Il Sole 24 ore 13 gennaio 2008, Diego Marani, 13 gennaio 2008
La città che giudica il mondo. Il Sole 24 ore 13 gennaio 2008. L’unica cosa che Amsterdam invidia all’Aia è il dialetto, più simpatico e meno duro di quello della capitale
La città che giudica il mondo. Il Sole 24 ore 13 gennaio 2008. L’unica cosa che Amsterdam invidia all’Aia è il dialetto, più simpatico e meno duro di quello della capitale. Per il resto non c’è rivalità, semplicemente perché non c’è gara. «Quando vado al l’Aia provo sempre una specie di soggezione e sento che devo stare attenta a comportarmi bene», dice Marina Warners, proprietaria della libreria Bonardi di Amsterdam. «Gli "Hagenezen" dei quartieri lungo il mare sono un po’ snob, dalle parti di Hollandspoor invece ci sono i poveri. Per il resto, all’Aia non succede rigorosamente nulla. Tutto quello di significativo che l’Olanda ricorda dell’Aia sono due trendsetter televisivi degli anni Settanta, Kees van Kooten e Wim de Bie. Facevano ridere». In questa giornata d’inverno L’Aia ha un’aria spettrale. Sarà forse la nebbia alta che morsica le cime dei grattacieli piantati a cavallo dell’autostrada, gli alberi spogli contro la luce giallastra che ricorda la nube d’un incendio. Siamo venuti fuori a fatica dal groviglio di svincoli che strozzano la periferia di Rotterdam. Il ponte sul Reno sembrava la rampa di lancio sverniciata di un missile mai partito. Poi le code di automobili coi fari accesi in sei più sei corsie stese come una ghirlanda di Natale sui prati ghiacciati. Il primo palazzo che ci è venuto incontro è quello del Tribunale penale internazionale. Due torri bianche agganciate da una passerella. Le finestre sembrano di lamiera, l’entrata a metà fra il centro commerciale e la banca d’affari. Poco lontano, ai margini di un piccolo parco brullo sorge il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia. A due passi, in un elegante edificio di stile neorinascimentale, ci sono la Corte internazionale di giustizia e la Corte permanente di arbitrato, istituita nel 1899, quando proprio qui fu promulgato il «Regolamento concernente le leggi e costumi della guerra terrestre». Un testo che andrebbe insegnato nelle scuole, perché in definitiva è nel cinismo delle sue righe che la nostra civiltà definisce la sua vera misura del bene e del male. Le «Potenze contraenti» dichiarano già nel preambolo la loro impotenza: «Non basta cercare i mezzi idonei ad assicurare la pace e ad impedire i conflitti armati fra gli Stati, ma si deve por mente anche al caso in cui una guerra sia provocata da avvenimenti che non poterono essere scongiurati (...)». Nel centro qualche rara automobile di funzione scivola lungo le strade linde, fra archi seicenteschi, stagni e canali. L’Aia è anche la città di residenza della casa reale e dietro i vetri azzurrati può nascondersi perfino il principe d’Orange. Non lo Stadtholder delle Province unite e futuro re d’Inghilterra, nato all’Aia nel 1650 quando l’Olanda dominava i mari, ma il primogenito della regina Beatrice e probabile erede al trono. Nella tradizione batava, comunque, un grande esperto di acque, se riveste la carica di presidente del Comitato consultivo delle Nazioni Unite per l’acqua e le strutture igienico-sanitarie ed è stato oratore di spicco all’ultimo World Toilet Summit. l’ora del pranzo e i funzionari dei ministeri sono fuori per la pausa. Hanno scarpe nere, gessati grigi, soprabiti beige. Fra di loro a fare la coda davanti ai chioschi che vendono pesce affumicato ci sarà sicuramente anche qualche giudice, qualche secondino, qualche giurato dei tanti processi in corso. Nella sua distaccata eleganza, L’Aia si rivela una città patibolare. A tre chilometri da qui, dietro la spiaggia di Scheveningen, è morto Slobodan Milos<caron>evic. Dalla sua prigione il mare non si vedeva, ma come gli altri prigionieri disponeva di una cella con servizi, televisione satellitare e cucina, poteva telefonare agli amici e anche ricevere visite coniugali, come si dice in gergo tribunalizio. così che il generale serbo Nebojs<caron>a Pavkovic, accusato di crimini contro l’umanità, in attesa di processo è diventato papà. Nella stessa galera convivono altri prigionieri eccellenti: Thomas Lubanga e Germain Katanga detto "Simba", entrambi accusati di odiosi crimini nelle eterne guerre del Congo. Sono stati invece appena rilasciati il comandante bosniaco Sefer Halilovic e il fondatore del Partito comunista filippino José Maria Sison. Processi sconosciuti dal grande pubblico, che raccontano crimini troppo feroci per scalzare la nostra suggestiva cronaca nera. L’Olanda di processi, esecuzioni e roghi ne ha conosciuti molti nella sua storia. Il furore delle guerre di religione sembra aleggiare ancora su queste terre. Qui siamo nel cuore dell’Olanda calvinista. La più antica chiesa cattolica della città è Santa Teresa d’Avila, ricavata alla fine del Seicento dallo Spaanse Hof, la vecchia ambasciata spagnola. Santa Teresa è una "waterstaatskerk", cioè una chiesa amministrata dal magistrato delle acque. Risale al tempo in cui per evitare litigi fra le comunità religiose, con la scusa della sicurezza idrologica, era il magistrato delle acque che decideva dove costruire le chiese. vero che l’acqua viene spesso chiamata a giudice nella civiltà olandese. Riferisce il cronista Jean de Parival nel 1622 che i carcerati venivano rinchiusi in una cella che si allagava con le maree e se volevano sopravvivere erano costretti a pompare fuori l’acqua senza sosta. Era la prova di Dio: se si salvavano significava che erano innocenti. Oggi i prigionieri dei tribunali dell’Onu non corrono questi rischi. Ma il grigiore della Gueldria deve sicuramente ispirare pensieri funerari se proprio a pochi chilometri da qui il dottor Jan Hilarius ha fondato De Einder, un’agenzia di bella morte che accompagna gli aspiranti suicidi all’ultimo passo. Per i suoi traffici con l’aldilà, nel 2006 Jan Hilarius è stato condannato a un anno di prigione. Ma la sua agenzia non ha mai chiuso i battenti e continua a promettere un trapasso indolore a chi vuole abbandonare questo mondo crudele. Il filosofo e consigliere della fondazione Frank Vandendries calcola che dei 1.532 suicidi perpetrati in Olanda nel 2006 ben 1.132 sono stati casi di morte violenta. De Einder, che significa in pratica "Terminator", vuole metter fine alla barbarie di impiccagioni, mutilazioni, soffocamenti, annegamenti e avvelenamenti. Si può morire meglio. E per aggiungere macabro al macabro, è da qualche anno che dalla vicina Germania nei crematori olandesi arrivano in visita corriere di anziani che vengono a prenotarsi l’ultimo falò oltrefrontiera perché qui è meno caro. Le agenzie di pompe funebri organizzano la gita, con tanto di visita al forno, conferenza esplicativa sui metodi ecologici di combustione e merenda con poffertjes al burro e caffé. Riprendiamo l’autostrada per Rotterdam un poco incupiti. Ma appena ci lasciamo alle spalle L’Aia un sole aranciato trafora improvvisamente la bruma e illumina i campanili lontani, i silos, le cataste di container del porto. Una fila di pale eoliche piantate nell’acqua sembra dar fiato al vento che ci libera dal lezzo sepolcrale della città più giusta del mondo. Diego Marani