ItaliaOggi 23 gennaio 2008, Franco Bechis, 23 gennaio 2008
La riconquista del Palazzo. ItaliaOggi 23 gennaio 2008. Romano Prodi non si arrende. Ieri mattina è sceso alla camera con l’elmetto, pronto a combattere
La riconquista del Palazzo. ItaliaOggi 23 gennaio 2008. Romano Prodi non si arrende. Ieri mattina è sceso alla camera con l’elmetto, pronto a combattere. Ha sfoderato i muscoli (con buona iniezione di doping) delle meraviglie compiute dal governo e sfidato la sua maggioranza parlamentare. Il pomeriggio ha passato in rassegna le truppe dei fedelissimi ora riuniti nei gruppi parlamentari del Partito democratico e ha fatto apparire il povero Walter Veltroni come un semplice ufficialotto schierato per la causa. Ha sguinzagliato i generali più fedeli per cercare di passare le fila nemiche a palazzo Madama, chiedendo loro di tornare indietro facendo almeno un prigioniero. Tutte strategie buone per la battaglia finale, domani sera, nell’aula del senato (...) Sulla carta dopo la decisione di Clemente Mastella di fare uscire l’Udeur dalla maggioranza, i due schieramenti in Senato avrebbero 160 voti a testa. In tutti i senatori chiamati a dare la fiducia al governo Prodi sono 322, ma uno- Franco Marini- presiederà e non potrà votare, e un altro- il senatore a vita Sergio Pininfarina- non presenzierà alla seduta per questioni di salute. Con il pareggio il governo cade, ma all’interno di quei 160 voti in entrambi gli schieramenti c’è più di una incertezza. Nelle fila del sì a Prodi è conteggiato anche Franco Turigliatto, che in realtà oscilla fra il no e l’assenza ai lavori. Nelle stesse fila sono conteggiati tutti i senatori a vita, e non è detto che debba trovarvi posto Francesco Cossiga. Qualche incertezza potrebbe esserci, viste le peculiarità del voto, nella decisione di chi ha avuto un alto incarico istituzionale come gli ex presidenti della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi e Oscar Luigi Scalfaro. Altre incertezze riguardano l’indipendente Luigi Pallaro, che al momento si trova in Argentina, almeno due dei tre senatori liberaldemocratici di Lamberto Dini (il terzo, Nicola D’Amico, è prodiano di ferro), e probabilmente anche il senatore Domenico Fisichella, fondatore di An, transitato nella Margherita ma non nel Pd. Nelle fila del no a Prodi l’incertezza riguarda Clemente Mastella, che preferirebbe non essere in aula, il senatore della Mpa di Raffaele Lombardo e qualcuno dei 35 neo-eletti che con lo scioglimento anticipato della legislatura potrebbero non avere diritto all’ambitissimo vitalizio (la pensione dei parlamentari). E su questo plotoncino che è stato puntato il fucile dei colonnelli del premier. Da lì si spera nella fruttuosa cattura e nel prigioniero che potrebbe ribaltare gli equilibri degli schieramenti in campo, che non appaiono favorevoli al premier in carica. L’idea di Prodi di entrare in trincea ieri ha suscitato stupore e perfino ammirazione privata nei suoi stessi avversari, che riconoscono la combattività e una certa grinta del generalissimo pronto a morire in battaglia. Che questo sia un merito è possibile appunto secondo i criteri della storia militare. E chissà se poi i fucili sono davvero puntati in direzione dell’avversario di una vita, Silvio Berlusconi. Perché l’impressione è che il bersaglio reale sia assai più vicino: quello di Walter Veltroni che si vorrebbe trascinare nella possibile rovinosa caduta del governo. Nonostante le battaglie, assai più nobili della conquista (o riconquista) di una poltrona, che milioni di italiani debbono affrontare ogni mese per raggiungere quello successivo, non si può giudicare la scelta di Prodi con criteri squisitamente militari. Il governo oggi in carica è partito con una maggioranza assai risicata, dovuta proprio al recupero di voti dell’Udeur negli ultimi minuti dello spoglio elettorale in Campania. Una manciata di voti in più al Senato, ridottasi poi già dopo pochi mesi al primo scoglio di politica estera (le missioni internazionali), ma comunque maggioranza politica esistente. Con la scelta di Mastella quella maggioranza politica non è più possibile. Cercare di fare prigioniero un senatore del fronte avversario facendo tintinnare un sacchetto di euro per la pensione è atto politico di assai corto respiro: al massimo si guadagnerebbe qualche mese. Puntare in un momento così sul sostegno dei senatori a vita- che non sono un partito politico- avrebbe orizzonte ancora più stretto: nel giro di un paio di settimane il governo cadrebbe comunque (la chiamata alle armi non è sempre possibile) sul decreto sicurezza, sul milleproroghe, su quello che a giorni verrà varato sulle missioni internazionali, sui rifiuti, sui Cus, su provvedimenti di politica economica, su qualsiasi testo di legge. Allora, che senso ha l’esibizione muscolar-militare di ieri? Nessuna, se non chiudersi in un palazzo assediato senza alcuna possibilità di governarlo. Obiettivo? Piazzare qualche proprio uomo fidato alla superInps in rampa di lancio, e nei vertici di Eni, Enel, Poste, Finmeccanica, Consap, Consip, Coni servizi, Cinecittà holding e così via. E magari finire di regalare Alitalia ai francesi, perché gli affari vengono sempre prima della politica. Un’uscita di scena così è in grado di macchiare in modo indelebile perfino la vita di un grande servitore delle istituzioni. Ma non è il caso di Romano Prodi... Franco Bechis