Magazine 10 gennaio 2008, Paolo Valentino, 10 gennaio 2008
Bloomberg. Magazine 10 gennaio 2008. La scorsa estate, poche settimane dopo l’annuncio che il sindaco di New York Michael Bloomberg aveva lasciato il Partito repubblicano per dichiararsi índipendente, George Bush aveva visitato Manhattan
Bloomberg. Magazine 10 gennaio 2008. La scorsa estate, poche settimane dopo l’annuncio che il sindaco di New York Michael Bloomberg aveva lasciato il Partito repubblicano per dichiararsi índipendente, George Bush aveva visitato Manhattan. Accolto dal mayor all’eliporto di Wall Strect, il presidente americano, dopo averlo salutato, gli aveva indicato il Marine One dicendo: «That bird could be yours", quell’uccello potrebbe essere suo. Sono passati meno di quattro mesi. La lunga corsa alla Casa Bianca si è appena aperta con il trionfo di Barack Obama nei caucus dell’Iowa e le primarie del New Hampshire. E Michael Bloomberg sembra aver preso sul serio il consiglio di Bush. Lunedì, il sindaco è volato (come sempre sul suo jet personale) in Oklahoma, per incontrarvi un gruppo di ex senatori, governatori e consulenti politici, sia democratici che repubblicani, decisi a discutere e valutare le possibilità reali di una sua candidatura da indipendente alla presidenza degli Stati Uniti. LA DISCESA IN CAMPO La lista dei partecipanti al summit, ospitato dall’ex senatore democratico e oggi rettore della Oklahoma University, David Boren, è di assoluto prestigio, un vero e proprio programma bipartisan. Ma soprattutto ha dimostrato che nel caso di una discesa in campo di Bloomberg, ancora tutta da definire, l’iniziativa sarebbe in grado di mobilitare la potenza di fuoco, politica ed economica, necessaria a darle credibilità e spessore. Tra gli altri, l’ex senatore della Georgia, Sam Nunn, che negli Anni Ottanta fu il massimo esperto democratico sul disarmo e la sicurezza. Con lui, il suo collega della Vírginia, Charles Robb e perfino Gary Hart, l’ex senatore del Colorado e candidato presidenziale, che nel 1988 fu favorito per la nomination democratica, fin quando non venne travolto dalla sua tresca sessuale con la modella Donna Rice. Fra i repubblicani, la figura di spicco era il senatore del Nebraska, Chuck Hagel, oppositore senza compromessi della guerra in Iraq, considerato anche un possibile candidato alla vicepresidenza con Bloomberg. E poi ancora l’ex senatore del Maine, William Cohen, che fu ministro della Difesa, bipartisan appunto, sotto Bill Clinton e la "grande dame" dei consulenti politici dì /Vashington, Susan Eisenhower, nipote del generale Dwight, che guidò gli Alleati in Europa e fu presidente dal 1952 al 1960. Un progetto politico, ambizioso e visionario, li unisce: sbloccare la paralisi di Washington, trincerata senza speranza su una frontiera di ideologie contrapposte, che affligge ogni aspetto della vita pubblica americana, dando vita a "un’amministrazione di unità nazionale". Michael Bloomberg, che ufficìaimente nega ogni intenzione, sarebbe il cuore, la mente e il volto di questa rivoluzione. Non che la Storia sia dalla sua parte. Da oltre due secoli, le elezioni americane pullulano di candidati indipendenti finiti maciullati da un sistcma elettorale concepito per far prevalere un democratico o un repubblicano. Ma se c’è una cosa che la vita del sindaco di New York suggerisce, è la sua capacità di motivarsi quando la sfida appare impossibile: " Per un bastian contrario come me", ha scritto nelle sue memorie, "il consiglio di non fare qualcosa mi spinge sempre rapidamente verso la scelta più difficile». Ricco, Michael Bloomberg lo è in modo spropositato. A 65 anni, il suo patrimonio è stimato in oltre 12 miliardi di dollari, pari a 8 miliardi di curo, grazie soprattutto a Bloomberg LP, la creatura che ha fondato, nata come agenzia di prodotti d’informazione finanziaria per le banche e diventata un gigante mondiale dei media. Ha un elicottero che pilota personalmente, due aerei privati, che usa per i suoi molti viaggi all’estero, ambasciatore a spese proprie della città che amministra. Possiede una town house da 20 milioni di dollari nell’Upper East Side, un’altra vittoriana nel cuore di Londra, un appartamento da 2 milioni per andare a sciare a Vail, in Colorado e una proprietà con villa da 12 milioni alle Bermuda, dov’è vicino di Silvio Berlusconi, Si AUTOFINANZIA COMPLETAMENTE Ancora più interessante, è, il modo in cui Bloomberg ha usato questa immensa ricchezza per aiutare le proprie fortune politiche: non ha mai accettato un contributo elettorale privato. Nelle due campagne che lo hanno visto trionfare come sindaco, ha investito 115 milioni di dollari di tasca propria, rendendosi immune dal ricatto degli interessi costituiti e delle lobby. Detto altrimenti, ha reso irrilevante la politica. Raccontano sia uno schema al quale Michael Bloomberg pensa anche nel caso di una corsa per la Casa Bianca. Esiste già una definizione: la campagna da un miliardo di dollari. Populismo miliardario", secondo ì suoi critici; l’Observer lo ha paragonato a Citizen Kane. Ma perfino una testata mai tenera con lui, Rolling Stone, gli ha dato atto di "aver mostrato agli americani cosa potrebbero ottenere, se si tenesse la polirica fuori dal governo". La sua gestione nella Grande Mela parla chiarissimo. New York fiorisce, è di nuovo la capitale finanziaria d’America, la disoccupazione è ai minimi fisiologici, il tasso degli omicidi è il più basso da vent’annì, il turismo rimpingua le casse cittadine, il deficit cronico degli Anni Ottanta è diventato un surplus stabile e consolidato, anche grazie al più forte aumento delle tasse nella storia della città. Poi ci sono le cose per cui Mike Bloomberg è già passato alla storia: ha bandito il fumo dai locali pubblici, dopo una lotta titanica con la lobby dei ristoranti e degli alberghi. E contro il potente sindacato degli insegnanti, ha riformato la scuola, imponendo i test di rendimento individuale istituto per istituto, con tagli nei fondi a quelli sotto lo standard minimo: oggi anche gli ex nemici gli danno ragione e le scuole pubbliche di New York sono fra le migliori dei Paese. Ma Bloomberg ha stabilito un benchmark anche nel regolare il proprio conflitto di interessi. Seguendo le indicazioni del Conflict of Interest Board, l’autorità indipendente che lui stesso aveva sollecitato a pronunciarsi, per fare il sindaco nel 2002 ha lasciato ogni carica nella sua azienda, anche se ha mantenuto la proprietà della maggioranza delle azioni. Ma ha dovuto disinvestire circa 45 milioni di dollari di partecipazioni in compagnie che facevano affari col Comune e uscire da un hedge fund. Il mese scorso, rispondendo a una nuova richiesta, il Board ha deciso che Bloomberg può ampliare gli investimenti personali e quelli della sua società filantropica, a condizione che vengano "gestiti da persone con cui il sindaco non abbia alcun tipo di rapporto". UN UOMO Di GHIACCIO Il candidato perfetto? Non esattamente. Intanto perché non è stato sempre rose e fiori con l’elettorato. A metà del primo mandato, la sua popolarità era in caduta libera. 1 suoi metodi di gestione, in azienda come a City Hall, sono sempre stati efficaci ma quantomeno controversi: a Bloombergs, quando si accorse che le riunioni duravano troppo, fece togliere le sedie dalla sala di riunione. considerato di ghiaccio: nel 1988, un’ex dipendente, Sekiko Garrison, lo portò in tribunale. Quando gli aveva detto di essere incinta, Bloomberg gli avrebbe suggerito di "uccidere" il feto. La cosa non è stata mai chiarita, perché Bloomberg ha accettato un accordo finanziario con Garrison, senza rivelarne i dettagli. Tutte vicende che tornerebbero sicuramente a essere rivangate e setacciate dai media, nel caso di una candidatura presidenziale. E c’è poi il problema del suo celibato. Michael Bloomberg è stato un impenitente sciupafemmine, anche se tutte le sue ex parlano bene di lui: dall’attrice Marisa Berenson alla cantante Diana Ross, alla creatrice di moda Mary McFadden. Tra il 1976 e il 1993 è stato sposato con Susan Brown, da cui ha avuto due figlie (Emma e Georgina) e con la quale è ancora in ottimi rapporti. Per anni, una sua battuta tipica con amici e conoscenti era: "Conosci qualcuna con cui potrei uscire?". E il più delle volte funzionava. Da sette anni è legato a Susan Brown. Visto che è dal 1884, con Grover Cleveland, che gli americani non eleggono un presidente scapolo, forse l’eventuale candidatura sarebbe la buona scusa per risposarsi. COME LO VEDE L’AMERICA PROFONDA Le domande decisive però sono due: cosa dovrebbe succedere per spingerlo a scendere in campo? E l’altra: può vincere? Se la stella di Barack Obama dovesse continuare a salire, la candidatura Bloomberg rimarrà solo un fugace esercizio intellettuale e mediatico. Troppo centrista, troppo "unifier" è il senatore dell’Illinois per lasciare al mayor lo spazio di manovra politica necessario a un indipendente. In altri casi, una candidatura controversa della Clinton o una paralisi di candidati testa a testa, sia nel campo repubblicano che in quello democratico, il vento soffierebbe in suo favore. Quanto alla vittoria, non é che un liberal e laico newyorkese, che ha aumentato le tasse ed è divorziato, abbia grandi chance nell’America profonda e più conservatrice. Ma la biografia di Bloomberg, il figlio del contabile venuto dal nulla diventato ricco e potente, è una grande storia americana. Quella, più di ogni altra cosa, sarebbe la sua arma segreta. Paolo Valentino