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 2008  gennaio 20 Domenica calendario

La nave delle donne. Repubblica 20 gennaio 2008. I"pacchi" scendono a Montevideo. la piccola e graziosa capitale, ricca e tranquilla, della Repubblica Orientale dell´Uruguay

La nave delle donne. Repubblica 20 gennaio 2008. I"pacchi" scendono a Montevideo. la piccola e graziosa capitale, ricca e tranquilla, della Repubblica Orientale dell´Uruguay. I pacchi, cioè le donne. Questo è il gergo delle persone dell´ambiente. Ci sono pacchi da diciassette a venti chili, cioè ragazze da diciassette a vent´anni. Quei pacchi non hanno peso. Hanno bisogno di documenti falsi e vengono imbarcati clandestinamente. Gli uomini dell´ambiente hanno complici su tutte le navi. Quando non si tratta di personale sottoposto, sono ufficiali. So bene quello che dico. Ai miei amici ufficiali di lungo corso della Marina, che rabbrividirebbero davanti a questa affermazione, potrei rispondere che non mi scandalizzo più di quando viene arrestato un giornalista corrotto che tributa onori o ricatta questi uomini di mondo o della finanza. I "pacchi" clandestini viaggiano a modo loro. Se ne trovano nel fondo delle navi, camuffati da fuochisti. Durante le ispezioni, i complici li nascondono in una caldaia spenta, in una presa d´aria, in un cassone per le boe, nella sala macchine. Questi pacchi sono fragili, non vedono mai la luce del giorno durante il viaggio e si concede loro solo l´aria della notte, quando le luci sono basse e le stelle alte nel cielo. Questi pacchi senza peso, senza passaporto e senza biglietto, non sempre si fermano a Montevideo, ma proseguono fino a Buenos Aires. Lì la nave sosta otto giorni, il tempo di farle filare via. Quando le ragazze vengono scoperte e non sono abbastanza "carine", le autorità sudamericane le reimbarcano sullo stesso vapore. Ma non si è mai sentito che una bella Franchucha venisse ricondotta a bordo. E capisco bene il perché. Al di fuori di questi casi, lo sbarco avviene a Montevideo. Non direi che l´Uruguay sia un Paese francofilo. Non ci sono Paesi francofili, e va bene così. Il giorno in cui i nostri governanti lo avranno capito, la nostra diplomazia avrà fatto un grande passo avanti nella scienza delle relazioni internazionali. Ma non è questo il punto. L´Uruguay si fa molti riguardi nei nostri confronti. Così, per sbarcarvi, il francese non ha bisogno di visti. Inoltre i suoi funzionari non sono così animali come nel resto dell´America, dal Nord al Sud. Così animali o così mascalzoni. Non vi si avvicinano con un coltello per sventrarvi e controllare se la vostra appendice sia conforme alla lunghezza regolamentare, in mancanza della quale non potreste calcare, senza sporcarla, la terra delicata che oggi è diventata nazione dove i loro nonni, con mani e piedi sudici, sbarcarono un tempo come bovari. L´Uruguay offre anche un altro vantaggio: i Mihanovitch. Il signor Mihanovitch era polacco, ed era giunto molti anni prima in quelle regioni del Sud. Aveva fatto fortuna e poi era morto, lasciando dei battelli fluviali illuminati come casinò che vanno e vengono sul Rio de la Plata. Partono tutte le sere che il Creatore manda sulla terra, alle dieci, da Montevideo e da Buenos Aires, e tutte le mattine, che sempre il Creatore dovrebbe mandare sulla terra, arrivano alle otto a Buenos Aires e a Montevideo. Sui Mihanovitch non si ha l´aria di grandi viaggiatori, ma quella di chi fa visita a un vicino. E la polizia vi lascia in pace. Così le donnine di quei signori vanno dall´Uruguay all´Argentina. Il Malta entrò a Montevideo. Quella mattina Lucien Carlet non parlava più a Blanche Tuman. Le passava davanti come se non la conoscesse. « una cosa stupida, tutti sanno che lei sta con la ragazza!». Mi rispose che sapeva quello che faceva. «Le ho insegnato la lezione», mi disse. «Vada da lei e mi dica se l´ha imparata bene». «Quale lezione?». «Quello che deve dire ai poliziotti e che cosa deve fare». La Gallina era in divisa. Copricapo nero, vestito nero, valigia al fianco. Per santa Maria Maddalena sua patrona, non aveva affatto un´aria fiera! Le feci coraggio. Mi disse che aveva molta paura. «Allora, che cosa dirà ai poliziotti che la chiameranno nel bar per controllare i suoi documenti?». «Non dirò niente. Se mi parleranno, dirò che vado da mia zia, che è sarta e abita… Ecco! Non lo so più. Ho dimenticato quello che mi ha detto. Non mi piace mentire. Che cosa farò?». Feci un segno a Lu-lu, che si avvicinò subito. «Dove abita mia zia? L´ho scordato». «Posito. A Po-si-to. Capito? Ripetilo, su. una spiaggia qui vicino. Ripetilo». «Mi viene da piangere!». «In nome di Dio!», disse Lu-lu, e se ne andò. La nave stava accostando. Sul molo c´erano alcuni protettori francesi. Quel giorno se ne sarebbero andati a mani vuote: niente pacchi per loro. Dovevano saperlo, ma venivano in ogni caso, per abitudine. Lu-lu fece un cenno amichevole e loro risposero con discrezione. La faccenda era ben organizzata. La polizia si era già installata nel bar della prima classe. Lì c´erano anche i passeggeri che scendevano a Montevideo. E dal ponte, attraverso una finestra, Lu-lu sorvegliava la sua mercanzia. Venne il turno della povera Gallina. I poliziotti le presero il passaporto. La ragazza tremava. Lu-lu, disgustato dalla debolezza delle donne, guardava la scena mordendosi le labbra. Un poliziotto interrogò la giovane. Fu una bella scena! Lei parlò di sua zia, di una spiaggia che era là… Ah, l´innocente! Fu a questo punto che vidi una cosa che somigliava alla decisione suprema di un generale in capo davanti al nemico. Lucien Carlet, che aveva capito tutto, lasciò la sua postazione, entrò nel bar, si diresse verso i poliziotti e disse: «Perché fate delle difficoltà a questa ragazza? Mi sono incaricato io di aiutarla durante il viaggio. timida, non sa rispondervi. la prima volta che si allontana dalla sua famiglia. Viene qui da sua zia che fa la sarta a Posito». «Come si chiama questa zia?», domandò il poliziotto. «Come si chiama sua zia?», chiese Lu-lu. «Signora Beaumartin, mi pare». «Sì, signora Beaumartin». «Allora bisogna dirlo quando questi signori la interrogano. Non lo domandano per farle del male. Il suo passaporto non è in regola?». E avanzando verso il funzionario che aveva in mano i documenti: « in regola». Poi, voltandosi verso la ragazza, chiese: «Non ha anche il certificato di buona condotta? Dov´è? Bisogna mostrarlo, su! Ah, benedetta ragazza!». La giovane prese dalla sua borsa il certificato. L´aveva ottenuto grazie ai documenti della sorella della San Vincenzo de Paoli! «E qual è l´indirizzo esatto di sua zia?». «Anche quello è nella borsa», disse Lu-lu. «Me l´ha mostrato insieme alla lettera. Si calmi e cerchi tranquillamente». La ragazza trovò la lettera sulla quale veniva chiamata "Mia cara nipotina": «Se non sarò al molo», vi si leggeva, «è perché non sarò riuscita ad arrivare in tempo da Posito, dove ho molte faccende da sbrigare. Fatti portare all´Hotel Solis. Verrò a cercarti lì in giornata». Provai una grande ammirazione per Lucien Carlet e i suoi colleghi: ecco dei veri organizzatori! I poliziotti avevano fatto il loro dovere, il "pacco" aveva i timbri di legge, e le autorità apposero il visto di sbarco. La sera, in partenza da Montevideo, Lucien Carlet non era a bordo, anche se i suoi bagagli occupavano ancora la sua cabina. «Si è fatto arrestare», dissero alcune persone che non conoscevano niente della vita. E aggiunsero: «Ben fatto!». L´indomani, alle quattro del pomeriggio, il Malta, vapore francese di quindicimila tonnellate, capitanato da Emile Gaultier Du Marache, appartenente alla flotta dei Caricatori Riuniti e proveniente da Amburgo attraverso Anversa, Le Havre, La Pallice, Bilbao, Vigo, Oporto, Tenerife, Dakar, Rio, Santos, Montevideo, entrava nella bocca destra del porto di Buenos Aires, trentasei gradi sud di latitudine. Lucien Carlet era sul molo e ci aspettava, insieme a una donna. «Non è la stessa!», gridarono alcuni passeggeri. «Com´è astuto!». I viaggiatori approfittarono dell´occasione per chiedermi quale piacere avessi tratto nel frequentare un individuo simile. Quando risposi che ero andato in Argentina unicamente per vivere con lui e i suoi pari, se ne andarono vicino ai loro bagagli. Dopo avere esaminato i miei documenti, le autorità della Repubblica Latina e Argentina mi giudicarono indesiderabile. Risposi che non avevo mai avuto la pretesa di ispirare loro simpatia. Non mi capirono. Mi mancavano un sacco di documenti. Tanto per cominciare, non avevo intinto le mie quattro dita e il pollice nel tampone d´inchiostro ed ero così arrivato senza le impronte digitali. Feci notare che le impronte le avevo comunque, ma che invece di depositarle su un foglio me le ero conservate sulla punta delle dita, per essere più sicuro, aggiunsi, di non perderle. Non gradirono la mia spiegazione. In più, avevo osato viaggiare senza l´estratto della mia casella giudiziaria, il che dimostrava in modo eclatante che non ne avevo una. Infine vollero sapere se conoscessi qualcuno a Buenos Aires che potesse garantire per me. «No», risposi. «Non ho zie!». La presero come un´offesa personale e si incattivirono. «Che cosa viene a fare a Buenos Aires?». Risposi che in verità ero lì per vedere i magnaccia. Mi chiesero di ripetere quello che avevo detto. Allora dissi: «Sono qui per vedere i magnaccia». Seguì un rapido consulto. Misero il mio passaporto in una grande cartella nera come la loro anima, le loro unghie e i loro capelli. Feci notare che mancavano di logica. «Mi rimproverate di non avere abbastanza documenti», dissi, «e poi mi sottraete l´unico che ho». Mi risposero che era loro diritto. Ribattei che se era loro diritto anche prendermi la camicia, gliel´avrei consegnata con colletto e bottoni. «In ogni caso», fecero quelli, «lei non sbarcherà». Mandarono a cercare una guardia, e poiché suo padre era tedesco, la madre francese, i nonni uno italiano e l´altro siriano, le nonne una portoghese e l´altra polacca, il mio carceriere era un perfetto argentino. Ero prigioniero, e loro se ne andarono. Devo riconoscere che la mia anima non era particolarmente scossa. Non sarebbero stati quei barbari pedanti a impedirmi di fare il mio mestiere. Mi appello a voi tutti, vecchi compagni di viaggio, non abbiamo forse imparato grandi cose nel corso di una vita che poteva essere impiegata meglio? Sulla nave i cocktail venivano serviti freschi. E sulla nave ho imparato che la Compagnia dei Caricatori Riuniti era responsabile per me. Avrebbe pagato allo Stato argentino duemila pesos d´oro di ammenda se non mi avessero più trovato sul vapore. Duemila pesos d´oro: sessantamila franchi! Non valevo tanto! Dopo tutto non ero l´erede della Compagnia dei Caricatori Riuniti. Lucien Carlet salì a bordo per cercare i bagagli. « uno scherzo!», disse. «Non la lasciano sbarcare?». «No!». Allora il trafficante di donne, che calpestava liberamente il suolo argentino, mi disse: «Lei non si muova. Vado io a risolvere la faccenda». Scese a terra per domandare la grazia per me. E la ottenne. ALBERT LONDRES