ItaliaOggi 23 gennaio 2008, Stefano Sansonetti,, 23 gennaio 2008
Class action, vendetta delle banche. ItaliaOggi 23 gennaio 2008. Proprio nel momento dell’esordio, al quale si stanno preparando a dir poco battagliere, le associazioni dei consumatori rischiano un autogol clamoroso
Class action, vendetta delle banche. ItaliaOggi 23 gennaio 2008. Proprio nel momento dell’esordio, al quale si stanno preparando a dir poco battagliere, le associazioni dei consumatori rischiano un autogol clamoroso. Tanto più bruciante se solo si pensa a quanto hanno atteso lo sbarco nell’ordinamento italiano della class action. Il problema è che quando dall’altra parte ci sono le banche, il terreno su cui si vuole organizzare l’attacco deve essere solido, altrimenti si rischia di subire una pesante controffensiva. Ed è esattamente quello che sta accadendo. Contro Alessandro Profumo e gli altri big del credito, infatti, le associazioni dei consumatori hanno deciso di inziare dall’anatocismo, ovvero dagli interessi che maturanto sugli interessi. Un meccanismo che, fino a non molto tempo fa, gravava pesantemente sulle spalle dei clienti che andavano a debito nei confronti di una banca. Forti di una sentenza della Corte di cassazione, che nel 2004 ha riconosciuto la nullità del meccanismo, adesso Adusbef & Co. vogliono inchiodare le banche. E costringerle con una class action a restituire tutti gli interessi che hanno incamerato sui debiti dei loro clienti attraverso il famigerato anatocismo. Per carità, la rivendicazione ha grandi probabilità di trovare soddisfazione in tribunale. Ma le banche sono pronte a calare un asso dalla manica. Perché se sono dovuti ai clienti gli interessi passivi ingiustamente capitalizzati, sostengono, a loro volta i clienti dovranno restituire gli interessi, questa volta attivi, che le banche corrispondono sui conti correnti. Con l’effetto perverso che a pagare il prezzo sarebbero pensionati, casalinghe, impiegati e studenti. Ovvero quelle categorie che vantano costantemente un credito nei confronti degli istituti. Insomma, il terreno su cui le associazioni dei consumatori si stanno muovendo è particolarmente sdrucciolevole. E l’Abi di Corrado Faissola lo sa, al punto che per il 5 febbraio prossimo, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, ha organizzato un incontro a porte chiuse (all’inizio per parlare di class action in generale). Durante la riunione, raccolti intorno a un tavolo esperti e consulenti, si valuterà un dossier che spiega nel dettaglio questo "inatteso" risvolto della class action sull’anatocismo. Il punto da affrontare, tra le altre cose, coinvolge anche il modo in cui dovrà essere speso politicamente dagli istituti questo possibile rilancio sugli interessi attivi. La questione è spinosa, ma di rilievo. Tutto nasce con la sentenza n. 21095/2004 con cui la Cassazione ha posto fine all’anatocismo. Fino a quel momento le banche capitalizzavano sia gli interessi a debito del cliente, cosa che avveniva ogni tre mesi, sia gli interessi a credito, questa volta a cadenza annuale. Il tutto fino al 2000, quando il legislatore ha reso identica la cadenza della capitalizzazione nei conti a credito e a debito del cliente. Sta di fatto che dopo la sentenza le associazioni hanno subito esultato per le prospettive che si aprivano. Esultanza che è salita alle stelle quando, con la Finanziaria 2008, è arrivata la class action. Il problema, però, è che Adusbef e colleghi danno per scontato che gli effetti della pronuncia della Cassazione impongano la sola restituzione degli interessi passivi pagati dai clienti nel tempo andati a debito. Mentre oggi gli istituti sostengono che se questo è vero, è altrettanto vero che gli stessi clienti dovranno restituire gli interessi attivi alle banche che li hanno corrisposti sui conti correnti. Insomma, l’anatocismo è nullo a 360 grandi. La beffa è che il probabile successo dell’azione collettiva avrebbe effetti benefici più che altro sulle imprese, perché sono questi i clienti che quasi sempre vanno a debito nei confronti del sistema bancario. Ma se le banche rilanciassero, attraverso una domanda riconvenzionale, la stessa sentenza potrebbe avere effetti dirompenti sui quei clienti che invece vantano quasi sempre un credito nei confronti degli istituti. Questi clienti, appunto, sono pensionati e impiegati, ossia i veri e propri "consumatori". Stefano Sansonetti