Libero 16 gennaio 2008, Alessandra Mori, 16 gennaio 2008
Storia, segreti e miracoli di un impianto da Nobel. Libero 16 gennaio 2008. Sono circa 150 i camion che dall’inviato a Brescia ALESSANDRA MORI ogni giorno arrivano al termoutilizzatore di Brescia
Storia, segreti e miracoli di un impianto da Nobel. Libero 16 gennaio 2008. Sono circa 150 i camion che dall’inviato a Brescia ALESSANDRA MORI ogni giorno arrivano al termoutilizzatore di Brescia. Trasportano rifiuti solidi urbani (1.500 tonnellate) e biomasse (800 tonnellate) provenienti da tutta la provincia. Rifiuti che qui vengono bruciati e trasformati in energia elettrica e calore. Ma andiamo con ordine e vediamo, nel dettaglio, come funziona questo processo. Una volta arrivati all’ingres so dell’impianto, 100mila metri quadri di superficie tra esterno e interno, i camion vengono pesati e identificati. Poi passano vicino a un rilevatore di radioattività dotato di una sorta di semaforo: se si accende la luce rossa è necessario un ulteriore passaggio per verificare la presenza di rifiuti pericolosi. In questo caso il carico viene portato in un’appo sita piazzola e controllato con rilevatori manuali per identificare il materiale radioattivo, isolarlo e trattarlo. La luce rossa può accendersi, ad esempio, anche in presenza di materiale medicamentoso o delle valvole delle vecchie radio. Se invece il rilevatore non segnala niente, il camion procede all’interno dell’impianto dove scarica i rifiuti, in corrispondenza di un semaforo verde, in una specie di fossa che confluisce in una vasca di raccolta. L’immondizia è lì a pochi centimetri eppure, grazie a un sistema di aspirazione forzata, non si sente alcun cattivo odore. Ma torniamo alla vasca di raccolta: i rifiuti vengono accumulati qui solo temporaneamente. Grossi "ragni" meccanici provvedono infatti a mescolarli, per renderli più omogenei, e a gettarli nelle tramogge, ovvero degli scivoli che riversano i rifiuti sulla griglia delle caldaie (due per gli rsu, o rifiuti domestici, e una per le biomasse, cioè gli scarti organici di tipo vegetale). Queste griglie sono fatte a gradini che si muovono facendo cadere i rifiuti, mentre bruciano, verso il basso. Attraverso una piccola finestra, situata sulla parete dei forni - lunghi 13 metri, profondi 5 e alti 30 è possibile vedere i rifiuti bruciare. Ci sono fiamme enormi che si autoalimentano: in pratica, a parte la prima fiammata a gas necessaria se l’impianto è stato fermo per un certo periodo, il rifiuto che entra nel forno si accende grazie a una fiamma che c’è già. La temperatura è di 1.100 gradi. Il calore sprigionato dalla combustione dei rifiuti trasforma poi l’acqua del circuito della caldaia in vapore che produce energia attraverso una turbina collegata a un alternatore. Questo calore, che nelle centrali tradizionali si disperde, qui viene utilizzato per il teleriscaldamento, una sorta di ragnatela di tubi sotto la città, lunga circa 500 chilometri: l’acqua calda raggiunge le case bresciane, cede calore, si raffredda, torna indietro (all’in terno di un altro tubo), raggiunge nuovamente la centrale e si riscalda sottraendo il calore necessario a raffreddare la centrale stessa. Questo comporta inoltre un notevole vantaggio ambientale perché ha già permesso l’eliminazione di 16mila caldaie. I residui dei rifiuti bruciati, chiamati anche scorie inerti, che alla vista somigliano a ghiaia e terriccio, passano invece attraverso un nastro trasportatore che li scarica in una vasca. A questo punto una parte di essi va al recupero e una in discarica. Per quanto riguarda la prima, si recuperano ferro e materiali amagnetici: rimane della terra che in parte viene utilizzata nei cementifici e, in altri Paesi europei, anche come sottofondo stradale. Le scorie inerti destinate alla discarica vengono utilizzate invece come copertura dei rifiuti al posto della ghiaia. Quanto al sistema di depurazione dei fumi, filtri supersofisticati consentono una fuoriuscita minima di emissioni (ossidi di azoto, di zolfo, di carbonio, polveri, metalli e diossine), con valori molto al di sotto di quelli tollerati dalla legge. Ma da dove escono questi fumi? Da una torre quadrata color del cielo, quell’azzurro intenso tipico delle giornate più belle, alta 120 metri. All’in terno, quattro tubi metallici: tre canne fumarie e un ascensore. A metà torre, infatti, c’è un laboratorio chimico a disposizione degli organismi di controllo che possono analizzare i fumi 24 ore su 24. E se c’è una cosa che proprio non manca nel termoutilizzatore bresciano è il controllo. Computer collocati in una sala apposita rilevano le emissioni dell’impianto non solo nell’ar co della giornata, ma anche ogni minuto, ogni 30 minuti e ogni 8 ore. E per gestire un’ap parecchiatura del genere, che nel 2006 ha ricevuto, presso la Columbia University, il premio come "migliore impianto di termovalorizzazione del mondo", ci sono sei squadre formate da solo otto persone, che si alternano nelle 24 ore. Oltre al T.U., che smaltisce il 56% dei rifiuti domestici, la raccolta differenziata si occupa del restante 44%: i materiali che possono essere riutilizzati, come carta, vetro e alluminio, vengono raccolti negli appositi contenitori sparsi sul territorio e poi confluiscono nella piattaforma di Castenedolo. Qui vengono imballati, compattati e successivamente inviati agli impianti di riciclaggio. Alessandra Mori