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 2008  gennaio 23 Mercoledì calendario

Zar Putin si compra la Serbia. La Stampa 23 gennaio 2008. Qui si stanno svendendo lo Stato!», pare abbia urlato Mladjan Dinkic sbattendo un portacenere sul tavolo ministeriale quando ieri all’ora di pranzo qualcuno l’ha informato della missione segreta

Zar Putin si compra la Serbia. La Stampa 23 gennaio 2008. Qui si stanno svendendo lo Stato!», pare abbia urlato Mladjan Dinkic sbattendo un portacenere sul tavolo ministeriale quando ieri all’ora di pranzo qualcuno l’ha informato della missione segreta. Come ministro dell’Economia, nonché più illustre esperto del Paese in materia economica, il maggiore esponente del gruppo di teste d’uovo «G 17 Plus» avrebbe dovuto essere informato, ma così non hanno fatto. Perfino il ministro dell’Energia Alexandar Popovic, seguace del primo ministro Voislav Kostunica, è caduto dalle nuvole quando ha scoperto che a compiere il «blitz» sono stati due uomini del suo stesso partito. Ma era troppo tardi: Kostunica ha già annunciato la conclusione dell’accordo del secolo, la vendita della compagnia petrolifera nazionale serba alla Gazprom di Vladimir Putin. «Si tratta del maggiore contratto commerciale mai stipulato da noi», ha dichiarato Kostunica, promettendo che esso «aiuterà lo sviluppo economico del Paese e garantirà forniture energetiche stabili e sicure per i cittadini e le industrie serbe nei decenni a venire». I quindici giorni di passione che separano la Serbia dal voto di ballottaggio per la scelta del presidente si drammatizzano fortemente, e il presidente Boris Tadic - in attesa di affrontare al secondo turno, il 3 febbraio, il nazionalista Tomislav Nikolic - potrebbe volare già venerdì a Mosca per firmare l’accordo nel Cremlino di Putin. Tra i premi in palio per la Nis («Nafta Indurstrja Serbje»») la partecipazione di Belgrado a «SouthStream», il progetto del nuovo gasdotto russo nei Balcani che Putin ha promosso la settimana scorsa in Bulgaria. L’Europa resta a guardare: « un accordo bilaterale tra due Paesi terzi, quindi non abbiamo commenti da fare», taglia corto Ferran Tarradellas, portavoce del commissario all’Energia Andris Piebalgs. Eppure si tratta di un colpo di mano che interessa non solo Belgrado ma tutta l’Europa. Mentre i radicali gongolano per il successo di Nikolic al primo turno, Tadic cerca di mantenere la barra su una rotta filoccidentale e Kostunica fa il pesce in barile, due uomini del primo ministro sono filati a Mosca per stringere gli ultimi patti. Gli inviati speciali sono Miran Paridovic, ministro dei Rapporti economici con l’estero e un «grand commis» di Stato che si chiama Dejan Mihajlov. Nessuno formalmente li ha incaricati di trattare né avrebbe potuto farlo, ma sono andati a stringere gli ultimi accordi con il colosso energetico russo, prima che il governo serbo approvi formalmente l’accordo. Le reazioni della politica più che proteste cominciano a parere ruggiti: una parte del partito di Kostunica che è ragionevole ricondurre direttamente al premier è schizzata in avanti per concludere una svendita del patrimonio statale che sarà premessa di un rapporto più stretto con la Russia di Putin. «Mentre ancora si blatera di nazionalismo o europeismo stiamo affidando il futuro serbo ai russi e al petrolio», commenta alla radio un avvocato di grido. Questa campagna elettorale rischia di tramutarsi in una corsa all’oro che rovescia i punti cardinali scatenando fughe selvagge verso il «wild wild East». Man mano che i dettagli della «missione segreta» vengono fuori si scoprono elementi sempre più agghiaccianti: la Serbia starebbe vendendo ai russi per 500 milioni di dollari (più altri 400 in investimenti futuri) il 51% della compagnia petrolifera nazionale. Appena qualche mese fa, preparando la privatizzazione, Mladjan Dinkic ne aveva apprezzato il valore in 6 miliardi di euro aggiungendo: «In caso di vendita ciascun cittadino serbo potrebbe ricevere 1000 euro». In ballo c’erano società di mezza Europa: oltre alla putiniana Gazprom le greche Omv e Hellenic Petroleum, l’ungherese Mol e perfino la Shell. Adesso la vendita sta per concludersi per un quindicesimo di quel valore anche perché nel frattempo sta venendo fuori che la Nis, gravata di un passivo di circa 500 milioni di euro, negli ultimi mesi ha accumulato un altro «buco» colossale: 900 milioni, e nessuno è in grado di dire dove sia finito tutto quel danaro. «Quando si è formato l’ultimo governo - ci spiega un addetto ai lavori - fra i partiti che lo componevano si raggiunse un accordo che assegnava la Nis al controllo di Tadic e la Rts, la tv di Stato, a Kostunica. Stranamente però Tadic non mandò mai i suoi uomini a governare la società». Il perché si comincia a comprendere: la Nis, oltre che un enorme affare per chi l’acquista a prezzo stracciato costituisce una trappola per chi l’ha gestita in questi anni. Tadic se n’è tenuto fuori in attesa che lo scandalo esplodesse e adesso che tutto detona si appresta a usare la compagnia come arma dello scandalo, giacché la svendita ai russi potrebbe anche avere lo scopo di sotterrate l’enorme «buco». Se l’accordo si concluderà nei termini che circolano in queste ore - si parla di altri 600 milioni che i russi metterebbero per coprire i debiti - la Russia conquisterebbe un’influenza sui serbi che non possedeva dai tempi di Stalin, e anzi all’epoca fu contestata da Tito a rischio di vedere il suo Paese invaso dall’Armata Rossa. Qualcuno a Belgrado sostiene che è «il prezzo che Kostunica deve pagare a Putin per il sostegno ricevuto sul Kosovo». E l’assenso probabile di Tadic potrebbe essere il prezzo per l’appoggio di Kostunica al secondo turno delle elezioni. Infatti Nikolic ieri ha diffuso una lettera aperta al presidente russo, in cui esprime preoccupazione che il suo rivale possa strumentalizzare a fini elettorali l’accordo energetico. Oggi che s’inizia la travolgente avanzata dell’Armata Energetica davvero pochi paiono in grado di fermarla. Dinanzi a un simile scempio l’Europa ancora balbetta in attesa di spedire i suoi soldatini nel Kosovo. Giuseppe Zaccaria