Libero 21 gennaio 2008, Claudio Siniscalchi, 21 gennaio 2008
La vera lezione di Ratzinger. Libero 21 gennaio 2008. L’università, l’ha ribadito Papa Ratzinger, e non da Pontefice, ma da professore emerito quale ancora si sente, è il luogo dove la ricerca e le idee debbono confrontarsi
La vera lezione di Ratzinger. Libero 21 gennaio 2008. L’università, l’ha ribadito Papa Ratzinger, e non da Pontefice, ma da professore emerito quale ancora si sente, è il luogo dove la ricerca e le idee debbono confrontarsi. Liberamente. Comprese le università pontificie. Potrà sembrare strano ma il convincimento che gli atenei pontifici siano ambienti chiusi dove la dottrina cattolica è insegnata dogmaticamente è uno dei tanti luoghi comuni della cultura laica e anti-cristiana. Se qualcuno ha la certezza che gli ultimi due pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, entrambi professori per lungo tempo, e anche prolifici scrittori, siano stati studiati obbligatoriamente nelle università pontificie, si sbaglia di grosso. Il loro pensiero teologico, filosofico e anche dottrinale ha avuto presa limitata. Ancora oggi, ad esempio, lo schema di interpretazione del Concilio Vaticano II è largamente condizionato da una interpretazione progressista, lontanissima dalla prospettiva di aggiustamento dottrinale rintracciabile nel pensiero di Wojtyla e di Ratzinger. RATZINGER SCONOSCIUTO Ormai le università pontificie sono aperte a chiunque. Durante le lezioni, i seminari, le conferenze si può ascoltare di tutto. E non di rado quanto si ascolta va esattamente nella direzione opposta di dove spinge il magistero. Il cattolicesimo odierno è molto diviso e frastagliato. E la corrente culturale dominante, tranne pochissime isole, è in maggioranza orientata nella direzione opposta alla idea di Chiesa ratzingeriana. Per la conduzione di università pontificie difficilmente vengono scelti responsabili di rottura. Ma se dalla testa si passa al grosso del corpo docente, si scopre ben diversa collocazione. Se ad esempio osservassimo la Pontificia Università Lateranense di Roma, l’Università del Papa, scopriremmo che il Rettore, Monsignor Rino Fisichella, è uno studioso di grandissima competenza e qualità. Un vero uomo del dialogo, della moderazione e dell’apertura. Leggendo però l’im pegnativo studio di un docente della stessa università, Giovanni Giorgio, professore di filosofia teoretica, vediamo come viene affrontato il pensiero di uno dei maggiori contestatori della Chiesa wojtyliana-ratzingeriana: Gianni Vattimo. Nel saggio "Il pensiero di Gianni Vattimo. L’eman cipazione dalla metafisica tra dialettica ed ermeneutica" (Franco Angeli, 2006), ci troviamo davanti ad una lunga disamina del pensiero di Vattimo, in cui però non si sente il bisogno di ricordare al lettore (lo studente di una pontificia università) la palese ostilità anticristiana del filosofo. E non troviamo nessun accenno, neppure vago, ad un’opera di Ratzinger, mentre troviamo specifici riferimenti ad un altro radicale contestatore della cattolicesimo odierno, il filosofo Emanuele Severino, molto impegnato in questi giorni ad accusare Benedetto XVI. IL SILENZIO DEI PROF Un caso naturalmente non fa dottrina. Ma potremmo continuare a lungo. Se c’è un aspetto che ci dovrebbe far riflettere su quanto è accaduto in questi giorni, è la debolezza del corpo docente universitario cattolico. La chiamata a raccolta di ieri è stata guidata dal Cardinale Ruini. E ad essa tutti si sono accodati. Senza manifestare troppi entusiasmi. I giovani studenti hanno rappresentato la parte più attiva della contestazione. Il corpo docente è lontanissimo da certe problematiche, ed è timoroso di pronunciarsi su argomenti che la società reputa vecchi, arcaici, superati, ma che sono in definitiva l’es senza del cristianesimo. L’idea della minoranza culturalmente radicata alla propria identità, prospettata più volte da Ratzinger come specifica del cattolicesimo intellettuale nell’epo ca contemporanea, non gode di nessun favore. Il desiderio dominante è opposto: mescolarsi con la cultura egemone anti-cristiana; sedersi alle sue tavole rotonde, pubblicare i libri con le sue case editrici, recensiti dai giornali alla moda, e alla sera rilasciare un pensoso commento nel salotto televisivo del momento. Mi è capitato lo scorso anno di partecipare ad un incontro universitario per ragionare sul discorso di Ratzinger a Ratisbona, e sulle violente polemiche suscitate. C’erano sette docenti. I quattro relatori, obbligati, e tre docenti spettatori. Nonostante il successo che sta riscuotendo a livello popolare e mediatico Benedetto XVI, nonostante le vendite strepitose dei suoi libri e la diffusione massiccia dei suoi documenti dottrinali, la cultura universitaria cattolica, pontificia e non, gli è largamente estranea. Così come lo è stata a Karol Wojtyla. Come lo è al mistero santifico e salvifico di Padre Pio e di Josearía Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei. Basta solo fare il nome di Padre Pio o di Escrivá per vedere come certi teologi, filosofi o semplici insegnanti delle discipline più stravaganti, storcano il naso. Figuratevi parlargli della "Spe Salvi" di Benedetto XVI. CHI PARLA DAL PULPITO Meglio le cattedre dei non credenti di martiniana memoria, dove dal pulpito di San Carlo Borromeo venivano chiamati a parlare male della Chiesa, della sua storia, dei suoi misfatti, delle sue debolezze, i nemici della Chiesa, non credenti appunto. Questo atteggiamento culturale da quarant’anni è in piena funzione. Prima le teologie pre e post-concilari: della morte di Dio, dell’assenza di Dio, della debolezza di Dio. Poi le teologie politiche e della liberazione. E le teologie secolari e le loro derive nichiliste. E la passione per l’erme neutica, per la demitizzazione, per la psicoanalisi. Dagli anni sessanta la dottrina cattolica è martellata dappertutto. Passi fuori. Ma dentro la Chiesa è davvero troppo. Benedetto XVI tutto ciò lo sa benissimo e non si stanca di ricordarlo, a chi ha orecchi per sentire. Che il Papa oggi sia più in voga tra gli intellettuali laici, da Marcello Pera a Giuliano Ferrara, che tra quelli cattolici, qualcosa vorrà pur dire. Claudio Siniscalchi