Corriere della Sera 24 gennaio 2008, Antonio Ferrari, 24 gennaio 2008
Due Hamas in guerra. Corriere della Sera 24 gennaio 2008. Questa fuga disperata riassume il dramma del popolo della Striscia, vittima e complice del proprio destino
Due Hamas in guerra. Corriere della Sera 24 gennaio 2008. Questa fuga disperata riassume il dramma del popolo della Striscia, vittima e complice del proprio destino. Vittima due volte: paga infatti le colpe del vertice di Hamas, padrone di Gaza, che si oppone violentemente alla leadership del presidente Abu Mazen, e che continua a lanciare razzi mortali sulla città israeliana di Sderot; e paga la dura rappresaglia dello Stato ebraico, che con l’embargo del 17 gennaio sta privando Gaza del necessario. Scuole chiuse, ospedali senza elettricità e medicine, penuria di cibo e di acqua. Vittima, ma anche complice, perché quello sfortunato lembo di terra è diventato una prigione di miseria e di violenza a causa del sostegno offerto a coloro che non soltanto si rifiutano di riconoscere Israele, ma non accettano neppure gli accordi sottoscritti dall’Anp, da Yasser Arafat in poi. La disperazione ora è diventata incontenibile. All’alba, i palestinesi si sono aperti i varchi servendosi delle bombe, facendo saltare parte del muro che taglia Rafah in due: per metà Palestina, per metà Egitto. Poi, dopo la decisione del presidente Hosni Mubarak di lasciarli entrare temporaneamente perché «hanno fame», il flusso è diventato inarrestabile. Fare dei calcoli è praticamente impossibile, ma alcune migliaia di profughi hanno portato con sé tutto ciò che hanno, nella speranza di trovare rifugio altrove. Per la maggioranza, che non coltiva speranze alternative, esiste soltanto la possibilità di rifocillarsi e tornare a casa, dopo aver svuotato i negozi della Rafah egiziana e della vicina El Arish. Un autentico assalto, in molti casi dominato dagli speculatori, che vogliono rivendere a Gaza, a prezzi quintuplicati, ciò che hanno acquistato, per l’inattesa gioia dei commercianti egiziani. chiaro che quanto sta accadendo è insostenibile anche per il Cairo, che sta facendo del suo meglio ma non era preparato ad affrontare questa emergenza. Il problema è umanitario, ma il nodo di questa tragedia collettiva è politico. Da Damasco è partito un segnale che invita i palestinesi alla «riconciliazione nazionale», ma la verità, al di là di sterili dichiarazioni, è che vi sono sempre due Hamas: quella del primo ministro Ismail Hanije, che da Gaza chiede un urgente incontro ad Abu Mazen e al vertice egiziano per fronteggiare l’emergenza, tendendo quindi la mano al presidente, che da tempo chiede elezioni anticipate, vincolando i partiti ad accettare le regole dell’Anp; e quella del falco Khaled Meshal, che vive in Siria, e che continua ad opporsi a qualsiasi compromesso. Quel compromesso necessario alle parti per porre fine a un disastroso «conflitto civile», che umilia le speranze di riavviare il negoziato di pace. Finché non si scioglierà questo nodo, sarà impossibile trovare una soluzione. Ora, c’è già chi sostiene che l’odio degli abitanti di Gaza per Israele crescerà, e rafforzerà la linea dura di Hamas. Ma ci potrebbe essere anche l’effetto opposto. Il rigetto della linea dura di Hamas, che ha accresciuto le sofferenze della gente, potrebbe rafforzare proprio il disegno di Abu Mazen, che punta a convincere il popolo della Striscia di poter essere, con il suo realismo e con la sua volontà negoziale, l’unico in grado di offrire a Gaza la speranza di un futuro migliore. Non resta da sperare che ci riesca. Antonio Ferrari