La Stampa 24 gennaio 2008, MARIA CHIARA BONAZZI, 24 gennaio 2008
Incontriamoci su internet. La Stampa 24 gennaio 2008. La sgrammaticata stenografia emotiva dei messaggi lasciati su Bebo, il social network degli adolescenti britannici, potrebbe nascondere un sinistro culto del suicidio che ha già falcidiato sette giovani di Bridgend, sonnolenta cittadina gallese
Incontriamoci su internet. La Stampa 24 gennaio 2008. La sgrammaticata stenografia emotiva dei messaggi lasciati su Bebo, il social network degli adolescenti britannici, potrebbe nascondere un sinistro culto del suicidio che ha già falcidiato sette giovani di Bridgend, sonnolenta cittadina gallese. Si sono impiccati uno dopo l’altro, nel giro di pochi mesi, mentre sul sito, dopo ogni morte, comparivano monchi epitaffi in stile SMS. Una cosa è certa: si conoscevano tutti. La polizia teme che persino il morboso cippo commemorativo virtuale possa alimentare una perversa illusione di immortalità su Internet: «Forse qualcuno di questi ragazzi si esalta all’idea di avere un tributo postumo sul sito», azzarda un’anonima fonte dell’inchiesta, ora in mano a un’apposita task force. La madre del ventenne Thomas Davies, che si è tolto la vita l’anno scorso a ridosso del suicidio consecutivo di Dale Crole e David Dilling, amici per la pelle e prime due vittime della serie, accusa Internet di alimentare un pericoloso senso di irrealtà: «Questi ragazzi non sanno comunicare i loro problemi con gli adulti. Devono poter parlare con qualcuno, anche solo per telefono. Invece passano ore davanti al terminale, o a mandarsi SMS». Mentre gli psicologi si scatenano a discutere se gli adolescenti abbiano perso del tutto il senso della morte, e se le chat rooms su Internet fomentino questa depersonalizzazione, gli inquirenti hanno intanto sequestrato il computer di Natasha Randall, una bellissima ragazzina diciassettenne che studiava da puericultrice e si è inspiegabilmente tolta la vita alle sei del pomeriggio di giovedì scorso, con i genitori in casa. In coda all’ultimo messaggio di Natasha, lasciato sul sito per commemorare il quinto suicida Liam Clarke, vent’anni, si coglie un oscuro presagio: «RIP (riposa in pace, ndr), caro Clarky! Mi mancherai. Ti voglio bene. Anch’io». E’ vero che il Galles ha un allarmante tasso di suicidio giovanile, di circa cinque volte superiore a quello dell’Inghilterra, ma quell’«anch’io» potrebbe nascondere il codice di un patto suicida. Due giorni dopo la morte di Natasha altre due coetanee della stessa Bridgend hanno cercato di suicidarsi. Una di loro è tuttora in rianimazione. Anche il padre di Liam Clarke teme che una trama ferale unisca queste morti: «Non sappiamo che cosa stia succedendo, è stranissimo che ci siano stati tanti suicidi a Bridgend. Non sappiamo se sia un culto sinistro o se si tratti di suicidi copiati, o se ci fosse un bizzarro patto suicida. Non abbiamo idea di che cosa pensasse Liam, siamo all’oscuro di tutto». Ecco, all’oscuro. Nessuno ha ancora ricostruito la catena di autodistruzione che lega la prima morte di un diciottenne disturbato, Dale Crole, che era stato in riformatorio, a quella del suo migliore amico e coetaneo David Dilling, a quella del tranquillo Thomas Davies, che col suo sorriso pulito aveva appena rassicurato la madre che non le avrebbe mai fatto del male seguendo l’esempio dei primi due e invece si è ucciso dopo aver comprato il vestito per il loro funerale. Nessuno ha ancora capito che cosa c’entrino queste morti inutili con il successivo suicidio di Zachary Barnes, un diciassettenne bravo e volonteroso, amico di Davies, e con quello di Liam Clarke, e con quello di Gareth Morgan, 27 anni e padre di una bambina di otto, che in città veniva considerato un gigante buono. Anche se è riluttante a usare la parola «culto», Anne Parry, dell’organizzazione «Papyrus» per la prevenzione del suicidio, dice: «Sono tre anni che ne parliamo. I social network di Internet possono essere particolarmente pericolosi. Possono dare molto appoggio ai giovani, ma possono anche fare l’opposto e alimentare sensazioni suicide». Una portavoce di Bebo promette: «Collaboreremo con gli inquirenti e siamo impegnati a fornire ai nostri membri un ambiente online il più sicuro possibile». MARIA CHIARA BONAZZI