Affari e Finanza 21 gennaio 2008, Vittoria Puledda, 21 gennaio 2008
La ཿcura dimagranteཿ è costata in un anno il 10% del patrimonio
La ”cura dimagrante’ è costata in un anno il 10% del patrimonio. Affari e Finanza 21 gennaio 2008. Verrebbe quasi da dire che mal comune è mezzo gaudio. Se non fosse che, di questo passo i grandi gruppi italiani rischiano di dover prendere misure drastiche (e non sempre lungimiranti o positive) per correre ai ripari e i piccoli rischiano di "squagliarsi" letteralmente sull’onda dei riscatti: nessuno comunque è abbastanza grande da sopportare in un anno solo che il patrimonio venga eroso, in termini di minori sottoscrizioni rispetto ai riscatti, del 10 per cento in media. Anche perché, a questi risultati, rischia di aggiungersi l’erosione dovuta all’andamento negativo dei mercati. E siccome una parte significativa delle spese è incomprimibile (la ricerca, i costi di negoziazione, quelli amministrativi...) il pericolo vero è che una parte delle società di gestione (o per meglio dire dei suoi azionisti) decida di cambiar rotta e di vendere, portando fuori dai confini nazionali una parte di ricchezza del paese: la gestione appunto del risparmio. La cura dimagrante, nel 2007, è costata grosso modo il 10 per cento del patrimonio in termini di raccolta netta negativa. Con punte anche peggiori, sebbene leggermente da interpretare: ad esempio il meno 20 per cento del Credit Agricole/Intesa sarebbe stato un po’ più lieve, probabilmente, se non ci fosse stata l’annunciata separazione dei due arrivata solo in dicembre che ha provocato lo spostamento di oltre cinque miliardi di fondi della Fondazione Cariplo, dirottati su una sgr "di famiglia" in vista proprio del divorzio consensuale con la parte francese. Anche senza contare quei fondi, comunque, i deflussi rispetto al patrimonio iniziale sarebbero stati superiori al 13 per cento; insomma, AgricoleIntesa è tra chi ha pagato di più alla crisi dei fondi comuni (e, a ben vedere, i deflussi dovrebbero essere sommati alle perdite di Eurizon). La "sorpresa", relativamente parlando, semmai viene da PioneerUnicredit. Il gruppo infatti aveva retto decisamente meglio degli altri big in precedenza, ai primi passaggi della crisi, ma nel 2007 ha mollato gli ormeggi, facendo come e quasi peggio della concorrenza (e il matrimonio con Capitalia, da questo punto di vista, finora non ha portato elementi positivi ma semmai ha peggiorato la crisi). La vicenda di Pioneer è ancora più emblematica per il fatto che il gruppo, presente in molti paesi europei e soprattutto negli Stati Uniti, all’estero raccoglie soldi ed ha un saldo positivo in termini di raccolta; insomma, la crisi è solo italiana. E a questa crisi, tra i primi nomi del settore, quelli che per intendersi sommano quasi il 70 per cento di quote di mercato, non sfugge nessuno: tra i primi dieci nomi, solo una sorta di assicurazione, Mediolanum, e un gruppo estero, Jp Morgan, hanno risultati positivi (e nel caso di Jp Morgan, in realtà a partire dalla seconda metà anno, da quando cioè è esplosa la crisi dei mutui subprime, la raccolta è passata in negativo anche se il saldo dell’intero anno conserva il segno più). Si consolida, appena un gradino sotto i supergiganti, il costante e progressivo sviluppo di Azimut: il gruppo, tra i pochissimi indipendenti dal settore bancario, non ha registrato un solo mese con raccolta negativa e alla fine dell’anno termina in undicesima posizione, oltre 1.300 milioni di patrimonio in più e una quota di mercato pari al 2,6 per cento. Segno più, anche se per volumi modesti, la raccolta complessiva di Banca Generali, che nell’intero 2007 ha portato a casa un bottino pari a 340,1 milioni (in un anno quasi esattamente a metà: la prima parte positiva, gli ultimi cinque mesi tutti con il segno meno). Anche per Kairos, la sgr specializzata in fondi hedge fondata da Paolo Basilico, l’anno appena trascorso è stato positivo, visto che si è chiuso con una raccolta netta pari a 706 milioni di euro (a partire dall’estate, i dati sono stati meno brillanti rispetto alla prima parte del 2007) cioè un po’ più del 10 per cento del patrimonio a fine gennaio scorso; non a caso il gruppo è passato dal 22esimo al 18esimo posto. Al contrario, Anima sgr, fondata e gestita da Alberto Foà, ha vissuto un anno difficile: la società infatti ha avuto riscatti netti per oltre 1.250 milioni di euro. Un altro fattore da sottolineare, in questa particolare classifica delle società di gestione, è la relativa stabilità delle quote di mercato: tranne lente e faticose scalate verso l’alto, il settore finora si è mosso poco. Anche se, continuando con questi ritmi di riscatti, è ipotizzabile che soprattutto la parte bassa della classifica non potrà reggerà all’infinito: forse, soprattutto per le sgr più piccole, è arrivato il momento di aggregarsi o comunque di darsi una struttura diversa. Probabilmente, 60 società autonome sono troppe, ormai. VITTORIA PULEDDA