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 2008  gennaio 11 Venerdì calendario

La canzone di Ipanema. Il Venerdì 11 gennaio 2008. «Il Suo nome è Heloisa Eneida Menezes Paes Pinto, ma tutti la chiamano Heló»

La canzone di Ipanema. Il Venerdì 11 gennaio 2008. «Il Suo nome è Heloisa Eneida Menezes Paes Pinto, ma tutti la chiamano Heló». Così, nel 1965, il poeta, diplomatico, musicista, gran bevitore e carioca fino all’anima Vinicius de Moraes svelava finalmente al Brasile l’identità della Ragazza di Ipanema. La fanciulla dai capelli castani e gli occhi blu, «misto di fiore e sirena» che aveva fatto uscire dalla penna del poeta e dal pianoforte di Antonio Carlos Jobim uno dei più grandi successi della musica popolare di tutti i tempi. La canzone che improvvisamente, a metà degli anni Sessanta, nella voce di Astrud Gilberto, portava il sole di Rio de Janeiro nelle case di mezzo Pianeta e parlava una lingua di suoni latinoamericani e intraducibili che non era samba classico e non era salsa, non era jazz e neppure bolero: era la bossa nova. Oggi, che il genere musicale si prepara a festeggiare i suoi cinquant’anni di successo (nel ’58, infatti, esplose il fenomeno nella voce vellutata di João Gilberto), Heló Pinheiro, che di anni ne ha ormai più di sessanta, apre il libro dei ricordi e ancora si stupisce di come una canzone le abbia cambiato la vita. Allora preferì il matrimonio alla carriera di modella, però nel 1987 esaudì il desiderio di un Paese intero svestendosi su Playboy. Oggi, con quattro figli e due negozi di bikini chiamati come la canzone, emigrata a San Paolo, sogna con tutta se stessa di tornare a Rio. Di lei, Vinicius scrisse: «Heló passava mentre io e Tom sorseggiavamo la nostra birretta sotto la veranda del Bar Veloso: era troppo per noi, il suo incedere ci ammutoliva». Vinicius scrisse che la formula della sua camminata sarebbe sfuggita a Einstein. Qual era il suo segreto? «Ero una ragazzina di diciannove anni e non sapevo nulla, anzi, fui l’ultima a sapere. Con la mia farniglia, tradizionalissima, avevamo lasciato la periferia, dove ancora andavo a scuola, per Ipanema, la Rua Montenegro. E per andare in spiaggia passavo davanti a quel bar dove c’era sempre un gruppo di uomini seduti a bere e chiacchierare. Non sapevo chi fossero, certo capivo di provocare certe reazioni, ma facevo finta di nulla. Ero timidissima e tiravo dritto». Finché? «Un giorno - a quell’epoca posavo già per qualche rivista - un mio amico fotografo mi disse che quei signori andavano cantando una canzone che io avevo ispirato. Figuriamoci! Non gli credetti, pensavo fosse uno scherzo. Anche perché conoscevo tante ragazze che dicevano di essere la musa di quella canzone. Nel ’65 però ebbe grande successo, le radio la mandava in onda continuamente e Vinicius scrisse quell’articolo -sulla rivista Manchette, con il mio nome e cognome! ».  vero che Jobim le fece una dichiarazione e vi baciaste? «Sì, è vero. Quello stesso anno, mi chiese se volevo sposarlo e anche quella volta pensai a uno scherzo. Anzi, gli dissi: "Ma Tom, tu sei già sposato e io sono vergine Era un uomo molto affascinante, navigato, una celebrità. E mi disse che faceva sul serio, voleva sposarmi davvero. Io ero già fidanzata, ma ricordo che mentre tornavo a casa il cuore mi batteva e avevo la testa piena di dubbi. Alla fine lo invitai a far da testimone al mio matrimonio e lui disse: "Stai attenta, perché se mi chiami come testimone questo matrimonio non durerà". Si sbagliava, dura da quarantun anni. Lui invece divorziò e poi si sposò di nuovo». Però siete rimasti amici fino alla fine, no? «Sempre. Tom era un uomo discreto, dolce. L’ultima volta che lo vidi fu per il compleanno di sua figlia. Ricordo che ci facemmo l’ultima foto insieme. Dopo la sua morte, nel ’94, ho chiamato la moglie per chiederle la foto, ma mi disse di no. Scomparso Jobim, mi ha fatto causa perché ai miei negozi ho dato il nome della canzone, Garota de Ipanema. Una vicenda triste, che mi ha fatto passare per opportunista». Matrimonio, figli, lavoro normale. Però nell’87 si è spogliata su Playboy e nel 2003 è tornata a farlo insieme a sua figlia Ticiane. Perché? «Per varie ragioni, anche economiche. In quel periodo mio marito attraversava una crisi finanziaria e io mi ero trattenuta per molto tempo, avevo 42 anni, avevo voglia di liberarmi: me l’avevano chiesto talmente tante volte». Nessun rimpianto? «Quella canzone è stata un grande regalo, che ho cercato di tener caro. Ma erano altri tempi. Oggi, con una storia come la mia sarei diventata ricca e famosa nel giro di un anno. Prendi Giselle Bundchen o le protagoniste dei reality show. Anche io posai per le maggiori riviste, ma funzionava tutto al contrario di oggi, lavoravi molto e guadagnavi poco. Non so, forse avrei potuto fare di più, lasciare più porte aperte, ma il mio difetto è che non so chiedere. Però che bello, quante cose strane mi sono successe: in Giappone sono finita sull’etichetta di un tè, dicono che sono afrodisiaca!». Lo pensava anche Vinicius de Moraes. Sulla spiaggia di oggi, il poeta scriverebbe gli stessi versi di allora? «Credo proprio di sì. Vinicius era un uomo che adorava le donne, si è sposato nove volte e ha avuto infiniti amori. E a Ipanema ci sono ancora un sacco di belle ragazze che camminano verso il mare con quel ritmo di samba che abbiamo solo noi carioca. Come scrisse Vinicius, "pieno di luce e di grazia che però è anche triste perché porta con sé, andando verso il mare, il sentimento della gioventù che passa"».  la perfetta definizione della saudade. Per lei, cos’è la saudade? «Ho saudade di Rio de Janeiro. Il mio desiderio è tornare a Rio, a Ipanema, sono le mie radici». ALBERTO RIVA