sue pari, vere. Abbiamo cominciato a parlare, non l´avevo riconosciuto: in versione femminile non era un granché, ma aveva una bella energia, uno sguardo deciso. stato lui a un certo momento a scoprire le carte, cambiando voce di colpo: "Jon, sono Dustin!". lì che, a parte l´imbarazzo del momento, ho capito, o meglio, ho avuto la conferma che tra uomo e donna entra in ballo un flusso elettrico tutto speciale: anche quando la donna è un uomo...». MARIO SERENELLINI