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 2008  gennaio 19 Sabato calendario

MANIFESTO CONTRO PECORARO

Libero 19 gennaio 2008.
Fosse per Alfonso Pecoraro Scanio dovremmo tornare all’età della pietra. Questione di gusti, peccato che la politica del non fare sia già costata al Paese qualcosa come 70 miliardi di euro. E la cifra è destinata a crescere. Piuttosto che fermare l’Italia, non sarebbe meglio fermare un ministro? NO AL NUCLEARE Il livello di dipendenza energetica dall’estero dell’Italia è all’85% del fabbisogno complessivo. In altre parole importiamo l’85% del gas e del greggio che ci serve per riscaldarci e far funzionare le nostre macchine. La media dell’Unione europea non supera il 50%. Alcune settimane fa l’authority per l’energia ha annunciato che nei primi tre mesi del 2008 le tariffe dell’elettricità aumenteranno del 3,8% e quelle del gas del 3,4% proprio a causa della scarsa autonomia energetica del nostro Paese. Eppure, solo pochi giorni fa il ministro dell’Ambiente ha ribadito il suo pensiero sul nucleare, sostenendo che con il no di vent’anni fa al referendum "gli italiani salvarono il Paese". Fu, ha spiegato Pecoraro Scanio, "una scelta lungimirante perché il nucleare è un’energia costosa e pericolosa". Mentre l’Italia è al "sicuro" e al freddo grazie al blocco dei Verdi e del ministro che li rappresenta i nostri vicini di casa si riscaldano con l’atomo. La Francia soddisfa il 76% del fabbisogno energetico con il nucleare, i Paesi dell’Eu ropa dell’Est con quote che vanno dal 40 al 50%. CARBONE FUORILEGGE La guerra al carbone del ministro Pecoraro Scanio risale fin dai tempi della sua militanza nei Verdi. Ma è diventata ancor più serrata da quando è alla guida del dicastero dell’Ambiente. Il 3 luglio scorso, in occasione del Comitato nazionale di gestione e attuazione della direttiva di "emission trading" il ministro ha chiesto che il taglio delle emissioni gassose imposte da Bruxelles ricadessero sulle centrali a carbone: "A parità di produzione energetica è il combustibile con maggior livello di emissione e quindi inquinante, ed è anche quello che ha il costo più basso rispetto agli altri combustibili". Nel mirino del ministro, in particolare, sono finite le due centrali di Torrevaldaliga nord, a Civitavecchia, e Porto Tolle, in provincia di Rovigo. Per questa sua intransigenza Pecoraro Scanio si è più volte scontrato con il collega allo Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani e con il presidente del Senato, Franco Marini. GUERRA AGLI OGM L’Unione europea ha già recepito da tempo la sperimentazione di Ogm in campo aperto con la direttiva 2001/18. I dati scientifici del resto non lasciano più dubbi: tale pratica non può determinare alcuna forma di inquinamento genetico. Per il ministro, però, non ci sono "elementi sufficienti a scongiurare che la coltivazione in campo aperto di piante transgeniche possa portare alla contaminazione delle specie tradizionali". Risultato: Pecoraro Scanio si è rifiutato di firmare i protocolli contenuti nel disegno di legge messo a punto dal collega Paolo De Castro, determinando il mancato rispetto del nostro Paese nei confronti delle direttive comunitarie nonché l’enne simo ritardo sulla ricerca e sulle tecnologie. GRANDI OPERE ADDIO Lo scorso novembre l’Ue ha stanziato 671 milioni di finanziamenti per la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità tra Torino e Lione. Un miracolo vista la decisione del governo nell’estate del 2006 di stralciare il progetto dalla legge. Pecoraro Scanio non sembra avere rinunciato a combattere, come fece due anni fa al fianco dei No Tav della Val di Susa, contro il progetto. Risultato: i cantieri sono ancora fermi. Non va meglio a Venezia, dove il progetto delle dighe mobili contro l’acqua alta (Mose) è bloccato dal 1984. Malgrado il parere positivo dei tecnici della Regione Veneto e il sostanziale via libera del governo, la scorsa estate il ministro dell’Ambiente ha deciso di stoppare tutto inviando una lettera al Magistrato delle acque di Venezia. Motivo? Secondo Pecoraro Scanio i cantieri non hanno ottenuto l’autorizzazione paesaggistica. Stesso discorso sul Ponte di Messina. "Un’opera faraonica e inutile". Così Pecoraro Scanio poco più di un anno fa recitò il de profundis del Ponte sullo stretto di Messina. L’opera è stata definanziata degli 1,4 miliardi disponibili e sostanzialmente azzerata con la Finanziaria 2007. Da allora il governo sta ancora cercando il modo di non pagare la penale con le imprese che hanno firmato un contratto con lo Stato. RIGASSIFICATORI BLOCCATI Il rigassificatore è un impianto che garantirebbe all’Italia maggiore facilità di approvvigionamento di gas, con relativo abbattimento dei costi delle bollette. Ma sono nove su dieci i terminali che non riescono ad aprire i battenti per i niet del ministero dell’Ambiente. Tra nullaosta ed autorizzazioni passano anni. Rosignano Marittimo, in provincia di Livorno, Gioia Tauro a Reggio Calabria, Monfalcone in provincia di Grosseto, Taranto, Trieste e Porto Empedocle in provincia di Agrigento. Questo il primo, infelice elenco, di progetti autorizzati ma non ancora approvati. Caso a parte il rigassificatore di Brindisi che, una volta ottenuto il Via, ha dovuto ricominciare l’intero iter da capo. Sono stati buttati al vento oltre 200 milioni e altri 400 sono a rischio. Poi ci sono altri impianti i quali, invece, hanno ottenuto il disco verde della commissione ministeriale Via (Valutazione di impatto ambientale), ma ancora non sono stati realizzati a causa dei ritardi. Sono quelli di Coste del Polesine, a Rovigo e Meloria, in provincia di Livorno. L’unico attualmente in attività è quello di Panigaglia, in provincia di La Spezia. DISCARICHE FERME La contrarietà di Pecoraro Scanio ai termovalorizzatori è di vecchia data. Contro quello di Acerra, che avrebbe sicuramente aiutato a prevenire l’emergenza rifiuti in Campania, l’opposizione del leader Verde risale alla fine del 2003. "Ci opponiamo al più grande inceneritore d’Europa", diceva. Poi, nell’agosto del 2004 va personalmente ad Acerra per capeggiare una manifestazione di protesta. Ma non bisogna andare così indietro per verificare le responsabilità del signor No. L’utlimo episodio risale a pochi mesi fa, al maggio scorso. Per fronteggiare il problema dell’immon dizia nel napoletano il Consiglio dei ministri istituisce quattro discariche: Serre Valle della Masserie e Terzigno, nel napoletano. Le altre due sono a Savignano Irpino, in provincia di Avellino, e a Sant’Arcangelo, nel beneventano. Pecoraro non solo non firma il provvedimento, ma si reca a Serre per portare la sua solidarietà ai cittadini. Non solo, ottiene anche lo spostamento della discarica a Macchia Soprana, sito meno adatto e non strutturalmente risolutivo. LA CARICA DEI CONSULENTI Nel bilancio dello Stato il ministero dell’Ambiente pesa la metà di quello delle Politiche Agricole. Eppure, Paolo De Castro si è accontentato di otto consulenti. Pecoraro Scanio ne ha 344. Cinque, a 100mila euro l’anno sono per il suo gabinetto (tra cui il verde Sauro Turroni, trombato nel 2006). Otto per i suoi sottosegretari. Sette per la Direzione generale "Qualità della vita". Cinquantaquattro per il servizio "Protezione della natura". Centosette per la "Ricerca ambientale". Centotrentotto per la "Difesa del suolo". Quattordici per la "Salvaguardia ambientale". Poi ci sono cinque dirigenti di fascia alta (in media 95mila euro a testa). Più sei consulenti, tra cui Rubbia, - che, bontà loro, non vogliono un centesimo. Ai 344 bisogna poi aggiungere un’altra infornata di consulenti i cui decreti, firmati ad agosto, non sono ancora stati registrati. COMMISSIONI PARALIZZATE Via e Vas sono le due assise tecniche (oltre ad una terza denominata Ippc) in seno al ministero dell’Ambiente deputate a rilasciare l’ok per progetti infrastrutturali nel settore energetico-ambientale. Queste due commissioni sono state azzerate il 27 luglio scorso con un decreto di Pecoraro Scanio. A causa della inaspettata rapidità del provvedimento, le vecchie commissioni sono state obbligate a un tour de force per valutare dieci progetti fermi sul tavolo. Di questi, ben 5 sono stati respinti con una rapida consultazione. Tanto che molte società hanno minacciato il ricorso al Tar, sentendosi penalizzati dalla corsa contro il tempo che ha costretto le commissioni rinviare gran parte delle pratiche. Poi, nella tarda serata del 10 agosto, con un secondo blitz, Pecoraro Scanio ha rinominato le due commissioni. Il risultato? L’insediamento dell’assise tecnica c’è stato il 25 ottobre e i ritardi hanno costituito costi enormi per le aziende in attesa di ricevere il Via. RIVOLUZIONE AL MINISTERO Il riordino del dicastero dell’Am biente, attuato dal ministro dei Verdi con lo scopo di razionalizzare la struttura, è stato oggetto di forti critiche sia da parte dei sindacati che del Consiglio di Stato. Tanto che ora è bloccato presso la commissione Ambiente del Senato. Dubbi arrivano anche dalla stessa compagine di centrosinistra. I sindacati lamentano il fatto di non essere stati ascoltati dal ministro, che ha attuato le sue scelte senza ascoltarli. Un aspetto sottolineato anche dalla relazione del Consiglio di Stato che, pur fornendo parere favorevole, ha posto l’ac cento sul fatto che "il provvedimento regolamentare si rivela sostanzialmente carente dell’apporto partecipativo degli organismi rappresentativi del personale". Per quanto riguarda il riordino delle posizioni dirigenziali, parametrato in base al personale assunto al ministero, da palazzo Spada i magistrati hanno eccepito che "il parametro di riferimento è stato individuato con il computo anche di altro personale non facente parte dell’organico del ministero, come il Comando carabinieri tutela ambientale e il reparto ambientale marittimo della Capitaneria di porto". Il risultato di questa operazione consentirebbe a Pecoraro Scanio di poter assumere più dirigenti. ASSALTO ALLA LEGGE MATTEOLI Pecoraro Scanio si è insediato al ministero dell’Ambiente pochi mesi dopo l’approvazione da parte del governo Berlusconi del testo unico in materia ambientale. Da allora il suo principale obiettivo è stato quello di demolire il decreto legislativo 152/2006 messo a punto dal suo predecessore Altero Matteoli. Pur di stracciarlo, il ministro ha violato tutte le regole procedurali possibili e immaginabili. A testa bassa, è prima inciampato nella scadenza dei termini previsti dalla legge delega per le eventuali modifiche. Poi, costretto dal Parlamento a rispettare la legge, ha ripresentato al Consiglio dei ministri un altro decreto, contravvenendo però alle norme (peraltro ribadite recentemente dal Consiglio di Stato) che stabiliscono l’impos sibilità di stravolgere un testo di legge con presunti interventi correttivi. Nel frattempo, la scorsa estate, dopo numerose proroghe, la legge Matteoli è entrata ufficialmente in vigore. Il ministro Pecoraro Scanio ha tempo fino al prossimo aprile per tentare di portare a casa il suo obiettivo. Finora, ad ogni buon conto, è riuscito soltanto a collezionare bacchettate dagli organi istituzionali e a lasciare il settore e le imprese nel caos più totale, senza una normativa chiara di riferimento e un quadro regolatorio certo.