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 2008  gennaio 24 Giovedì calendario

Private equity, ora i re del capitalismo rischiano grosso. Corriere della Sera 24 gennaio 2008. Ad agosto, l’improvvisa penuria di liquidità, generata dalla crisi dei subprime, aveva sospeso, e in molti casi bloccato, operazioni per 400 miliardi di dollari aperte dai fondi di private equity, i nuovi re del capitalismo secondo l’Economist, la terza via tra proprietà padronale e proprietà diffusa

Private equity, ora i re del capitalismo rischiano grosso. Corriere della Sera 24 gennaio 2008. Ad agosto, l’improvvisa penuria di liquidità, generata dalla crisi dei subprime, aveva sospeso, e in molti casi bloccato, operazioni per 400 miliardi di dollari aperte dai fondi di private equity, i nuovi re del capitalismo secondo l’Economist, la terza via tra proprietà padronale e proprietà diffusa. Adesso, la caduta delle Borse sta portando il secondo colpo che va a colpire gli investimenti già fatti. Blackstone, il gigante nel quale è presente pure il fondo sovrano della Cina comunista, ha perso il 48% nei primi sei mesi di quotazione a Wall Street, sei volte più dell’indice Dow Jones. In Italia, M&C, iniziativa analoga avviata da Carlo De Benedetti, non ha avuto miglior fortuna. I private equity sono fondi chiusi formati da ricche persone, società, banche, assicurazioni, fondi pensione, che forniscono il capitale di rischio nella misura del 20-30%. Blackstone ha perso il 48% nei primi sei mesi di quotazione a Wall Street, sei volte più dell’indice Dow Jones quanto in effetti viene impiegato. Il resto lo prestano le banche. Questi fondi comprano imprese di diversa taglia togliendole, se quotate, dal listino. Subito scaricano il debito acceso per l’acquisizione sulla preda, che porta gli interessi passivi in detrazione fiscale risparmiando imposte. Di regola, si affidano a manager cointeressati al guadagno atteso con la cessione dell’impresa. I manager talvolta la sviluppano liberi da remore padronali, tal’altra la frazionano per rivenderla a pezzi. Nemici degli sprechi, spesso tagliano il personale per aumentare l’efficienza. Se tutto va bene, il debito viene rapidamente ridotto e il valore ivi imprigionato viene liberato e travasato nelle azioni. In genere, dopo 3-5 anni, l’azienda può essere rivenduta con guadagni più o meno lauti: del 20-30% medio annuo, a seconda dell’apporto manageriale e del momento dei mercati. In Italia, fanalino di coda, il private equity realizza 300 acquisizioni l’anno, ma è entrato nella storia della finanza con l’affare miliardario di Seat Pagine Gialle condotto da Investitori Associati, De Agostini e altri. Assai fortunate anche le operazioni di Bc Partners su Galbani, di Carlyle e Finmeccanica su gli investimenti di Investitori Associati su Rinascente e di Permira su Valentino Fashion Il fondo di private equity ha da poco compiuto 20 anni. Gestisce 75,6 miliardi di dollari ripartiti in 55 fondi Group. D’altra parte, si può agire come private equity anche senza essere un fondo. La famiglia Benetton, per esempio, l’ha fatto con successo in Autogrill e Autostrade, ora Atlantia. Idem Gnutti e Colaninno con Telecom Italia. La Pirelli, invece, con Telecom non ha avuto successo perché l’aveva pagata troppo. Per 15 anni, il gioco si è fondato su quattro fattori: 1) un’economia in costante sviluppo che esalta il valore delle imprese; 2) un credito facile e a buon mercato; 3) un fisco complice talché un gestore di fondi può subire imposte inferiori a quelle della sua donna delle pulizie; 4) governi disattenti o succubi che non si sono curati dell’opacità di molti fondi. Ora i nuovi re del capitalismo fronteggiano il rischio di una recessione e la recessione abbassa il prezzo delle imprese. Chi ha comprato nei dodici mesi precedenti la crisi si trova in mano aziende che oggi verrebbero scambiate a molto meno e che, causa la contrazione dei consumi, promettono guadagni inferiori al previsto per un periodo non ben prevedibile. In parecchi casi, le banche dovranno chiedere l’integrazione delle garanzie: ai sottoscrittori dei fondi toccherà di rimettere mano al portafoglio e attendere più a lungo il buon fine dell’investimento che potrebbe rivelarsi inferiore alle attese, se non negativo. Naturalmente, ogni medaglia ha un rovescio: chi ha raccolto denari e non ha ancora comprato - per esempio F2i, il fondo infrastrutture di Vito Gamberale, e la Sator di Matteo Arpe, ma anche i molti imprenditori liquidi - può trovare buone occasioni. Certo, ottenere prestiti sarà comunque più difficile. Le banche sono restie a finanziare iniziative con capitali propri troppo esigui. Nessuno sa dire quanto durerà la stasi. Ma tutti possono vedere come il vicecancelliere tedesco Franz Muenterfering, che aveva bollato come locuste i private equity, trovi oggi ascolto negli Usa di Hillary Clinton e nella nuova Francia di Sarkozy. Per non perdere la corona i nuovi re dovranno probabilmente adattarsi a un contesto normativo meno comodo della deregulation di fine Novecento. Ma è nelle avversità che si vede la sostanza. Massimo Mucchetti