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 2008  gennaio 21 Lunedì calendario

BUGIE (E MASSAGGI)

Corriere della sera 21 gennaio 2008.
Non ho fatto in tempo a leggere, qualche giorno fa, il nome Hillary sulla prima pagina di un quotidiano – il titolo osannava le «memorabili imprese» messe a segno nel corso di una vita – che un subitaneo flash ha folgorato la soffitta della mia memoria. E, tempo qualche minuto, ho ricordato i giorni in cui la fama di due «Hillary» era sublimata in un’ unica personalità. Nell’aprile del ’95, nel corso di una missione internazionale in Asia nella veste di First Lady – una delle innumerevoli e insignificanti trasferte che la Nostra addita, oggidì, quale elemento fondante della sua «esperienza» in politica estera – la signora Clinton si recò in Nepal ed ebbe un breve incontro con il compianto Sir Edmund Hillary, il primo uomo che conquistò la vetta dell’ Everest. Fu in quell’occasione che, pronta come sempre a sfruttare il momento propizio, rivelò pubblicamente che sua madre scelse di chiamarla «Hillary» proprio in onore del celebre e intrepido esploratore. La panzana «funzionò» così bene che venne replicata anche nelle soste successive, nonché annoverata nell’ autobiografia del suo consorte Bill, quasi due lustri più tardi, a ennesima riprova del fatale ardimento che accompagna la senatrice di New York.
Si dà il fatto, tuttavia, che quest’ultima sia nata nel 1947, mentre Sir Edmund Hillary scalò l’Everest (assieme a Tenzing Norgay) soltanto nel 1953. Ergo, il racconto era palesemente artefatto, ed è infatti crollato dinanzi alla cruda verità. A dirla tutta, una portavoce della senatrice Clinton, tale Jennifer Hanley, rilasciò nell’ottobre 2006 – concedendo che il racconto era fittizio e nondimeno avvincente – la seguente dichiarazione: «Si trattò soltanto di una tenera storiella raccontata in famiglia dalla madre della senatrice, con l’obiettivo di ispirare in lei un senso di grandezza e stimolarla, aggiungerei, verso importanti traguardi».
Perfetto. Ricamare fantasie attorno al proprio nome molti anni dopo l’ascesa di Sir Edmund a lucrosa celebrità, insomma, ha funzionato; ora che il trucco ha perso ogni utilità, però, la sua mendacia può tranquillamente essere imputata a «mammina». Non vi pare, tuttavia, che ogni singolo episodio e dettaglio della saga Clinton ricalchi lo stesso, identico canovaccio? E non trovate che, talvolta, i risvolti siano assai più preoccupanti? Agli occhi della senatrice Clinton, tutto può assurgere a verità purché corrobori il mito del suo spirito di lotta e la sua «grandezza » (ovvero della sua smisurata ambizione), e scadere a menzogna non appena smette di assolvere a questa gretta finalità. In quanto a noi, secondo tale disegno dovremmo ammirare la destrezza e la spavalda arroganza di cui simile atteggiamento è intriso. Nel 1992, durante le primarie nel New Hampshire, Hillary Clinton mentì a bella posta sulla sfrenata vita sessuale del marito, rendendolo in tal modo eterno debitore nei suoi confronti.
Oggi si allude a questa mossa, e la si commenta nero su bianco, quale semplice gesto d’amore da parte di lei. Durante i caucus dell’Iowa all’inizio del mese, intanto, il consorte ha ricambiato il favore propalando una colossale bugia riguardo la propria posizione sulla guerra in Iraq, per cui (con buona pace della verità) egli si sarebbe opposto all’intervento sin dall’inizio. Una mossa che oggi viene giudicata, o commentata nero su bianco, come un errore puramente tattico da parte di lui, troppo spericolato nel volere aiutare la propria consorte. Oggi, l’allegra coppietta ha concordato un racconto altrettanto mendace sul come eil quando
della loro posizione sull’intervento in Iraq. Quanto occorre aspettare prima di rompere questo misero e squallido sortilegio, svegliarsi dal torpore e chiederci perché mai permettiamo che la tragicommedia famigliare dei Clinton occupi – per l’ennesima volta – il centro della scena politica Usa? Quale smania di oblio’ o di perdono – può indurre a desiderare che un clan così disastrato torni a occupare la Casa Bianca, e possa nuovamente affittare la camera da letto di Lincoln ai più generosi sovvenzionatori della campagna elettorale o adibire lo Studio Ovale a sala massaggi?
Bisogna essere disposti a dimenticare, anzitutto, cosa è accaduto l’ultima volta che qualcuno ha osato intraprendere un’azione legale, o affermare semplicemente la verità. Si sente spesso dire, per bocca di chi vuol mostrarsi a tutti i costi maturo e imperturbabile, che un unico, grande sbaglio ha portato Bill Clinton all’impeachment: le bugie sullo scandalo sessuale. Le cose, però, non stanno propriamente così. Egli in realtà mentì, nella falsa dichiarazione giurata che gli costò anche la radiazione dall’albo degli avvocati dell’Arkansas, sulle donne coinvolte. Il che diede adito a una spietata campagna di diffamazione, con l’appoggio di galoppini personali (perdonerete l’espressione) e pubblici dipendenti, contro donne che – ne sono persuaso – dicevano la verità. Sì, sono convinto che Jennifer Flowers dicesse la verità, proprio come Monica Lewinsky, e Kathleen Willey, e – nessuno dovrebbe dimenticarsene – Juanita Broaddrick, colei che confessò di essere stata violentata da Bill Clinton. (Per chi volesse approfondire la vicenda, rimando al capitolo intitolato Is There a Rapist in the Oval Office?, «C’è uno stupratore nello Studio Ovale?», del mio saggio No One Left To Lie To, ed. Verso Books, 2000. Saggio che, posso aggiungere con una certa modestia, non è mai stato impugnato dal leggendario team di «pronto intervento» dei Clinton). Ciononostante, i media raccontano a ogni piè sospinto come il duo Clinton – già, persino colei che tanto ha contribuito ad alimentare ingiurie e calunnie contro altre donne – tocchi l’eccellenza sulle questioni «femminili».
Si fa anche un gran parlare della tragicomica co-gestione della Casa Bianca e dei suoi notevoli benefici, giacché avrebbe conferito «esperienza» a una povera moglie disprezzata e più volte ingannata. Ebbene, il frutto di quest’«esperienza » è stato il caos più totale in un sistema sanitario nazionale che, notevolmente peggiorato persino rispetto a quello precedentemente in vigore, ha spalancato le porte a un programma di assistenza – basato sulle cosiddette Hmo ( Health maintenance organization) – adir poco disastroso: un connubio tra il massimo della speculazione capitalistica e l’apice della burocrazia socialista. La responsabilità di un risultato tanto esiziale, condonato per ragioni che sfuggono alla mia comprensione, va singolarmente imputata a colei che, proprio in virtù della stessa, si ritiene idonea alla presidenza. Ma c’è stata anche un’altra «esperienza », stavolta improntata alla concertazione, ancor più interessante.
Nel corso dei dibattiti in Senato sull’ intervento in Iraq, la senatrice Clinton citò a più riprese il suo background ela sua «esperienza» confermando che sì, Saddam Hussein rappresentava effettivamente una minaccia. Per avvalorare la sua tesi preferì, anziché avanzare gli stessi argomenti dell’amministrazione Bush, enfatizzare la posizione assunta sia da suo marito che da Al Gore all’epoca del loro mandato, con il corollario che un altro scontro decisivo con il regime baathista era più o meno inevitabile. Ora, non conta tanto il fatto di essere (o essere stati) d’accordo con la senatrice a tale riguardo (è stato ed è, una volta tanto, il mio caso); è assai più importante, piuttosto, rilevare come quest’ultima abbia, sin da allora, ritrattato la sua tesi nel tentativo, spalleggiato dal marito, di farci dimenticare di averla mai avanzata. Che ne dite, vi sembra abbastanza per negare a Hillary Clinton la benché minima considerazione? Insensibile alla verità, disposta a sfoderare tattiche da Stato di polizia e accuse triviali contro scomodi testimoni, irrimediabilmente inaffidabile sulla questione della sanità, superficiale e scostante sulla sicurezza nazionale: stroncare la candidatura di Hillary Clinton alla presidenza è un esercizio da legulei. Sempreché non si preferisca, va da sé, accantonare tutte queste considerazioni e indulgere a un nuovo dogma, assai più fascinoso e mediaticamente efficace: provate a negare alla senatrice la stima e l’affetto che merita, dopo tutto quel che ha fatto per voi, e rischierete di ridurla in lacrime.
CHRISTOPHER HITCHENS