La Repubblica 15 gennaio 2008, Alberto Arbasino, 15 gennaio 2008
A TAVOLA COL FIASCHETTO E IL VINSANTO
A TAVOLA COL FIASCHETTO E IL VINSANTO. La Repubblica 15 gennaio 2008. Esce domani "L´Ingegnere in blu" di (Adelphi, pagg. 186, euro 11). Ne anticipiamo alcune pagine. D´abord, le choc, générationnel, de la decouverte!». (Chissà se Gadda mai previde che avremmo un giorno esordito così, trattando di lui, nelle più solenni sedi francesi. Mai l´Académie gli conferì un Grand Prix de Littérature o una grande Médaille de Vermeil, che avrebbe apprezzato «sans doute»). Con «l´Ingegnere» si conversava preferibilmente «en petit comité» - soprattutto Angelo Guglielmi, Goffredo Parise, Pietro Citati, antichi colleghi Rai come Giulio Cattaneo e Leone Piccioni e Angelo Romanò, nuovi adepti quali Enrico Medioli, Mario Missiroli, Nanni Balestrini - dapprima alla Buca di Ripetta e poi di preferenza alla Campana. («Sono stato peggio del solito, e sono mancato più di una volta alla "Buca", dove alle 13.30-14 non si trova posto. Se lei ci fosse passato, mi scusi. Ormai apprezzano solo i quartetti e le belle famiglie italiane. Un celibatario solo come uno stecco non conta più nulla e lo maltrattano. Se questa settimana avrà un 13.30 disponibile posso sperare di averla ospite alla "Campana", dove si mangia piuttosto bene e, se si trova posto, non c´è da aspettare in piedi? Scusi anzi se non ci ho pensato prima, alla Campana, voglio dire da quando lei mi ha onorato alla mediocre tavola della "Buca di Ripetta". La Campana è poco dopo via Leccosa alla Scrofa, venendo da Ripetta, sicché mangeremmo in onore del nostro grande Don Lisander»). Stava a tavola volentieri, bevendo fiaschetti di buon Chianti Sammontana (di produzione «Seduceschi», ovvero Fattorie Dzieduszycki), e chiacchierando con verve e verecondia, magari fin quasi alle quattro. Ma neanche una volta o due al mese, per lo più. Sembrava poi pentirsene o ritrarsi per settimane, finché per missiva o al telefono ammetteva sospirando di poter sospendere un´altra volta «le più severe cautele e rinunce». Si riapriva così «tutto un Setteciuento» (d´epoca) di cerimonie e complimenti su chi invitava chi, e lestezze al momento del conto. E magari, poi: «Chiederle di volersi fare domino e re del convito, d´una cena a Prima Porta, nel solstizio di calura e col lavoro che lei ha, disturbando dette persone, è stata una grossa sciocchezza da parte mia, una trovata senza senso. Voglia perdonarmi. Devo pregarla, con infinite scuse, di voler dimenticare il mio balordo programma: in altre parole di non fare nulla di ciò che le avevo detto. Per l´Ingegnere, come lei mi chiama, e scrive, le cose non vanno bene. Meglio perdermi che trovarmi». (...) Dopo il vinsanto e l´aneddotica, le cerimonie di quei riguardosi congedi erano quasi toccanti, diventavano imbarazzanti. «La ricorda con riconoscenza, l´Ingegnere: (e cioè il C. E. Gadda)». «Mi creda il suo quasi disperato, Gadda». «La ringrazia col cuore, il suo C. E. Gadda». «Con un grato pensiero, sono il forzatamente fuggitivo nelle braccia dei clinici, dei radiologi, Suo C. E. Gadda». Addirittura, nel 1960, «Con molta riconoscenza sono il Suo Caro Emilio». E anche telegrammi: «Causa mie condizioni devo pregarla rimandare visita nostri conoscenti segue espresso Gadda». «Spero che mi avrà davvero perdonato e che crederà alla mia unica giustificazione: lo stato dei miei nervi, il terrore del chiasso, il "temperamento di fuga" (Jung)». Ma soprattutto una frustrazione costante appariva irreparabile: quel suo rimpianto d´essere stato «scoperto troppo tardi» da questa generazione di giovani lettori "giusti", francamente ammirati e disinteressati ed entusiasti. (Ancora col gruppo del Mondo vi fu sempre un´insofferenza reciproca. Gli preferivano Moravia, Brancati, Soldati, Comisso, Landolfi, e il critico Bocelli. E anche il Corriere della Sera non pubblicò mai né Gadda né Longhi né Praz). Più «sulle sue» sedeva abbastanza eretto ai tradizionali tè domenicali da Emilio e Leonetta Cecchi (Pieraccini, e si sapeva che lei avrebbe annotato le conversazioni nelle sue carte). Con le figlie Suso e Ditta, e talvolta il figlio Dario, pettinato da scapigliato, si offrivano vinsanti a Mario Praz, Camillo e Raffaella Pellizzi, Giovanni e Carla Macchia, Maria Luisa Astaldi con buon sense of humour, Amerigo Bartoli, Gherardo Casini, avvocati umanisti come Ercole Graziadei e P. A. d´Avack e consorti, e talune vegliarde con le occhiaie decorate in viola e giallo come "pensées" d´autrefois, ma talvolta sospettate di frequentare il bar notturno alla Stazione Termini. Comunque, vari e sparsi membri per nascita o matrimonio o regolare concubinaggio di quelle famiglione romane talmente numerose e placées che ci sarebbe sempre stato un parente in situazioni opportune, anche politicamente, tra i regimi. Mentre il padron di casa domandava notizie ai viaggiatori da Londra, e bofonchiando dei benigni e caratteristici «hò hò» saliva e scendeva assai ammirato le scalette delle librerie per riscontrare una citazione o un dato. La sera, talvolta, l´Ingegnere in blu sedeva reticente a tavolate romane più ampie e vocianti («non certo scabre o essenziali», anzi addentando e ciacolando parecchio, dalle puntarelle in poi) al Bolognese o nei paraggi di via Ripetta all´aperto, o "da Carlo" in Trastevere, con Moravia e Morante e Attilio Bertolucci, i due Guttuso, i due Piovene («Mimise e Mimì, fresche e démodées come padrone di casini scicchissimi della Belle poque»), talvolta Bassani («il primo paltò di cammello nella letteratura del dopoguerra») e Carlo Levi («col suo complesso di Giove portativo»). E i più giovani: Pasolini che doveva scappare prima del dolce perché sennò i ragazzini non lo aspettavano. E tutti: vai, vai, sennò vanno a dormire. Ragnetti, si definivano allora. (Altro che morettoni, bonazzoni, bistecconi, come poi in seguito, col nutrimento). Però mal si tollerava, accanto alla prosa romanesca dei Ragazzi di vita, un corrispondente cabaret di rispetti o dispetti o strambotti altrettanto vernacoli, per "coatti" delle Borgate Finocchio, tipo «A´ moré, vieggiù, vieqquà, che te famo divertì». «Noòne, noòne, già ooo so, come poi me va affinì». E spesso Parise, Garboli, poi Siciliano... L´Ingegnere sbuffava parecchio, quando l´autrice di Menzogna e sortilegio sopravveniva sventolando Paese sera e strillando che bisognava subito stendere e firmare tutti un manifesto di denuncia o protesta tipo Sartre-Beauvoir a proposito di bombe o di gatti. O inoltrare qualche ukase a certi capi-servizio anche Rai perché un insolente o irriverente - in epoche senza sindacalizzazioni e contributi - «non deve pubblicare, bisogna togliergli il pane». Talora l´Ingegnere «si dava assente», e telefonava la mattina dopo: «Ha strillato molto anche stavolta, l´Elsina?». (Oggi chissà, col ready-made orale dei telefonini. Un tassista: «Sei maggica come aaa Roma! Ma che, già te sei magnato tutto?». E un muratore, smontando cessi: «Meddìci aaa verità, o è ”nna verità parziale?»). Con Parise c´era qualche "grattacapo´" data la vicinanza delle abitazioni alla Camilluccia, e la propensione di Goffredo agli scherzi anche macabri. Un cartello preoccupante contro i «Signori Ladri» sulla porta dell´appartamento, un pupazzone impiccato appena dentro (chiamato da Goffredo, mi pare, John Benjamin), la diceria che talvolta si fingesse morto per spaventare la giovane moglie... Si incontravano spesso sul piazzale, perché ogni mattina l´Ingegnere andava dal barbiere a farsi radere; e più d´una volta osservò preoccupato l´autore del Prete bello recarsi all´ufficio postale con equivoci involti in forma di salume. Col nuovo formato dell´Europeo, gli spiegò il nostro amico, basta arrotolarlo in una guttaperca, e se ne ottengono ottimi cazzi finti come quelli famosi di Amburgo e Copenhagen. Da inviare in omaggio naturalmente anonimo alle signore Bellonci, Astaldi, Masino, De Giorgi, De Céspedes, e a tutte le altre madame, ovviamente. L´Ingegnere si angustiava molto, perché la provenienza da quella posta poteva risultare compromettente per lui: tutti sapevano che abitava alla Camilluccia. E poi, «la De Giorgis» aveva preso la consuetudine di invitarlo, «per tirarlo fuori di casa», su una macchina con autista, in una sala da tè a un primo piano, ove «sotto un tavolino di cristallo trasparente, i due cani Florindo e Rosaura, indubbiamente dressés, si accoppiano sconciamente come per suggerire idee lascive poco adatte alla nostra condizione». E oltre tutto, già «la De Giorgis» aveva abbagliato Calvino con la sua signorilità, al ristorante di lusso piemontese "Selvaggi", tutto specchiere in via Q. Sella, «estraendo da una borsa-frigidaire un baby-champagne che si beveva interamente da sé». Chioccolava sommessamente, l´Ingegnere, se si osservava che forse quell´Elsina o Elsona teneva in fresco le bibite in una cavità corporea gelida sotto il tavolo. Ma apprezzò il "compte-rendu" di un compleanno della De Giorgi ove lui regolarmente "si decommandava" benché invitato insieme a Levi, Petrassi, Argan, Brandi, Sapegno, Debenedetti, e altri luminari altrettanto illustri. «Donna fatale» eccellente, oltre tutto, come Elena di Troia con Visconti, e Madame Roland con Strehler. Tradizionalmente, Elsa De Giorgi danzava il Bolero di Ravel in veli conturbanti fra gli ospiti, voltando essa stessa i dischi a 78 giri sul grammofono. Così, quella volta, con l´amica Silvia D´Amico «figlia della Suso» (e dunque approvata), ragionammo: in questo appartamento salario-nomentano (come quello della "Lalla" Adani, presso la villa tanto habillée di Luchino Visconti, e già di suo padre «don Zizì»), "retraite" d´una tale diva dei Telefoni Bianchi, per forza ci devono essere chissà quante volpi bianche o argentate d´epoca. Oltre tutto, si era già in revival: in una delle ultime riviste di Totò, la stupenda Elena Giusti cantava, ricoperta di renards: «Risparmia i tuoi colpi, o mio bel tirator, come piccole volpi, son le donne e l´amooor». Ci addentrammo così fra le ante capitonnées del guardaroba, anche perché la diva doveva cambiar disco ogni tre minuti e mezzo: un tormento, per chi gradiva magari Bruckner, già amato durante Senso. Invece sopravvenne, subitanea e sfottente: «Se cercate le volpi, sono passate di moda!». E noi, sinceramente: «Bravissima! Un applauso a scena aperta!». Che intuito! «Chapeau bas!». ALBERTO ARBASINO (Tralalà). (Copyright Adelphi 2008)