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 2008  gennaio 21 Lunedì calendario

Lettera minatoria ai censori di Sgarbi. Libero 21 gennaio 2008. Non so cosa vorrà fare Letizia Moratti, sindaco di Milano, dell’assessore Vittorio Sgarbi accusato da mezza giunta di organizzare mostre non in linea con gli orientamenti culturali dell’amministrazione

Lettera minatoria ai censori di Sgarbi. Libero 21 gennaio 2008. Non so cosa vorrà fare Letizia Moratti, sindaco di Milano, dell’assessore Vittorio Sgarbi accusato da mezza giunta di organizzare mostre non in linea con gli orientamenti culturali dell’amministrazione. Ma so che sta sbagliando se pensa di scaricarlo per non urtarsi con il benpensantismo, sinonimo di conformismo, imperante in un’ampia zona del centrodestra milanese e direi italiano. Sgarbi non è mai stato appeso a un attaccapanni delle ideologie di risulta ancora presenti nella società, e pretendere da lui iniziative organiche ai cosiddetti valori dei partiti è una ingenuità imperdonabile. Vittorio può essere simpatico o antipatico; ne conosciamo tutti il cattivo carattere, la tendenza a intemperanze verbali, l’insofferenza verso gli ignoranti iperparlanti, lo spirito polemico. Ma nessuno mette in discussione la sua competenza nel campo dell’arte poco frequentato dai professionisti della politica, dagli eredi di portaborse, ex giocatori di biliardo, studenti fuoricorso e gente simile. Affidare a Vittorio l’assessorato alla Cultura non comportava un atto di fede; sarebbe stato ridicolo. Però avrebbe imposto un minimo di asservimento all’intelligenza. Scopriamo invece che Sgarbi viene criticato non per le sue impuntature dialettiche, a volte eccessive, bensì per l’apprezzabile lavoro svolto con poco dispendio di risorse finanziarie e con la massima resa. E ciò non è accettabile, specialmente in questo caso. Egli è minacciato di defenestramento solo perché ha programmato mostre fotografiche giudicate fuori dai canoni della banalità corrente, tra l’altro, senza lo straccio di un argomento sostenibile. Mi riferisco a quelle di JoelPeter Witkin, statunitense sensibile alle immagini oniriche di Bosch, e a quella di Jan Saudek (praghese) incline a rappresentare le violenze del mondo contemporaneo. Per le quali il discorso da farsi è sempre lo stesso: si tratta di rassegne importanti; vanno accettate per quello che sono, testimonianze filtrate da una particolare attenzione agli uomini e al loro ambiente, influenzata dallo sgomento e dal dolore. Non siamo di fronte a esercizi provocatori finalizzati a stupire e a scandalizzare. Ma al di là di ogni considerazione estetica, rimane la forza delle opere che arriva a chiunque le osservi con disincanto. Per comprenderne il senso non serve alcuna preparazione specifica, così come non occorre aver studiato all’accademia per cogliere nel Caravaggio i segni di una carnalità non apparentata con la pornografia. Insomma, le scelte di Sgarbi non percorrono i terreni della scabrosità fine a se stessa; sono piuttosto il risultato di una ricerca attenta e compatibile con i mezzi a disposizione. Dov’è il peccato, dov’è lo sfregio al candore, alla coscienza e al sentimento dell’ipotetico visitatore delle mostre? Ci siamo sempre lagnati dell’inconsistenza e dell’inadeguatezza di chi ha retto per anni l’as sessorato alla Cultura della città più europea d’Italia, e ora che abbiamo Vittorio capace di andare oltre le barriere dell’ovvio c’è chi ha paura di scontrarsi con le opinioni inscatolate nel pregiudizio. No, cara Letizia, l’arte promossa dalla destra, per essere encomiabile, non necessariamente deve essere agli antipodi rispetto a quella di sinistra. Basta che sia arte. D’al tronde certe categorie buone un secolo fa oggi fanno il gioco degli imbecilli. Già qualche mese addietro fu bocciata "Vade retro" con motivazioni imbarazzanti, ispirate a vaneggiamenti censori. Vediamo di non concedere malinconici bis. Vittorio Feltri