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 2008  gennaio 24 Giovedì calendario

L’«AFFAIRE» DREYFUS UN TRIONFO REPUBBLICANO

Corriere della Sera 24 gennaio 2008.
Circa quarant’anni prima dell’inizio dello sterminio degli ebrei a opera dei nazisti, ci fu un caso clamoroso di razzismo antisemitico nella Francia della III Repubblica, l’«affaire Dreyfus». Ora, lei conoscerà la storia in questione, ma non credo che ai più sia nota; tuttavia a mio avviso lascia intravedere come la «scusa» della minaccia giudaica sia stata spesso manipolata, anche se a noi è arrivato soltanto la Shoah. Il contesto storico è quello di fine XIX secolo. Era terminata la guerra con la Prussia e si accendevano (ancora una volta) le rivalità tra repubblicani e monarchici.
Dreyfus, ufficiale dell’esercito, venne accusato di spionaggio a favore dei prussiani. Non sto a fare la cronaca di tutti i processi che terminarono con l’assoluzione di Dreyfus, che partecipò alla Grande Guerra e morì nel 1935, quando il nazionalsocialismo di Hitler faceva già paura. Ci fu una strumentalizzazione, a tratti anche buffa, per l’infondatezza delle accuse, il tutto per uno scontro tra il prestigio della destra monarchica e cattolica e la sinistra repubblicana e anticlericale.
Martino Salomoni
martinosalomoni@tiscali.it
Caro Salomoni,
uno storico americano di origine tedesca, George L. Mosse, scrisse che la Francia, verso la fine dell’Ottocento, fu il Paese d’Europa in cui il germe dell’antisemitismo era maggiormente diffuso. Il caso evocato dalla sua lettera (che mi spiace di avere dovuto abbreviare) sembra confermare questa riflessione. Ma non sarebbe giusto dimenticare, d’altro canto, che l’emancipazione degli ebrei d’Europa fu uno dei risultati più positivi della rivoluzione francese e che le leggi approvate a Parigi divennero un modello per altri Stati del continente, fra cui il Regno di Sardegna. Napoleone convocò a Lione il Gran Sinedrio degli ebrei (un organismo rappresentativo a cui parteciparono anche i delegati delle comunità italiane), gli ebrei algerini divennero cittadini francesi grazie a una legge della Terza Repubblica, e la finanza del Paese, negli ultimi decenni dell’Ottocento, fu in buona parte ebraica. Persino la storia di Alfred Dreyfus, sino a un certo punto della sua vita, è una tangibile dimostrazione della liberalità con cui la Francia, in alcuni momenti della sua storia, seppe affrontare la questione ebraica. La sua famiglia proveniva dall’Alsazia, vale a dire dall’unica regione a ovest del Reno in cui le comunità ebraiche potessero vantare una secolare presenza. Dopo la guerra franco- prussiana del 1870 e l’annessione della provincia al Reich, i Dreyfus scelsero la Francia e il giovane Alfred scelse la carriera militare. Nel settembre del 1894, quando l’Intelligence francese scoprì che l’addetto militare dell’Ambasciata di Germania riceveva notizie segrete da una fonte dello Stato maggiore, Dreyfus era capitano d’artiglieria e prestava servizio presso il ministero della Guerra.
Fu sospettato e arrestato perché una perizia calligrafica lo indicò come l’autore della nota d’accompagnamento con cui la fonte dello Stato maggiore trasmetteva le sue informazioni all’addetto militare tedesco. Il processo, di fronte al Consiglio di guerra, si svolse a porte chiuse, ma in un clima avvelenato dalla campagna di un giornalista antisemita, Edouard Drumont, e si concluse con una pesante condanna: degradazione e deportazioni a vita. La sentenza, in quel momento, piacque persino alla sinistra e in particolare ai socialisti, convinti che gli ebrei fossero esponenti di un ceto capitalista, avido e privo di scrupoli. Ma il vento cominciò a cambiare quando Mathieu Dreyfus, fratello di Alfred, riuscì a mettere in dubbio la validità delle prove e a rompere il muro di silenzio che si era chiuso intorno al giovane capitano d’artiglieria. A partire da quel momento il «caso Dreyfus» divenne l’arena dove si affrontarono diversi interessi e sentimenti. I monarchici furono nel campo dei «colpevolisti » per dimostrare che la Francia repubblicana non avrebbe saputo riscattare la sconfitta del 1870. I cattolici conservatori adottarono, anche per ragioni confessionali, la stessa linea. Gli alti quadri dell’esercito erano monarchici e, per di più, temevano che l’ammissione dell’errore avrebbe screditato le forze armate di fronte alla pubblica opinione. La sinistra capì finalmente che dietro la vicenda del capitano d’artiglieria si profilava una minaccia per la democrazia repubblicana. Gli intellettuali, animati da un famoso articolo di Emile Zola, scesero in campo chiedendo la revisione del processo. E la maggioranza della pubblica opinione, infine, prese partito nel campo dei «dreyfusards », come erano chiamati gli innocentisti. La vittoria di Dreyfus, finalmente riabilitato, fu in ultima analisi la vittoria della democrazia repubblicana contro i suoi vecchi avversari reazionari e cattolici: gli stessi che ritorneranno sulla scena dopo la sconfitta del 1940 e governeranno il Paese da Vichy fino al 1944.
Sergio Romano