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 2008  gennaio 21 Lunedì calendario

Le grandi banche alla resa dei conti. Affari e Finanza 21 gennaio 2008. L’ANNO scorso di questi tempi Charles Prince, allora Ceo di Citigroup, cercò di tranquillizzare i vip dell’economia – finanzieri, capitani d’industria, columnist – convenuti per l’appuntamentoshow di Davos

Le grandi banche alla resa dei conti. Affari e Finanza 21 gennaio 2008. L’ANNO scorso di questi tempi Charles Prince, allora Ceo di Citigroup, cercò di tranquillizzare i vip dell’economia – finanzieri, capitani d’industria, columnist – convenuti per l’appuntamentoshow di Davos. Si intravedevano i segnali della crisi legata all’immobiliare e alcuni colleghi di Prince, da Lloyd Blankfein della Goldman Sachs a James Dimon della JPMorganChase, stavano imboccando strategie più prudenti. «Il 2007 sarà un anno benigno per i mercati finanziari», disse il capo di Citigroup, alimentando un falso ottimismo e incoraggiando i soliti brindisi. Fu una previsione infausta. Schiacciato dalla crisi dei subprime, Prince è stato mandato via: il timone del più grande gruppo bancario mondiale è finito all’indiano Vikram Pandit. Negli Stati Uniti la recessione è alle porte: data per "probabile" dall’exgovernatore della Federal Reserve Alan Greenspan è al centro di un pacchetto economicofiscale discusso da Casa Bianca, Congresso e candidati alla presidenza. All’edizione 2008 del World Forum, questa settimana a Davos, si constaterà lo spostamento degli equilibri di ricchezza e potere dalle capitali occidentali a quelle orientali; dalle multinazionali petrolifere ai produttori di greggio; dalla banche americane ai fondi sovrani mediorientali e asiatici. Alla vigilia dell’incontro svizzero, la finanza newyorkese ha vissuto una delle settimane più umilianti della sua storia: non ci sono stati assalti agli sportelli bancari, né suicidi dai grattacieli, ma le cifre fornite giovedì scorso al Congresso da Bernanke, sono mozzafiato: la crisi subprime costerà 100 miliardi di dollari. I primi a farne le spese sono gli americani cui è stata pignorata la casa. Gli investitori hanno perso fiducia negli strumenti usati per raccogliere il credito garantendolo con i mutui: i Cdo (collaterized debt obligations). Banche e istituti si sono trovati con montagne di prodotti finanziari di valore decrescente, che li hanno costretti ad assorbire in bilancio le perdite e svalutare il capitale. L’intervento della Fed, della Bce e di altre banche centrali per aumentare la liquidità è servito ad attenuare la stretta. I tassi sono un po’ diminuiti. Ma la sensazione è che ci vorranno tempi lunghi per smaltire la sbornia. La borsa americana è crollata e pochi intravedono una svolta prima della fine del 2008 o dell’inizio 2009. Scrive il Wall Street Journal: «Dopo lo scoppio della bolla della new economy e poi della bolla della casa, siamo alla bolla della finanza». Si punta il dito su un settore cresciuto troppo in fretta, passando dal 4,4% del pil americano nel 1977 al 7,7 nel 2005. Un quinto dei ragazzi usciti nel 2007 da Harvard è finito a Wall Street. Citigroup e Merrill Lynch hanno il primato delle perdite. Entrambe hanno licenziato il vecchio management, e alla Merrill Lynch è arrivato John Thain, excapo del New York Stock Exchange. Entrambe hanno aperto le porte a capitali esteri. E hanno dovuto annunciare la settimana scorsa in rapida successione perdite e svalutazioni miliardarie, e prospettive di affari molto più grigie di una volta. Le emissioni di Cdo erano diventate una gallina alle uova d’oro, garantendo fino all’inizio del 2007 utili record: non sono ripetibili, i prezzi del mattone non si sono affatto stabilizzati. A battersi il petto è Citigroup: Pandit ha annunciato che per il calo del valore delle security in portafoglio e il pessimo andamento di prestiti al consumo e carte di credito, il quarto trimestre 2007 si chiude con 9,9 miliardi di perdite. Il capitale societario è stato svalutato per 18 miliardi di dollari. Il neopresidente, che si appresta a varare una ristrutturazione con, si dice, 20mila licenziamenti, nonché la vendita di interi settori di business, ha anche ceduto partecipazioni del gruppo, per un totale di 14,5 miliardi di dollari, al fondo sovrano di Singapore, al principe Alwaleed, a Sandy Weill, allo stato del New Jersey. Il tutto si aggiunge ai 7,5 miliardi incassati da Citigroup con l’ingresso del fondo sovrano di Abu Dhabi. Due giorni dopo, è stato il turno di Thain: la Merrill Lynch ha avuto le perdite trimestrali peggiori della sua storia, 9,8 miliardi di dollari. L’anno si è chiuso in rosso per 7,8 miliardi rispetto a 7,5 miliardi di utili nel 2006. Il capitale è stato svalutato per 16,7 miliardi di dollari. Ha commentato Thain: «Sono convinto che abbiamo basi solide per affrontare il 2008». Dopo la vendita a novembre del 4,5% al fondo di Abu Dhabi, e ai 7,5 miliardi incassati per una analoga partecipazione dal governo di Singapore, la Merrill Lynch ha reclutato per altri 6,6 miliardi di dollari la Investment authority del Kuwait, l’Investment corporation della Corea del sud e il Mizuho financial group giapponese. L’ingresso dei fondi sovrani cambia la geografia della finanza e internazionalizza Wall Street. Il terremoto del subprime porterà a cambiamenti legislativi e a un ulteriore consolidamento della finanza. Anche la Bank of America e la JPMorgan Chase hanno registrato perdite, ma di tutt’altra dimensione rispetto a Citigroup e in un contesto diverso. Si sono difese prima e meglio dalla crisi subprime e ora si guardano intorno per approfittare delle difficoltà delle rivali. La JPMorgan ha già superato Citi per capitalizzazione di borsa, ha aumentato la sua quota di mutui sul totale americano dal 6 all’11% e ora punta a qualche grande acquisizione. Nel mirino, la Sun Trust Bank di Atlanta e la Washington Mutual di Seattle, le cui quotazioni sono scese di molto. Ma c’è anche chi ipotizza che la banca abbia in mente un colpo grosso, magari la Morgan Stanley o la Bear Stearns, la società di Wall Street più danneggiata dai subprime. Intanto la settimana scorsa, con una mossa coraggiosa, il Ceo di BankAmerica, Kenneth Lewis, ha rilevato per 4 miliardi di dollari, salvandola dal fallimento, la Countrywide financial, l’aziendasimbolo della crisi subprime. «E’ un’occasione irripetibile», ha spiegato Lewis. Ma in molti tremano. ARTURO ZAMPAGLIONE