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 2008  gennaio 24 Giovedì calendario

Antitaliano

Antiitaliano d’America. L’espresso 24 gennaio 2008. Autodidatta, indipendente, vanitoso. Mussoliniano più che fascista, poi afascista. Nazionalista nel 1914, americano nel 1940, anticomunista sempre, e in fondo liberale. Incendiario e pompiere. Anarchico e conservatore. Molte le definizioni possibili per Giuseppe Prezzolini, precursore di altri ’antitaliani’ tra gli intellettuali del Novecento. Morto a 100 anni spaccati nel 1982, Prezzolini lascia una traccia viva di intelligenza e contraddizioni. E la prima vera sua biografia completa, che esce da Mursia in questi giorni, ’Giuseppe Prezzolini. L’anarchico conservatore’ (498 pagine), scritta da Gennaro Sangiuliano, giornalista Rai e studioso accanito (otto anni di lavoro), rilancia l’attualità del personaggio. "Crediamo che l’Italia abbia più bisogno di carattere, di sincerità, di apertezza, di serietà, che di intelligenza e di spirito. Non è il cervello che manca, ma si pecca perché lo si adopra per fini frivoli, volgari e bassi". Così nel secondo numero della sua rivista, ’La Voce’, dicembre 1908. Non sono parole attuali anche nel 2008? Prezzolini, per Sangiuliano, è l’uomo della "destra che non c’è". Colui che scoprì Mussolini, vi vide l’innovatore dell’Italietta mediocre e servile, ma quando il fascismo andò al potere se ne ritrasse, preferendo l’esilio, e la libertà, negli Stati Uniti. Oggi sarebbe liberista, presidenzialista, atlantista; ma non starebbe con Berlusconi, di cui biasimerebbe, oltre alla familiarità con le procure, le amicizie dubbie, il modesto stile istituzionale, le volgarità. Si può dire che Prezzolini divenne antitaliano a vent’anni, al secondo viaggio a Parigi, nel 1902, quando viaggiare per istruzione era privilegio di pochi. Il ventenne che di lì a poco si sarebbe firmato Giuliano il Sofista, frequenta il Louvre, il Jardin des Plantes, i bouquinistes, le biblioteche: "Appena esco d’Italia", scrive, "tutto mi pare più bello, più pulito, più comodo". come il preludio dei suoi tre esilii, dopo gli anni fiorentini: 33 anni a New York, a Vietri negli anni Sessanta, infine a Lugano. Del resto l’inventore della ’Voce’, a cui idealmente si rifece Indro Montanelli col suo ultimo giornale, fu un preveggente. Celebre la sua profezia del 26 dicembre 1922. Il fascismo, scrive nei ’Diari’, durerà 25 anni (sbagliando di due): " un bolscevismo alla rovescia, che dominerà per tutta una generazione e dal quale non ci libererà altro che un disastro nazionale". Aveva previsto tutto, guerra civile inclusa. Terribile epitaffio del sogno di gloria italiano, la nota di diario ai primi di maggio del 1945. Dopo la fucilazione di Mussolini, alla Columbia University dove insegnava udì un commento feroce: "In battaglia gl’Italiani valgono poco; ma quando si tratta di assassinare nessuno li sorpassa". Prezzolini annotò: "Ci vorrebbe un nuovo aggettivo, che esprimesse il dolore e insieme la vergogna". Prezzolini fu innovatore e antimoderno. Un imprenditore di cultura. Editore, saggista, organizzatore, professore, giornalista. Uomo di una destra liberale rara anche oggi. Il biografo richiama il Thomas Mann delle ’Considerazioni di un impolitico’, quando scrive "L’ironia è lo spirito del conservatorismo". Certo, Prezzolini fu un ironico. Più di Leo Longanesi, specie il tardo Longanesi, a tratti acido, e forse alla pari con Montanelli, che però era meno colto, e da Prezzolini non fu mai designato suo erede, come Indro invece dava a intendere. E certo ’La Voce’ conteneva tutta l’irriverenza, spiritaccio toscano e apertura al mondo, di una generazione giovane: attacchi pungenti alle baronie universitarie e al moderatismo del ’Corriere della Sera’, alla grettezza della borghesia, alla corruzione dei ministri (il ’malavitoso’ Giolitti) e alla burocrazia di Stato, all’accademismo pedante e al Sud arretrato e piagnone. Con ’La Voce’ Prezzolini creò qualcosa che anticipò le esperienze del ’Mondo’ e del primissimo ’Espresso’, oggi forse del ’Foglio’: una rivista con ambizioni politiche prodotta da un gruppo di spiriti affini per passione civile, vivacità culturale, gusto per la fronda e lo sberleffo. Come disse Curzio Malaparte, ’La Voce’ fu "la serra calda del fascismo e dell’antifascismo". Giovanni Papini e Ardengo Soffici, ma anche Giovanni Amendola e Gaetano Salvemini. E Croce. E infine Mussolini. Anzi, il ’Mussolini Benito’, il maestro precario, il socialista delle lotte agrarie, che nel 1909 da "assiduo lettore" invia lettere e articoli e si offre di propagandare la rivista in Trentino. Mussolini si lega a Prezzolini in un rapporto di viva simpatia (Prezzolini intuisce in lui il leader di una rivoluzione nazionale), ma non l’avrà con sé al potere. Del mussolinismo ’Giuliano’ condivide molto, irredentismo, bonifiche, alfabetizzazione, ripresa industriale, ruolo internazionale. Ma da subito lo avverte: "Io non sono un fascista, come sai, perché non voglio partecipare alla vita politica attiva, e perché non approvo alcuni metodi del fascismo, ma ti ho sempre accompagnato con la stessa simpatia personale con la quale ti conobbi", e gli augura, senza chiedergli nulla, "di lavorare per migliorare l’Italia". Questa contraddizione segnerà Prezzolini per sempre. Il suo isolamento politico lo tormentò a New York, dove era sospettato di antifascismo dai fascisti e dopo il 1940 di filofascismo dagli americani; Sangiuliano ricorda le trame denigratorie ordite a New York dell’ex amico, antifascista, Salvemini, forse dovute a basse invidie professionali. E lo tormentò nel dopoguerra, quando la cultura di sinistra legata al Pci non lo reintegrò mai, né lui venne mai a patti, per rancore e per superbia. Frase marmorea dal ’Manifesto dei conservatori: "Si potrebbe dire che non diventai fascista perché non mi sentivo abbastanza italiano". Il conservatore Prezzolini fu innovativo in periodi diversi. Promosse la cultura francese in Italia, Bergson, Sorel. Con Ardengo Soffici nel 1910 organizzò a Firenze la prima mostra degli impressionisti, colmando un ritardo eclatante. Fu tra i primi a raccontare l’America moderna. Oltreoceano, tra la direzione di Casa Italia e la cattedra alla Columbia, fece conoscere Machiavelli, Leopardi, Vico. E agli italiani (da giornalista, per ’Il Tempo’, ’Il Resto del Carlino’, ’La Nazione’, ’Il Borghese’, perché il ’Corriere’ gli fu precluso) raccontò la politica estera Usa, successi e reati degli italo-americani, il sindaco La Guardia e i gangster, il divismo e Wall Street, dall’era Roosevelt fino a Kennedy, compreso il maccartismo che lo entusiasmò anche troppo. Sangiuliano ripesca episodi poco o per nulla noti. L’ammirazione dell’antifascista Piero Gobetti (che Prezzolini nel 1925 a Parigi accolse e assisté nelle ore della morte, passaggio biografico omesso da molti studiosi). L’incontro con Antonio Gramsci e gli operai Fiat, a Torino nel 1921 ("Gramsci è uno degli uomini più notevoli dell’Italia. ha energia, fede, non lavora per il momento"). La visita del giovane Alberto Moravia a Casa Italia ("Uomo di grande acume e rapida osservazione"). Qualche residua tentazione verso Mussolini, quando scrive a Papini: "Mussolini mi conosce, sa che gli sono personalmente affezionato e devoto, e che lavorerei volentieri ai suoi ordini. Se mi vuole, me lo dirà". Il "fastidio" per la visita di Margherita Sarfatti, ex amante del Duce, nel 1934 a Casa Italia. Una lettera assai ossequiosa di Ennio Flaiano. Il furioso litigio con il capo del Pci (Togliatti di Prezzolini: "Meretrice venduta su tutti i marciapiedi"; risposta: "Tu sei il pederasta passivo dei Russi"). Le gustose critiche alla giovane Oriana Fallaci: troppo antiamericana, la signorina. Su un punto Prezzolini è omissivo: non inquadra l’enormità delle persecuzioni anti-ebraiche; sebbene proprio da ebrei italiani a New York si faccia aiutare per inviare soldi in Svizzera alla famiglia. E non riconosce come merita il ruolo morale e patriottico della Resistenza. Prezzolini, carattere aspro, tendeva all’avarizia. E soffrì di una fissazione da giornalista: fu sempre arciconvinto di esser mal pagato per quel suo gran talento. Anche quando era pagato bene. Enrico Arosio