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 2008  gennaio 21 Lunedì calendario

GI LE TASSE ORA O MAI PI

Corriere della sera 21 gennaio 2008.
Riusciremo mai a ridurre le tasse? Berlusconi fu eletto con un mandato preciso ma alla fine della scorsa legislatura la pressione fiscale era rimasta sostanzialmente invariata, intorno al 41% (nel frattempo però la spesa pubblica era cresciuta di 2 punti). In due anni il governo Prodi ha portato la pressione fiscale al 43% e l’aumento delle entrate ha consentito di coprire quei 2 punti di maggior spesa che Berlusconi aveva lasciato in eredità. I conti pubblici sono tornati in ordine ma senza toccare le spese che sono rimaste là dove le aveva lasciate Berlusconi.
Sabato il Governatore della Banca d’Italia ha detto che una riduzione del carico fiscale è auspicabile, soprattutto se destinata al lavoro dipendente e alle famiglie con i redditi più bassi. Ma, ha aggiunto, non si può fare se prima non si riducono le spese. Io penso invece che sia venuto il momento di diminuire comunque le tasse: se non lo si fa ora, non se ne riparlerà più prima della prossima legislatura.
Fra qualche mese il governo si accorgerà che il rallentamento della crescita sta già peggiorando il bilancio riportandoci vicino alla soglia del Patto di stabilità. A quel punto di ridurre le tasse non si parlerà più. Se invece si agisce oggi la pressione sulla spesa aumenterà: stretto fra i vincoli europei e l’impossibilità politica di aumentare di nuovo le tasse, dopo averle appena ridotte, forse il governo qualche taglio lo farà. C’è un altro buon motivo per intervenire ora. Se si alleggerisce il prelievo sul lavoro dipendente e sulle famiglie che fanno più fatica ad arrivare alla fine del mese, si aiutano i consumi e questo potrebbe attenuare il rallentamento dell’economia. Ma occorre farlo subito. Bush ha annunciato una riduzione di imposte pari all’1% del pil: già in marzo le famiglie americane potrebbero ricevere nella posta un assegno di circa 1.500 dollari ciascuna. Forse non eviterà la recessione ma certamente la renderà più tenue e più breve.
I rinnovi contrattuali sono una partita a due, tra imprese e sindacato. Ma un euro in più in busta paga costa all’impresa, fra tasse e contributi, quasi 2 euro e spesso il lavoratore neppure lo sa. Ecco un modo concreto per cominciare: decidere che gli aumenti che devono ancora essere negoziati siano esenti da imposte. Nel 1994 i radicali chiesero un referendum (non ammesso) per cancellare le trattenute alla fonte. Una democrazia esige che i cittadini possano rendersi conto di quanto l’imposizione fiscale incida sulla loro busta paga e sui loro redditi. Ciò che il lavoratore riceve non è lo stipendio cui ha diritto ma solo ciò che gli rimane dopo aver pagato tasse e contributi, salvo i conguagli di fine anno. Se egli si rendesse conto di quanto lo Stato gli sottrae, pretenderebbe un buon uso di quel denaro e chiederebbe conto con maggior forza a chi governa dei disservizi, degli sprechi e del pessimo funzionamento di molti pubblici uffici.
Francesco Giavazzi