Il Messaggero 17 gennaio 2008, Marco Molendini, 17 gennaio 2008
Volare. Il Messaggero 17 gennaio 2008. NON sembra ieri. Le immagini in bianco e nero di quel Sanremo di cinquant’anni fa, con quella faccia di italiano irrimediabilmente del sud che spalancava le braccia per volare e cantare, parlano di un’altra epoca, di un’altro Paese
Volare. Il Messaggero 17 gennaio 2008. NON sembra ieri. Le immagini in bianco e nero di quel Sanremo di cinquant’anni fa, con quella faccia di italiano irrimediabilmente del sud che spalancava le braccia per volare e cantare, parlano di un’altra epoca, di un’altro Paese. Eppure sono la sigla di un cambiamento radicale, di un’Italia che usciva dal Dopoguerra e planava sul boom economico con energia e ottimismo. La stessa energia e ottimismo che aveva Mimmo Modugno, imbustato nel suo smoking bianco che cantava a squarciagola il suo grido di liberazione, la sua voglia di sognare e di fare. Quel giorno era il 31 gennaio del ”58, un anno davvero speciale, dove sul palco del Festival più festival di tutti i festival nazionali sfilavano ancora titoli da fiera paesana come I trulli di Alberobello o le Campane di Santa Lucia. Succede sempre così, le cose nuove arrivano quando a dominare sono ancora quelle vecchie. ancora così a Sanremo che quest’anno (come ben sa Pippo Baudo) avrà modo di ricordare quel suo anno glorioso, nato forse per caso e forse perché prima o poi qualcosa doveva succedere. «La canzone l’abbiamo scritta senza la minima coscienza, anche se la sua gioia esplosiva raccontava la voglia di uscire da un mondo che non funzionava» dice Franco Migliacci, la metà di Nel blu dipinto di blu assieme al suo amico Mimmo. Eppure ci avevano lavorato tanto per costruirla in un certo modo, per darle quell’energia, quella caratteristica di ottimismo sfrenato. Persino a quel gesto che oggi sembra inevitabile di Modugno di aprire le braccia. «Ricordo chiaramente una sera a casa sua, dietro ponte Milvio. Franca, la moglie seduta in un angolo, Mimmo in piedi con le gambe aperte e le braccia spalancate che cominciò a cantare: ”penso che un sogno così...”. La cantò tutta poi mi chiese: ”Meglio così o se batto il piede?”. Non c’era dubbio, quel gesto era esplicito e istintivo, come aprire le finestre al sole dopo un temporale». E proprio un temporale aveva suggerito un cambiamento che poi si sarebbe rivelato vincente: «la versione originale coniugava il verbo all’imperfetto: ”Di blu mi ero dipinto per intonarmi al cielo, lassù nel firmamento volavo verso il sole e volavo felice ancora più sù, mentre il mondo spariva lontano laggiù... volavo nel blu, dipinto di blu”. Ho ancora una lacca con la registrazione fatta alla Rai di quella prima versione che non farò mai pubblicare. Fu dopo una pioggia estiva violenta, con una ventata che spalancò la finestra che Mimmo ebbe l’idea di cambiarlo all’infinito». Fu la soluzione irresistibilmente vincente e che, del resto, con quel senso di liberazione era in perfetta linea con l’ispirazione del pezzo, nata da un sogno agitato dello stesso Migliacci nella sua cameretta di via Vittoria: «Era stata una giornataccia, ero disperato per aver rotto il fidanzamento con la mia ragazza e Mimmo mi aveva dato buca per andare al mare con Franca. Ero agitatissimo, mi addormentai dopo aver bevuto un po’. Mi svegliai con la netta sensazione di liberazione e con il ricordo di un incubo durante il quale per la voglia di scomparire da questo mondo mi dipingevo la faccia di blù, proprio come nel quadro di Chagall Le peintre e la modèle. Mi sembrò una buona idea e la proposi a Mimmo. Eravamo diventati molto amici, anche se spesso litigavamo». Da via Vittoria a Saremo a immaginare il successo, il viaggio in mezzo è lunghissimo. «La canzone venne scelta dall’avvocato Cajafa, direttore del Festival. Ma non c’era nessun cantate che voleva cantarla. Nilla Pizzi si rifiutò, gli altri storsero la bocca. Fu Cajafa a proporre a Modugno di cantarla. Fece un provino e i giurati gli diedero tutti dieci, tranne Cajafa che votò 9 perché, disse, ”la perfezione non esiste”. Non fu facile trovare neppure il secondo interprete, per quello puntammo su un giovanissimo come Dorelli che non poteva dire di no». La prima sensazione di successo venne dopo la prima esibizione. L’editore Curci era venuto per seguire la finale e firmare un contratto con noi. Ci invitò al Casinò, per giocare. ”Vuoi un anticipo?” mi disse. Pensai di sparare grosso chiedendogli 100 mila lire. Ma lui, visto che indugiavo, mi precedette: «Vanno bene due milioni, o cinque?”. Tornammo in albergo completamente ubriachi». Dalla vittoria sanremese, Volare ha venduto 32 milioni di dischi ed è la canzone italiana più conosciuta al mondo. «La sensazione più forte del successo planetario - ricorda Migliacci - l’ho avuta in Pakistan. Ci fermammo a Karaci per uno scalo aereo e facemmo una gita al porto. Ricordo ancora i pescatori appollaiati su dei pali per pescare e delle capanne nel fango. A un certo punto, da una di queste capanne, uscì una voce che cantava ”volare oh, oh”. Con Mimmo ci guardammo e lui commentò ”per me ha cantato una pecora”. MARCO MOLENDINI