Libero 23 gennaio 2008, Francesco Borgonovo, 23 gennaio 2008
Saviano ha saccheggiato i giornali campani. Libero 23 gennaio 2008. Simone Di Meo ha ventisette anni ed è addetto stampa del presidente della commissione Difesa del Senato, Sergio De Gregorio
Saviano ha saccheggiato i giornali campani. Libero 23 gennaio 2008. Simone Di Meo ha ventisette anni ed è addetto stampa del presidente della commissione Difesa del Senato, Sergio De Gregorio. Fino a qualche anno fa lavorava al quotidiano "Crona che di Napoli", per il quale si occupava di cronaca nera e in particolare di tutto quanto riguardasse la Camorra. Da pochi giorni è uscito nelle librerie il suo primo romanzo, "L’impero della Camorra" (Ne wton Compton pp. 283, euro 9,9) . Per l’argomento e per il tono ricorda il libro dell’anno: "Gomorra" di Roberto Saviano, conclamato best seller del 2007 tuttora in vetta alle classifiche di vendita. Anche quello di Di Meo è un romanzo che pretende di raccontare fatti realmente accaduti. Tuttavia, Di Meo da qualche tempo ha messo sotto accusa Saviano: sostiene che lo scrittore napoletano abbia riportato nel proprio romanzo, senza citare la fonte, interi brani di articoli pubblicati in origine su "Cronache di Napoli". Uno di questi articoli, su richiesta di Simone all’editore Mondadori, è stato riconosciuto come fonte: dall’undicesima edizione (ora sono più di trenta) a pagina 141 di "Gomorra" è stato inserito un riferimento a "Cronache di Napoli" e al giornalista. Il fatto che in un libro come quello di Saviano (che Mondadori presenta come "di indagine e di letteratura" al tempo stesso) siano riportati articoli di giornale senza citazione, non significa che si tratti di plagio. Di Meo, tuttavia, va oltre con le critiche. Sul proprio sito internet (simonedimeo.blogspot.com) scrive: "Laddove Saviano non ha attinto al materiale giornalistico presente su piazza (e pubblicato da Il Mattino, La Repubblica, Il Corriere del Mezzogiorno, Il Roma, Cronache di Napoli e Napolipiù), ha inventato episodi dallo sfondo lirico per rendere più interessante il racconto". Abbiamo deciso allora di approfondire la questione intervistandolo. Per quale motivo ha scritto un libro sulla Camorra? "Piuttosto posso dire quando mi è venuta l’idea: quando, cioè, mi sono accorto che parlare di Camorra stava diventando un fenomeno di costume, niente più che una buona lettura da esibire in salotto per apparire socialmente impegnati. Quando il governatore Antonio Bassolino e l’assessore al Lavoro della Regione Campania, con un centinaio di politici e amministratori campani, hanno ringraziato "Go morra" per aver permesso loro di scoprire che cos’è davvero la malavita a Napoli. Quando ho intuito che il discorso sulla criminalità organizzata stava lentamente scivolando sul piano combatto-la-Camorra-con-unlibro-da-casa-e-sono-a-postocon-la-coscienza. Quando, ascoltando i commenti a "Go morra" di Roberto Saviano, mi sono accorto che l’attenzione si è spostata dall’oggetto al soggetto, contribuendo a creare un simulacro dell’antimafia che fa torto al primo grande insegnamento di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: mai personalizzare l’impegno della lotta contro il crimine. Chi si atteggia a custode di una nuova teologia antimafia dovrebbe saperle queste cose. Se le ignora, sbaglia. Se le conosce e sta zitto per convenienza, sbaglia due volte". Ma perché un romanzo e non un’inchiesta vera e propria? Non crede che in questo modo rimangano le ambiguità che ci sono nel testo di Roberto Saviano fra che cosa è vero e che cosa è inventato? "Le ambiguità possono essere di contenuto, non di genere. Inchiesta o romanzo non fa differenza se si raccontano storie reali, non rappresentazioni liriche e iperboliche di una realtà distorta, che viene rappezzata con l’ago dell’inventiva e il cotone del sentito dire. Ci sono interi episodi di "Gomorra" che sono stati inventati di sana pianta, perché non ce n’è traccia negli atti giudiziari: le delegazioni camorristiche al funerale di Annalisa Durante, il traffico di cadaveri cinesi stipati nei container del porto di Napoli, il sarto di Angelina Jolie, la presenza di Saviano all’udienza dopo l’arresto di Paolo Di Lauro. E, dove non ha inventato, Saviano ha rielaborato fonti giudiziarie e fonti giornalistiche, la cui origine non è mai stata citata, inaugurando il filone della camorra pop. Descrivere i padrini della Camorra come sfrontati finanzieri d’assalto, eccezionali strateghi militari o uomini dalle straordinarie capacità intellettive è quanto di più lontano dalla realtà: stiamo parlando di gente semi-analfabeta, nella maggior parte dei casi. Pure nel mio libro si parla di Paolo Di Lauro come di un genio del crimine, capace di guadagnare oltre un miliardo di lire al giorno con la droga, ma si parla anche dei poliziotti - con tanto di nomi e cognomi - che lo hanno sconfitto. Poliziotti che tutti insieme guadagnavano mensilmente quanto lui riusciva a incassare in un’oretta". Quali sono state le sue fonti per questo lavoro? "Gli atti giudiziari, soprattutto: verbali di pentiti, ordinanze di custodia cautelare, sentenze e informative di polizia giudiziaria; e tanti colloqui con i protagonisti delle inchieste sulla Camorra di Secondigliano. Protagonisti nel bene e nel male, naturalmente. Ho attinto, inoltre, al materiale giornalistico locale. Non credo che sia una diminutio confessarlo. Che male c’è a riconoscere il valore del lavoro altrui?". Pensa che "L’impero della Camorra" sarà una specie di antiGomorra? "Sono due libri che operano su piani diversi: Gomorra ha lo straordinario merito di mostrare i fuochi d’artificio. A me interessa descrivere chi accende la miccia. Inoltre, hanno anche modelli di riferimento diametralmente opposti: Saviano si ispira alla docu-fiction di stampo anglosassone, il mio modello, invece, è "Il camorrista" di Jo Marrazzo. Il mio è il racconto di un personaggio e dell’ambiente criminale che lo ha visto protagonista assoluto per quasi un quarto di secolo; è una biografia criminale. Un romanzo criminale". Che rapporto ha con Saviano? "Non vorrei personalizzare parlando del mio rapporto ma è opportuno qualche accenno al rapporto di Saviano con la stampa napoletana: è indubbio che abbia attinto al lavoro giornalistico di tanti colleghi ma è dub-bio il motivo per cui non siano state citate le fonti in "Gomorra". Non credo che avrebbero sminuito il valore dell’opera. Saviano ha compiuto un’operazione poco corretta nei confronti della stampa minore, che lui chiama "stampa di rispetto": prima l’ha saccheggiata per scrivere alcune parti del libro, poi l’ha accusata di essere il megafono della Camorra cittadina. Niente di più falso. Se un piccolo giornale scrive di Camorra perché a Napoli c’è spazio soltanto per questo mercato editoriale non è detto che quei giornalisti siano asserviti al padrino di turno, o che usino le colonne del quotidiano per agevolare le comunicazioni tra clan". In Gomorra è stato inserito un riferimento al suo lavoro giornalistico? "Ho già ottenuto l’inserimento del mio nome in "Gomorra" a pag. 141, ma solo dopo la segnalazione del mio avvocato alla Mondadori e a partire dalla undicesima ristampa. Ora, mi chiedo: è giusto che chi si presenta come il paladino della legalità manchi di riconoscere il valore del lavoro altrui e che per vederselo attribuire bisogna ricorrere alle carte bollate? E non si tratta soltanto del mio caso, tanti altri colleghi hanno subìto lo stesso trattamento. Ci sono numerose parti del libro che si richiamano al mio lavoro e che vengono contrabbandate come frutto della conoscenza di Roberto Saviano: con l’aiuto dell’avvocato Andrea Portaro sto valutando diverse azioni in sede giudiziaria". Perché sostiene che Saviano ha copiato (o ha copiato dal suo giornale)? "Ha copiato da tutta la stampa napoletana, non solo da me. Alcuni episodi, che tanto stupore hanno riscosso nell’opinione pubblica, sono frutto di esperienze altrui che Saviano ha fatto proprie. Inoltre, ci sono tantissimi casi in cui riporta notizie che non si trovano negli atti giudiziari e che sono riconducibili, esclusivamente, al lavoro di questo o quel giornalista. Ci sono stralci di "Gomorra" che riprendono, alla lettera, inchieste pubblicate dai quotidiani partenopei e non se ne fa mai menzione. Nemmeno un ringraziamento, alla fine del libro, a restituire un po’ di dignità a quanti gli hanno offerto il materiale su cui lavorare". Ha pubblicato sul suo sito internet i brani degli articoli che secondo lei Saviano ha copiato da vari giornali napoletani. "Saviano non ha mai risposto personalmente. Non mi ha mai querelato né smentito le mie affermazioni. Tanto più che prima di finire sotto scorta era assolutamente avvicinabile e non c’era nessun motivo di negarsi al confronto. Può anche darsi che io sia un visionario, ma se avesse smentito almeno avremmo avviato un confronto. Su questa vicenda c’è stato il totale silenzio da parte sua. Non da parte della Mondadori che ha inserito il riferimento che citavo prima". Francesco Borgonovo