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 2008  gennaio 20 Domenica calendario

Io, Coppi e Bartali rinunciavamo al sesso pur di vincere. Libero 20 gennaio 2008. Fax, fatture, telefonate, contratti

Io, Coppi e Bartali rinunciavamo al sesso pur di vincere. Libero 20 gennaio 2008. Fax, fatture, telefonate, contratti. Fiorenzo Magni, ma a 87 anni lavora ancora? «Dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 20, tutti i giorni. Gestisco due concessionarie d’auto. Il mio obiettivo è sempre stato lavorare fino a 90 anni. Ora ho spostato il limite a 95». Beh, visto come sta non sarà difficile. «Mi voglio bene, la mia vita è tutta famiglia e lavoro. E poi sono sempre stato dotato di grande forza fisica, non sono mai stanco e ho un recupero eccezionale. A 87 anni non ho nemmeno 50 battiti a riposo». Complimenti, ancora un cuore da atleta! «Il fisico è sempre stato la mia forza, da ragazzo avevo 42 battiti. Nel 1941 mi convocano a Torino, Istituto nazionale di medicina sportiva. Siamo in 40, ci sono i migliori sportivi italiani: Coppi, Bartali, Mazzola, Piola. Facciamo una serie di test e il risultato è netto: il più veloce a recuperare sono io». Sono passati 67 anni ed è sempre in forma, impossibile che non ci sia un segreto. «Ogni mattina, appena sveglio, bevo un litro di acqua calda: purifica. Poi faccio una vita regolare, a letto presto, colazione abbondante, pochissimo alcool e niente fumo». Pedala ancora? «Non più, dove abito io ci sono troppe salite. La bici mi manca, è un oggetto che mi ha dato la fortuna di conoscere il mondo. Ho voglia di tornare in sella. Nel frattempo dedico il tempo che mi resta al Museo del Ciclismo di Madonna del Ghisallo». Già, come nasce l’idea? «Tutti i trofei vinti, con il tempo, rischiano di andare persi. Così ho voluto costruire un posto in cui conservare la storia del ciclismo». Storia nella quale lei è protagonista. Torniamo indietro: come era il giovane Magni? «Nasco a Vaiano, frazione di Prato, il 7 dicembre 1920. Zona collinare, vedo sfilare i corridori che si allenano. E mi appassiono alla bicicletta». Prima bici? «Babbo me ne compra una pesantissima, con i freni a bacchetta. Per andare più veloce tolgo carter e parafanghi. La prima bicicletta da corsa vera, invece, è una Coveri fatta dal padre dello stilista, costo 40 lire». Gara d’esordio? «Vado di nascosto, senza dirlo ai miei. Si finisce in gruppo, sono sesto ma non firmo il foglio d’arrivo. E il giorno dopo "La Nazione" pubblica la classifica: il mio nome non risulta, nessuno ci crede». Poi? «Seconda gara, cado a Incisa. Disastro. Poi, però, iniziano i successi». E la chiamano "cipressino". «Sono alto e magrissimo, pelle e ossa. E "vado forte anche in salita». A 17 anni, però, la sua carriera subisce una frenata. «Muore papà, viene investito da un’auto. Mi alleno poco, devo aiutare la famiglia, sono anni difficili». Prima squadra da dilettante a Montecatini, poi il passaggio al professionismo con la Bianchi nel 1941. Finchè scoppia la guerra: dopo un anno di stop torna a correre nel ’47. «E da 63 chili sono diventato 90. Il rientro è duro, nella Milano-Torino arrivo ultimo, ma pochi giorni dopo nella MilanoSanremo sono già nono». Stagione 1948, Fiorenzo Magni vince il suo primo Giro d’Italia anche se penalizzato di 120 secondi per spinte irregolari. A proposito, si dice che lei nei primi chilometri si facesse sempre trainare dai gregari... «Una delle tante falsità. Figuriamoci. Indimenticabile, di quel Giro, l’arrivo al Vigorelli». Tra i fischi. «L’Italia è abituata a Coppi e Bartali, un nome nuovo infastidisce. La gente però non capisce che contestarmi è un errore: mi dà solo più energia». Nel 1950 sta per vincere il Tour. Invece... «Non so se l’avrei vinto, ma ero in maglia gialla e almeno sul podio sarei arrivato. Noi italiani eravamo forti, questo dava fastidio ai francesi. Al Sud ci maltrattano, insultano pesantemente Bartali. Gino, che non era certo un fifone, si spaventa e a cena dice che dobbiamo ritirarci. Binda si fa convincere e ci fa tornare in Italia». Rimpianti? «Io su quanto successo ho un’idea mia, ma non l’ho mai detta e non la dirò mai». Nel 1949 partecipa al Giro delle Fiandre. «Partiamo, in treno, io e il mio gregario, per questa avventura misteriosa. In inverno ho studiato una bici speciale: ruote in legno, molto robuste ed elastiche, tubolari particolari ben stagionati e gommapiuma intorno al manubrio. Arriviamo, troviamo una bettola per dormire, partiamo e, non avendo un’auto al seguito, ci dobbiamo riempire le tasche di cibo». Ricordo più curioso? «Non avevo mai visto un pavé, mi sembra l’asfalto del Vigorelli. Studio nei dettagli il percorso e a 80 km vado in fuga, mi riprendono a 5 dalla fine e vinco in volata». Successo bissato l’anno successivo. «Scappo sempre allo stesso punto, succederà anche la stagione dopo». Già, tre vittorie di fila. «Nel 1951 però abbiamo un’auto al seguito, una squadra vera - la Ganna - e mi presento in pompa magna. Scappo e a 20 km dalla fine si affianca Jacques Goddet, patron del Tour, con la sua Peugeot rossa. Dice: "C’est magnifique". Ai lati della strada ci sono tantissimi spettatori. Passo, mi guardano, si ricordano degli anni prima e commentano: "C’est le même", è lo stesso!». Terzo successo che le vale il soprannome di "Leone delle Fiandre". «Bellissimo, me lo dà il giornalista Ruggero Radice di Tuttosport». Sempre nel 1951, lei vince il suo secondo Giro d’Italia. «Che ridere a Napoli, sbagliano a fare i calcoli e non si accorgono che sono in rosa. Quando capiscono l’errore, vengono a consegnarmi la maglia in albergo! Guardi quel poster, lo vede?». Prima pagina della Gazzetta. Titolo d’apertura su due righe: "Milano acclama Fiorenzo Magni vincitore del XXXIV Giro d’Italia". «Bravo, ora scenda in fondo alla pagina. Lo vede quel titoletto?». "Al Milan lo scudetto tricolore". Ma... «Ebbene sì, nella stessa domenica i rossoneri avevano vinto il campionato! Capito quanto contava il ciclismo?». Urca. Curiosità: Tour, Giro d’Italia, Fiandre, classiche italiane. Ai tempi correvate tanto e senza distinzioni. Sì, insomma... Mai fatto uso di... «Un giorno chiedo al medico: "Non c’è nulla che mi possa aiutare?". Riposta: "E allora cosa dovrei dare a chi lavora in miniera?". Guardi, ogni tanto prendevamo anfetamine come Simpamina e Stenamina, al massimo cinque pastiglie durante il Giro. Tutta roba lecita, allora. Il mio vero doping era bere due caffè e bicarbonato per digerire prima delle salite. E poi tanto allenamento, a volte facevo anche tre volte il Ghisallo». Torniamo al Giro. Il suo vero capolavoro è quello del 1955, quando ormai ha 35 anni. «E tutti considerano la corsa finita a Trento, con Nencini in maglia rosa. La sera studio il percorso del giorno dopo (Trento-San Pellegrino) e vedo che c’è una strada sterrata e ghiaiosa in discesa. Penso: " la mia!!!". Chiamo mia moglie Liliana: "Domani vieni a San Pellegrino a vedermi". Lei: "Ma tanto ci vediamo tra due giorni all’arrivo di Milano". "Fidati, ti faccio una sorpresa". A 160 km Nencini fora e vado in fuga con Coppi, divento maglia rosa e lascio vincere a Fausto la Fiorenzo Magni, il terzouomo che arrivava primo. Nel ciclismo romantico che si divideva tra Coppi e Bartali, Bartali e Coppi, lui sudava e faticava, soffriva e poi sorprendeva. Pedalata regolare, discese all’attacco senza frenare, coraggio e tattica, quando decideva di andare in fuga o di riprendere qualcuno addio , partiva e non lo fermavi più. E vinceva: tre giri d’Italia (1948, 1951 e 1955), tre Giri del Piemonte, tre Trofei Baracchi, tre Campionati nazionali, un secondo posto ai Mondiali di ciclismo su strada (1951), ma soprattutto tre Giri delle Fiandre consecutivi (1949, 1950 e 1951) che l’hanno fatto diventare per tutti il Leone delle Fiandre . Fiorenzo Magni ora ha 87 anni e non va più in bicicletta, ma è restato un leone. tappa». Strepitoso. L’anno successivo non vince, ma diventa un eroe. «Grosseto-Livorno, discesa da ridere, non si sa come cado e mi fratturo la clavicola sinistra. Mi vogliono far ritirare, dico di no. Il meccanico Faliero Masi imbottisce il manubrio di gommapiuma e corro lo stesso la Livorno-Lucca. Dopo due giorni però è prevista la cronoscalata da Bologna al Santuario di San Luca». In salita con una clavicola fratturata? «Appunto, non ce la faccio. Il meccanico allora ha un’altra idea geniale: toglie la camera d’aria da un tubolare, l’attorci glia, ne fissa un’estremità sul manubrio e mi dà l’altra da tenere in bocca, in modo che possa far forza». Incredibile. «Aspetti. Il giorno dopo nella tappa Reggio Emilia-Rapallo, sto andando bene quando prendo una buca e cado sulla spalla fratturata: omero rotto. Svengo. Mi sveglio che sono in ambulanza, non ne voglio sapere di ritirarmi e proseguo». Quart’ultima tappa, c’è da fare lo Stelvio. «La salita è ok, ma poi c’è il problema discesa: con la mano sinistra non riesco a frenare. Masi allora sposta il freno anteriore a destra e applica alcuni rinforzi di cuoio sotto le scarpe, così rallento con la mano che riesce a far forza e con i piedi». Ultima difficoltà: la tappa del Bondone. «Nevica, atmosfera surreale, si ritirano tutti stremati dal freddo. Learco Guerra, ds della Faema, trova una tinozza e la riempie d’acqua bollente, ferma Charly Gaul e lo fa immergere. Così si scalda e ri- parte. Vincerà tappa e Giro. Io arrivo terzo al Bondone e secondo al Giro». E la spalla? «Gesso per 40 giorni». Scusi, e perché ride? «Dopo 25 giorni mi stufo, chiamo un meccanico della mia officina e mi faccio tagliar via il gesso!». Un leone... Magni, lei era chiamato anche il terzouomo , correva e vinceva con campioni come Coppi e Bartali. Si è mai sentito penalizzato? «Mai. Oltre a loro ho gareggiato con gente come Kubler, Koblet, Van Stenbergen e Bobet. Sono felice per quanto ho fatto, lo sport alla fine compensa vittorie e sconfitte». Parliamo di Bartali e Coppi. Iniziamo da Gino. «Per lui le tappe erano sempre troppo corte, vinceva con il caldo e con il freddo e beveva poco, non so come facesse, ma aveva sempre la borraccia mezza piena». Alt, alt. Allora nella famosa foto è Bartali che passa la borraccia a Coppi? «Conoscendoli, verrebbe da pensare così. La cosa bella è che nemmeno loro si ricordavano come è andata davvero». Un aspetto che non dimenticherà mai di Bartali? «La fede. Era religiosissimo come me, ma lui prima della Milano-Sanremo, di mattina presto, trovava il tempo e la forza di andare a messa malgrado la tensione. E in Francia facevamo sempre una scappata insieme a Lourdes. Quando è morto, l’hanno vestito con un saio». Miglior pregio? «La forza fisica, la mentalità. Gino avrebbe potuto vincere molto di più di quello che ha vinto». Un difetto? «Era un chiacchierone! Addormentarsi con lui era un’impresa». Fausto Coppi. «Lui invece era taciturno e fissato sull’ali mentazione: mangiava solo minestre e riso, niente pasta, era convinto ingrassasse». morto di malaria a soli 39 anni. «Il giorno più brutto della mia vita. Fausto si è dimostrato amico almeno in tre occasioni. Primo, quando minacciò di disertare la Roubaix se io fossi stato escluso perché avevo sulle maglie il marchio Nivea. Secondo, quando collaborò con me nella tappa Trento-San Pellegrino. Terzo, quando si presentò qui a Monza per l’inaugurazione della mia concessionaria». Diceva del marchio. stato lei a inventare gli sponsor. «Il ciclismo ti dà tanto tempo per pensare. Proprio mentre pedalavo avevo le idee migliori e più rivoluzionarie, tenevo un block notes in tasca e me le segnavo. Come gli sponsor e le pensioni per i corridori». Torniamo a Coppi. Fece scandalo la sua storia extraconiugale con Giulia Occhini, la "dama bianca". «Altri tempi, ora a Fausto gli avrebbero dato una medaglia...». Buona questa. Ma come era la Occhini? «Una bella donna, un tipo. Lui era innamoratissimo». Lei invece, con la "dama bianca", non ci andava d’accordo, vero? «Ero molto amico della moglie di Fausto, normale non legarci». Tanto che nel 1956, Giro della Lombardia... «Fausto è davanti, lei passa con una macchina privata e ci fa dei gestacci. Allora parto con un gruppetto, si fa l’insegui mento e lo raggiungiamo. Perderà in volata. E io: "Devi ringraziare la dama bianca"». Pregi di Coppi? «Bontà, intelligenza, capacità atletiche». Difetto? «Nessun difetto». Magni, ma lei è diventato ricco con il ciclismo? «Fino al ’54 si guadagnava pochissimo. I contratti di quei tempi erano di 4 milioni l’anno, più o meno». Però... Altro che i soldi di questi tempi. Oltre agli stipendi, in cosa è cambiato il ciclismo? «Nell’organizzazione. Le società sono grandi, curano tutto nei dettagli, hanno medici preparati. Noi dormivamo in alberghetti di fortuna, facevamo grandi sacrifici e vita da certosini. Il sesso, per esempio...». Ops. Racconti. «Ci si chiede se faccia bene agli atleti. Io dico che dipende dallo sport: un conto è nuoto, atletica, calcio. Un altro il ciclismo. Quando stai in bicicletta per sette ore tutti i giorni non puoi sprecare energie». Voi rinunciavate alle donne? «Sempre, anche per mesi. Mai fatto sesso quando c’era da correre». Magni, ultime domande veloci. 1) Il più bravo di sempre? «Guardando i risultati si deve dire Merckx. Tra gli italiani Coppi». 2) Di adesso? «Mi piacciono Zabel e Petacchi». 3) Il talento sprecato? «Romeo Venturelli, era un fuoriclasse». 4) C’è un nuovo Magni? «Moser mi assomigliava. Il mio unico rimpianto è che ho 5 nipoti, ma nessuno corre in bici». 5) Giochiamo con il tempo: lei, Coppi e Bartali ai giorni d’oggi, con gli allenamenti e le bici di adesso. Sareste ancora i tre più forti? «Credo proprio di sì. Però io sarei lo stesso il terzouomo ». HA VINTO TRE VOLTE IL GIRO D’ITALIA Fiorenzo Magni nasce a Vaiano il 7 dicembre 1920. Tra i sui successi più prestigiosi tre Giri d’Italia (1948, 1951 e 1955), tre Giri del Piemonte, tre Trofei Baracchi, tre Campionati nazionali, un secondo posto ai Mondiali di ciclismo su strada (1951), ma soprattutto tre Giri delle Fiandre consecutivi (1949, 1950 e 1951). Nella foto grande, mentre nel Giro d’Italia 1957 corre con una clavicola fratturata: con i denti tiene una camera d’aria legata al manubrio che gli permette di fare la salita p Ho 87 anni, gestisco due concessionarie di auto e lavoro tutti i giorni. Il mio cuore è forte come un tempo, ho ancora 50 battiti a risposo come un atleta: il segreto per rimanere in forma è bere un litro di acqua calda tutte le mattine. La prima volta al Giro delle Fiandre io e il mio gregario ci siamo presentati in treno e senza soldi. Al terzo successo successo di fila in tre anni la gente mi vedeva in fuga e diceva: "C’est le même", è lo stesso COPPIE E BARTALI Fiorenzo Magni era il "ter zo uomo", il campione che si inseriva nella rivalità Coppi-Bartali. Già, perchè il ciclismo italiano, in quegli anni, si divideva tra questi due due fuoriclasse capaci di far sognare e litigare intere generazioni. E di vincere tutto quanto fosse possibile. Ecco chi erano. FAUSTO COPPI Fausto Coppi nasce a Castellania il 15 settembre 1919. Soprannominato "il Campionissimo" o "l’Ai rone", è il corridore più vincente e famoso dell’epoca d’oro del ciclismo, ed è considerato uno dei più grandi e popolari atleti di tutti i tempi. Eccellente passista e scalatore, è molto forte anche in volata, risultando un corridore completo e adatto ad ogni tipo di competizione su strada. S’impone sia nelle più importanti corse a tappe sia nelle maggiori classiche di un giorno ed è anche campione di ciclismo su pista. Vince cinque volte (un record) il Giro d’Italia (1940, 1947, 1949, 1952 e 1953), e due volte il Tour de France (1949 e 1952). Fra i suoi numerosi successi nelle corse in linea vanno ricordate le cinque affermazioni (record) al Giro di Lombardia (1946, 1947, 1948, 1949 e 1954), le tre vittorie alla Milano-Sanremo (1946, 1948 e 1949), e i successi alla Parigi-Roubaix e alla Freccia Vallone nel 1950. Muore a Tortona il 2 gennaio 1960 per malaria. GINO BARTALI Gino Bartali nasce a Ponte a Ema, una frazione di Bagno a Ripoli e oggi parte di Firenze, il 18 luglio 1914. Arrivato al successo prima di Coppi, la sua carriera è condizionata dalla seconda guerra mondiale, sopraggiunta proprio nei suoi anni migliori. Soprannominato "Ginet taccio", è grande avversario di Coppi: leggendaria la loro rivalità, che divide l’Italia nell’immediato dopoguerra (anche per le presunte diverse posizioni politiche dei due). Da ricordare anche che la sua vittoria al Tour del 1948 contribuisce a calmare la tensione in un’Italia sull’orlo della guerra civile dopo l’attentato a Togliatti. Tra i molti successi tre Giri d’Italia (1936, 1937 e 1946), due Tour de France (1938 e 1948), quattro Milano-Sanremo (1939, 1940, 1947 e 1950) e tre Giro di Lombardia (1936, 1939 e 1940). Muore il 5 maggio del 2000. .p Il capolavoro della mia carriera è il Giro del ’56: a San Pellegrino ho fatto una rimonta strepitosa. Quella volta che ho corso con una spalla fratturata, tenendo il manubrio con i denti grazie a una camera d’aria e frenando con i piedi. Vi racconto segreti e virtù dei miei amici e avversari: Fausto era timido e fissato per l’alimentazione, Gino chiacchierone e molto religioso. Ora mi piacciono Zabel e Petacchi Alessandro Dell’orto