varie, 27 gennaio 2008
MODICA Giuseppe
MODICA Giuseppe Mazara del Vallo (Trapani) 16 novembre 1953. Pittore • «[...] Il pittore del mare, si potrebbe dire. O, magari, il pittore dell’azzurro, intendendo sempre per “azzurro” il mare. Un mare che dalla Sicilia inonda la Roma del Colosseo, dell’Arco di Costantino, sotto forma di nubi, come se evaporasse. Insomma, col suo azzurro, il mare invade il cielo. È una pittura che gioca sulla suggestione, questa. Sontuosa, anche, barocca, surreale. Che si trascina un certo gusto per l’arabesco: per Modica naturale come il respiro. Nato nel Trapanese nel 1953, l’artista ha studiato Architettura a Palermo e a Firenze, prima di trasferirsi a Roma, dove tuttora insegna pittura all’Accademia. Ecco, quindi, la genesi delle sue costruzioni dipinte, dei suoi paesaggi rarefatti che spesso hanno un aspetto granitico e fanno pensare alle città o ai paesaggi irreali di un altro architetto-pittore come Fabrizio Clerici e, in parte, anche del belga Magritte. Sul piano barocco e surreale, invece, il primo nome che viene in mente è quello di Alberto Savinio. Anche per l’aspetto narrativo. Ogni dipinto dell’artista siciliano stimola un racconto, un’invenzione; come dire?, una divagazione letteraria. Basterebbe fare l’esempio di Leonardo Sciascia, di Antonio Tabucchi che, nel 1993, per accompagnare una cartella di tre incisioni di Modica, edita da Sciardelli, scrive il racconto Le vacanze di Bernardo Soares. O, ancora, di Giorgio Soavi. Chissà che cosa avrebbe mai scritto Raffaele Carrieri, se avesse fatto in tempo a vedere le terrazze con i pavimenti di ceramica sbrecciati, o grandi specchi che riflettono sì le immagini, ma essendo magici, anche il tempo lontano, frammentato, deformato, fatto a pezzi. Modica entra nella sua casa, si affaccia sul balcone e sul suo mare cominciano a sorgere fortezze, cattedrali. Sul Mediterraneo s’affaccia anche la stanza dell’inquietudine, e quella del marinaio cui, in lontananza, si presenta il profilo di una nave con l’ancora fissa allo scafo. Il mare. Ma anche l’entroterra, coi mobili nella valle del sisma, o con quei paesaggi dove dalla finestra si staglia un paese alla sommità di una collina, circondata da chiazze di verde, che ricordano certi paesaggi senesi. E, poi, tutti quegli specchi, numerosi, ossessivi, dove anche la memoria viene riflessa, e limoni e arance sul tavolo che compongono una natura morta, e stanze grandi come fondaci, e colonne, e muri, e paesaggi. Col calar del sole, la luce comincia a diradarsi e talune cupole di chiese ricordano i minareti. Una pittura ricca di suggestioni, si diceva. Forse non potrebbe essere diversamente. L’artista fa rivivere la sua isola filtrandola sulla tela. Registra apparizioni, frammenti, stupori, incanti. Crescono, sotto gli occhi, taluni particolari generati dalla memoria (le saline) o, forse, dal desiderio, dalla nostalgia. Dal cuore» (Sebastiano Grasso, “Corriere della Sera” 27/1/2008).