La Stampa 23 gennaio 2008, Mario Baudino, 23 gennaio 2008
Il ladro di cadaveri. La Stampa 23 gennaio 2008. Tutto da solo, e tutto in molte notti, nel cimitero chiuso e silenzioso
Il ladro di cadaveri. La Stampa 23 gennaio 2008. Tutto da solo, e tutto in molte notti, nel cimitero chiuso e silenzioso. Aveva 73 anni e traslocava bare, di nascosto, senza un motivo, utilizzando un complesso marchingegno inventato da lui e poi celato tra le tombe, un pezzo qua e un pezzo là. Toglieva i feretri da un posto e li metteva in un altro, forse provvisoriamente, forse per sempre; riorganizzava secondo un suo disegno clandestino il cimitero di Saluzzo, ed era naturalmente al di sopra di ogni sospetto. Se n’è andato col suo mistero, perché non ha retto alle accuse e agli arresti domiciliari, e nella mattina di lunedì ha trovato la morte in un incidente stradale che ha tutta l’aria d’essere un calcolato suicidio. Antonio Cacciolatto era un imprenditore, ramo elettronica, e un appassionato di meccanica, come ha dimostrato il macchinario che gli permetteva, alla sua età, da solo, di portare le bare a spasso per il cimitero. Un Leonardo nella città dei morti. E soprattutto un enigma. Il suo obbiettivo era una famiglia notissima a Saluzzo, nel Cuneese, e se non l’avessero sorpreso al secondo furto, chissà dove sarebbe arrivato. «Era una persona normale, e anche un’ottima persona. Lo conoscevo da sempre», dice, ancora molto stupito, il capo necroforo, Sergio Berardo. Lui era stato messo sull’avviso da tempo, perché stavano accadendo cose strane, ma mai e poi mai avrebbe pensato che il colpevole fosse quel signore così per bene. Però quando sabato mattina, al momento della riapertura se lo è ritrovato di fronte in un posto dove proprio non doveva essere, non l’ha fatta tanto lunga. Non gli ha chiesto perché stesse ripulendo piccoli detriti davanti alla cappella della famiglia Calosso, mobilieri notissimi a livello nazionale; non ha creduto molto alla giustificazione dell’anziano intruso, che sosteneva di essere rimasto intrappolato la sera prima e di non essere riuscito a ottenere aiuto; non è stato lì a discutere, ma ha avvisato i carabinieri. Qualche mese fa era già sparita una bara, dalla stessa tomba: occhi aperti, gli aveva detto il maresciallo Fabrizio Giordano, e lui li ha tenuti spalancati anche davanti all’incredibile. Poi, nel giro di poche ore, tutto è precipitato in tragedia. A sera il «Tomb raider» di Saluzzo (niente a che vedere col videogioco di cui è protagonista Lara Croft, qualche somiglianza forse con quel che accade in Tutti i nomi, il romanzo di José Saramago) è stato messo di fronte ad accuse pesanti: aver trafugato nell’agosto scorso la salma di Giovanni Calosso, scomparso nel 1978, fondatore del grande mobilificio, e ora quella della moglie, Margherita, morta nel ”77. Sono andati a prenderlo a casa: ha giurato di essere innocente, ma non gli hanno creduto. Confinato nel suo appartamento in attesa dell’udienza di convalida, deve aver trascorso una domenica drammatica, e lunedì mattina si è infine ucciso, gettandosi con la sua macchina contro un camion, su una statale poco distante. Ha lasciato un messaggio per il figlio Gianluca, vigile urbano a Saluzzo, e per la figlia che da tempo abita a Milano, dove ribadisce la sua innocenza e chiede perdono. Ma gli investigatori ormai non hanno dubbi. In una conferenza stampa tenuta a Cuneo, il Procuratore di Saluzzo e i carabinieri hanno ricostruito questa incredibile storia, e mostrato con una certa ammirazione le immagini del carrello tuttofare (che è stato definito appunto «leonardesco»). Hanno trovato i riscontri, anzi le prove, conducendo le indagini «alla vecchia maniera», soprattutto con molte perquisizioni, raggiungendo così una ragionevolissima certezza che quell’argano-carrello fosse stato costruito nel suo laboratorio. Al momento non si parla di complici, neanche inconsapevoli. Alla sua età, l’imprenditore sembra aver fatto davvero tutto da solo, nel segreto più assoluto. Nessuno aveva mai sospettato di lui. Il custode del cimitero è ancora un po’ spaventato, sa che deve tenere la bocca chiusa e dice che il suo telefono è sotto controllo (queste sarebbero invece le indagini «nuova maniera», chissà se è vero), ma la vicenda pare insomma ben chiara, e l’udienza di convalida per l’arresto, che si terrà oggi, perché «va fatta regolarmente anche se l’imputato non è più tra i vivi», come ci spiega l’avvocato di famiglia, Luca Martino, non dovrebbe aggiungere se non qualche tassello. Resta il fatto che il movente è un mistero. Perché mai Antonio Cacciolatto, persona integerrima, senza problemi economici, rovistava nottetempo nel cimitero? E che cosa lo spingeva alla cappella dei Calosso, una bella edicola art déco, con due bronzei angeli piangenti sul frontone, firmati «Tedeschi» e di ottima fattura, per estrarre con fatica, e soprattutto con un incredibile talento ingegneristico, bare poste ad almeno un metro e mezzo da terra? Questo davvero nessuno lo sa. Quando scomparve il feretro di Giovanni Calosso, nell’agosto scorso, non ci furono richieste di riscatto. Ancora non è stato ritrovato. Quello della moglie, probabilmente estratto dalla tomba nella notte fra venerdì e sabato, è stato invece rintracciato, a un centinaio di metri di distanza, nel loculo di un’altra cappella famigliare. Non è chiaro se fosse stato «parcheggiato» lì per una seconda, abusiva, traslazione, o se per qualche strano disegno dovesse essere quella la sua destinazione definitiva. I carabinieri sembrano credere di più alla seconda ipotesi, perché hanno smesso di cercare all’interno del cimitero: ieri era chiuso, ma non per ordine degli inquirenti, che evidentemente stanno guardando altrove. Tutto è chiaro, tutto resta enigmatico e inquietante. Il misterioso disordinatore di salme - se è davvero lui, come sembra accertato e non si tratta di un mostruoso scambio di persona - ha portato con sé il segreto, nella corsa verso la morte sulla statale tra Busca e Cuneo. Antonio Cacciolatto «lavorava» da mesi in quel cimitero, nascosto fra le tombe. Era un uomo meticoloso, aveva pensato proprio a tutto. E nessuno, ma proprio nessuno, aveva mai intuito segni di squilibrio. «Quando l’ho chiesto al figlio, quasi se n’è risentito», dice l’avvocato. Aveva, dice ancora il legale, un grandissimo culto dei defunti. Da oltre sei anni, e cioè da quando era stata seppellita lì sua moglie, in un’altra ala però, lontanissima dalla tomba dei Calosso, lo visitava almeno due volte la settimana. Ormai, conosceva a menadito la «sua» città dei morti. Forse voleva farne un labirinto. E forse non è stato solo un accesso di follia, ma un eccesso di - folle - razionalità. Mario Baudino