La Stampa 21 gennaio 2008, Susanna Marzolla, 21 gennaio 2008
Anche il divorzio può essere inevitabile. La Stampa 21 gennaio 2008. So che molti cristiani in questa situazione si sentono emarginati o addirittura estromessi, ma non è affatto vero
Anche il divorzio può essere inevitabile. La Stampa 21 gennaio 2008. So che molti cristiani in questa situazione si sentono emarginati o addirittura estromessi, ma non è affatto vero. Per loro la Chiesa sa coniugare verità e amore»: dice il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, rivolgendosi appunto a chi è «in situazione di separazione, divorzio e nuova unione». Lo fa in forma di lettera aperta, un libretto di 24 pagine che prende il titolo da un salmo: «Il signore è vicino a chi ha il cuore ferito». Sa il cardinale come nasce questa ferita: «Immagino - scrive - che abbiate sperimentato giorni di fatica a vivere insieme, nervosismi, impazienze e sofferenza, sfiducia reciproca, a volte mancanza di trasparenza, senso di tradimento, delusione per una persona che si è rivelata diversa da come la si era conosciuta all’inizio. Queste esperienze finiscono con il rendere la casa non più un luogo di affetti e gioia, ma una pesante gabbia che sembra togliere la pace al cuore». E dopo questa realistica descrizione della fine di un matrimonio, Tettamanzi dice con una chiarezza forse inusuale per un così alto prelato: «La Chiesa sa che in certi casi non solo è lecito, ma addirittura inevitabile prendere la decisione di una separazione: per difendere la dignità delle persone, evitare traumi più profondi, custodire la grandezza del matrimonio». Con un’attenzione particolare ai figli: «Non rendete la loro vita più difficile, privandoli della presenza e della giusta stima dell’altro genitore. Hanno bisogno sia del papà sia della mamma e non di inutili ripicche, gelosie o durezze». E dopo la separazione? C’è chi non si risposa: «Vediamo attorno a noi esempi eroici e ammirevoli di genitori che, rimasti soli, fanno crescere ed educano i propri figli con amore, saggezza, premura e dedizione. Danno un grande esempio». C’è chi invece divorzia e sceglie una nuova unione: costoro sono fuori dalla Chiesa? Assolutamente no, dice il cardinale. vero che, per obbedienza alla parola di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio, «è impossibile accedere alla comunione eucaristica per gli sposi che vivono stabilmente un secondo legame» ma questa norma ecclesiastica «non esprime un giudizio sul valore affettivo e sulla qualità della relazione che unisce i divorziati risposati. Il fatto che spesso queste relazioni siano vissute con senso di responsabilità e con amore nella coppia e verso i figli è una realtà che non sfugge alla Chiesa e ai suoi pastori». Questo significa, per il cardinal Tettamanzi che è sbagliato «ritenere che i coniugi divorziati risposati siano esclusi da una vita di fede e di carità vissute all’interno della comunità ecclesiale». Anzi: «Vi chiedo - dice a chi ha scelto una ”nuova unione” - di partecipare con fede alla Messa. Anche a vostra disposizione sono i molti mezzi della Grazia di Dio. Anche da voi la Chiesa attende una presenza attiva e una disponibilità a servire». Accoglienza quindi, nessun «vade retro»; anche se in passato ci può essere stato: il cardinale lo sa e se ne rammarica, esprimendo «dispiacere se avete trovato sul vostro cammino uomini o donne della comunità cristiana che vi hanno in qualche modo ferito con il loro atteggiamento o le loro parole». Invece, assicura Tettamanzi: «Per la Chiesa e per me vescovo siete sorelle e fratelli amati e desiderati». «Finalmente ci siamo sentiti accolti», dice di queste parole Ernesto Emanuele, presidente dell’associazione «Famiglie separate cristiane». Sono già stati organizzati incontri in cui la lettera del cardinale è «letta e meditata» e se ne sono apprezzati il tono («franco, semplice e diretto») e la dimostrazione della volontà di dialogo. Su una questione profondamente sentita tra i fedeli: «Ogni giorno - osserva don Silvano Caccia che segue il ”Servizio per la famiglia” nella diocesi di Milano - ci vengono segnalate l’urgenza e la necessità di un nuovo atteggiamento pastorale che traduca concretamente la vicinanza di Dio ”a chi ha il cuore ferito”». E l’arcivescovo Tettamanzi proprio a questa «urgenza» sembra voler rispondere. Susanna Marzolla