La Stampa 21 gennaio 2008, Giuseppe Zaccaria, 21 gennaio 2008
Dove gli zingari muoiono infelici. La Stampa 21 gennaio 2008. Ogni frammento di mondo, anche il più desolato, nasconde un luogo più sfortunato ancora, una sentina più ributtante delle altre e in questa piccola porzione di Kosovo ancora abitata dai serbi il nome di questo posto è Osterode
Dove gli zingari muoiono infelici. La Stampa 21 gennaio 2008. Ogni frammento di mondo, anche il più desolato, nasconde un luogo più sfortunato ancora, una sentina più ributtante delle altre e in questa piccola porzione di Kosovo ancora abitata dai serbi il nome di questo posto è Osterode. Ad appena tre chilometri, a Mitrovica Nord, si vota in un’atmosfera di rassegnazione protetta da blindati francesi e cavalli di frisia, da queste parti il partito radicale va forte e se la regione diventerà uno Stato albanese si annuncia una resistenza ostinata. Ma questo campo appena fuori dal paese lungo il corso dell’Ibar è fetido e la gente del luogo lo chiama sbrigativamente «deponija», discarica. In un accampamento fangoso abbandonato tre anni fa dal contingente francese perché rischioso per la salute da tredici mesi vivono ammassati poco più di 300 Rom, 60 famiglie, 120 bambini, che ormai costituiscono una sorta di fastidiosa escrescenza, un paradosso da eliminare. Questo è soltanto un frammento del Kosovo di cui fra breve la nostra Europa si dovrà occupare, monumento a quanto di peggio possano produrre le buone intenzioni. Qualche tempo i media avevano scoperto la persecuzione nella persecuzione, dopo i serbi la rivalsa albanese aveva colpito Rom, turchi e gorani e fu così che l’amministrazione internazionale decise di trasportare qui tutti gli zingari del Kosovo settentrionale, perché gli alloggi erano confortevoli. Ma forse gli americani non parlarono con i francesi o i tedeschi non devono essersi intesi coi britannici giacchè nessuno ha badato che Osterode è nella zona più inquinata dell’ex Jugoslavia. Da oltre un anno bambini e anziani continuano a spegnersi per via delle intossicazioni da piombo. «Cosa facciamo qui? Siamo prigionieri, parliamo coi giornalisti e aspettiamo di crepare...». Non fosse per i toni funerei l’accoglienza di Ehmet Bajrami è quasi cordiale, all’ingresso del campo, mentre, magrissimo e con lunga barba bianca, prendeva acqua a una fontanella. Sembra un vecchio capovillaggio, invece ha appena 48 anni portati malissimo. Il capo si chiama Habib Haidini ed è fuori per discutere coi funzionari stranieri. Bajrami racconta che la tribù cercò di opporsi alla deportazione ma l’Unmik voleva proteggere la minoranza Rom già scacciata da incursioni di estremisti albanesi che avevano dato alle fiamme tende e baracche. I puliti alloggi di un tempo ora hanno un’atmosfera zingara deprivata di vitalità: l’abitazione di Ehmet ruota intorno ai resti di un divano soffocato da tappeti, brande e una cucina economica i cui fuochi sono diventati vasetti per il basilico. «Prima venivano i medici dell’Unmik a prelevarci il sangue - racconta - ma da un paio di mesi non si vedono. Uno mi ha detto che nel mio corpo il piombo è 200 volte più alto del normale, non ci credo troppo, certo non mi sento più tanto forte ma Dio dà e Dio toglie... vuoi un goccetto?». Qui gli zingari sono «Mahala», una delle tribù più antiche dei Balcani. Prima erano in tre campi più a Nord. Li hanno portati a due passi dal complesso minerario di Trepce dove un tempo lavoravano 4 mila operai. Chiuso dai tempi della guerra, qui si estraevano piombo, argento, oro, cadmio, i residui di 50 anni di attività sono ammassati in cumuli grigi nei pressi degli scavi a cielo aperto. «I miei figli vivono cercando fra quei rifiuti - racconta Senada Fahtic - e quando trovano pezzi di metallo li fondono in casa per rivenderli». Anche questa è una fonte di intossicazione, i Rom respirano rifiuti per tutto il giorno e poi se li portano nelle baracche. «Il resto della giornata la passano a bere, a litigare e tentare di ammazzarsi come bestie rinchiuse in un canile - dice Bjorn, uno dei volontari norvegesi appena giunto con un camioncino carico di latte - ma fra breve smetteranno di crearci problemi». Il latte adesso viene donato solo dietro riconsegna del vuoto perché hanno scoperto che i Rom se lo rivendevano e poi a fine mese anche la chiesa norvegese abbandonerà la partita: la missione è impossibile. Il capovillaggio rientra dopo la missione al contingente Onu: dice che nessuno sa spiegargli cosa succederà perché fra breve sarà l’Europa a prendere in mano le cose. «Abbiamo 32 bambini con forti segni di avvelenamento e sei dovrebbero essere ricoverati», dice, «fra noi non c’è un solo uomo che abbia trovato lavoro e se vogliamo mangiare possiamo solo setacciare l’immondizia come cani randagi. Prima ci hanno portati qua per dimostrare che nel nuovo Kosovo si tutelano le minoranze e poi ci hanno abbandonati. Alcuni miei cugini sono tornati a Sud, adesso vivono nei dintorni di Pristina, dicono che lì respirano uranio impoverito e altre schifezze. Almeno però possono dire di aver scelto di cosa morire...». Giuseppe Zaccaria