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 2008  gennaio 20 Domenica calendario

Il metodo Orson Welles. Repubblica 20 gennaio 2008. Di solito si cominciano le storie dal principio

Il metodo Orson Welles. Repubblica 20 gennaio 2008. Di solito si cominciano le storie dal principio. Lo raccomanda anche l´Alice di Lewis Carroll. Invece, per una volta, vale la pena di cominciare dalla fine. Perché, per una volta, la fine non è nota, o almeno solo ai super-appassionati. Perché tutti conoscono la storia del genio bambino e poi ragazzo e poi giovanissimo uomo che stupisce l´America con la sua bravura teatrale, la seduce con i suoi personaggi elisabettiani, la terrorizza via radio con La guerra dei mondi, la conquista (e ne viene, parallelamente, respinto) con un film che resta un caposaldo del cinema, il capolavoro più votato dalla critica e dalla stampa e per più anni, il prototipo e il contenitore di modelli e di modi, insomma, con Quarto potere. Ma è meno noto il finale della sua affannata, meravigliosa, difficilissima vita sempre in corsa, sempre scansando le trivialità quotidiane, sempre in una fuga in avanti e in un perenne debito con se stesso e con il proprio genio, sempre senza gli strumenti necessari per esprimersi con l´agio che lui, Orson Welles, avrebbe meritato. meno noto il finale del "non finito" wellesiano: non la scelta radicale di Michelangelo, ma un destino, una maledizione, una impossibilità, che, accanto a tredici grandi film compiuti, ha generato un patrimonio di incompiuti su cui critici, studiosi e pubblico possono sognare e studiare pensando all´altro, possibile Welles.  la parte più affascinante del grande e bel volume dedicato a Orson Welles da due suoi assidui e sapienti studiosi, Jean-Pierre Berthomé e François Thomas, Orson Welles at Work (che è l´edizione inglese dello studio pubblicato due anni fa dalle edizioni dei Cahiers du Cinéma). Un libro che percorre tutta la vita e la carriera di Welles, i suoi molti metodi di lavoro («non esiste un metodo Welles, scrivono i curatori, ma quasi altrettanti metodi quanti sono i suoi film», che non sono stati fatti «secondo uno schema logico e regolare ma sono stati spesso il prodotto del caso e di imprevedibili circostanze»), i suoi film compiuti (quattordici, secondo i due studiosi francesi che mettono nel conto anche Terrore sul Mar Nero, scritto sì e prodotto da Welles ma diretto in effetti da Norman Foster, salvo alcuni interventi del nostro) e i molti non finiti, o dispersi tra cento sedi misteriose, o in depositi diversi, o una pizza qui e dieci là, o senza il sonoro, o un rullo soltanto e via, riflesso di un modo di lavorare e di una creatività perennemente in azione, di un´incapacità di essere normale e di fare i conti come ogni bravo produttore dovrebbe fare. Di alcuni film wellesiani incompiuti si è tentato l´assemblaggio. Come è successo, tra le critiche indignate ma anche parzialmente giustificate dei puristi, per il Don Quixote girato a pezzi e bocconi da Welles in Messico, Italia e Spagna tra il 1957 e il 1972, un film che lo spagnolo Jesus Franco ha montato in maniera per forza arbitraria con i soli materiali in possesso di Oja Kodar, la scultrice, sceneggiatrice e attrice che fu la compagna di Welles negli ultimi venti anni della sua vita. E, tuttavia, un film che ci consente di vedere alcune sequenze meravigliose che il grande Orson girò, come faceva spesso, senza sceneggiatura, reinventando il suo progetto mentre lo girava. Di molti "non finiti" si possono vedere i fantasmi, quasi le sinopie, solo nelle retrospettive (Locarno ne ha dedicata a Welles una, ricchissima, nel 2005) o nelle cineteche, in particolare quella di Monaco dove gran parte degli incompiuti di Welles sono conservati. Ecco dunque, per esempio, i ventidue minuti di Moby Dick, in cui Welles legge brani del capolavoro melvilliano recitando lui stesso tutte le parti. Ecco il "pilota" di The Orson Welles Show. Ecco i frammenti di The Merchant of Venice. Ecco il suo King Lear, dove si vede semplicemente Welles che legge parti del testo shakespeariano. Ecco i ventiquattro minuti di The Dreamers, un abbozzo di film girato nel cortile della sua casa di Hollywood tra il 1980 e l´anno della sua morte, il 1985: tratto da un racconto di Isak Dinesen (a cui Welles già si era ispirato per il suo meraviglioso Histoire Immortelle), il film doveva raccontare la storia di tre uomini di tre paesi diversi che parlano ciascuno di un antico amore - salvo scoprire che stanno ricordando tutti la stessa donna, la bellissima Oja Kodar (per cui Welles stesso, in una delle sue mille reincarnazioni, disegnò i costumi ottocenteschi). E, retrocedendo ancora nel tempo, ecco, intrecciati negli anni tra il 1967 e il 1975, i resti di The Deep, un film con Jeanne Moreau, Oja Kodar, Michael Bryant e Laurence Harvey, da un thriller di Charles Williams, che sarebbe poi diventato, venticinque anni dopo, Dead Calm, con la giovanissima Nicole Kidman. Ed ecco il film che sarebbe dovuto essere, e in parte è, il testamento e la confessione in pubblico della difficoltà creativa e umana in cui versava in quegli anni Orson Welles, The Other Side of the Wind. Che in effetti venne girato quasi del tutto, protagonista John Huston nel ruolo dell´amico Welles, ma che, per ragioni legali, confusione, debiti, Welles non poté mai finire di montare - e di cui i Cahiers du Cinéma e il Festival di Locarno hanno pubblicato il testo completo: la storia di un film nel film, delle ultime ventiquattro ore della vita di un grande regista, di un´impotenza creativa, di una disperazione umana. Ma non poté mai montarlo, Welles, o non volle? Se lo chiedono, Berthomé e Thomas, e non solo loro: e sanno solo rispondere che la passione di Welles, negli ultimi anni della sua vita, per un montaggio complesso, frammentato, incomprensibile a chi non avesse in testa l´intera costruzione dell´opera, spiega, quanto i problemi legali, l´impossibilità di ridare forma al puzzle dei suoi meravigliosi frammenti. Certo, ripercorrendo a ritroso le pagine e la vita di Welles, si capiscono le origini del suo complesso rapporto con il montaggio. Il montaggio che gli ha permesso di costruire e ricostruire - tra mancanza di soldi, fughe di attrici terrorizzate, sparizioni dello stesso regista che andava a caccia di fondi sui set altrui (nel caso specifico, quello di Il terzo uomo) - un capolavoro come Othello: dove basterebbe il puzzle delle location (Venezia e Viterbo, Essaouira in Marocco e Tuscania) a dire la complessità della costruzione intellettuale e fisica che era nella testa di Welles. Il montaggio che Welles ha snobbato a favore del meraviglioso, stupefacente piano sequenza che apre L´infernale Quinlan. Il montaggio (affidato ad altri) che mentre Welles viveva la travagliata e a momenti tragica lavorazione di It´s All True in Brasile, nel 1942, sconvolgeva L´orgoglio degli Amberson e sanciva la sua separazione da Hollywood, dove pure era stato accolto solo un anno prima come il ragazzo prodigio che conquistava a passo di corsa il mondo del cinema con lo stupefacente monumento all´invenzione che è Quarto potere. E il montaggio che, nel suo film più fantasioso e più folle, F for Fake, consente all´autore, narratore, demiurgo Orson Welles di incantare lo spettatore con magie, imbrogli, frodi, menzogne, divertimento: un film in cui, sotto il segno dell´ironia, ricama sul tema del rapporto tra l´arte e la creazione artistica, tra il vero e il falso, tra la realtà e l´invenzione - che nel mondo di Orson Welles si confondono e intrecciano nel più straordinario corpus cinematografico della storia. IRENE BIGNARDI