Cristina Taglietti, Corriere della Sera 19/1/2008, 19 gennaio 2008
Ventisette anni fa era «Un Paese senza». Oggi dovrebbe essere «Declino e degrado». Il libro di Alberto Arbasino (foto), uscito nel 1980, disincantato congedo dagli anni Settanta e sferzante analisi di un Paese senza passato e senza avvenire, ieri a Bari è finito nel discorso del presidente della Regione Puglia Nichi Vendola che ha fatto riferimento a un’Italia smarrita sul piano economico, politico e sociale com’era quella raccontata da Arbasino
Ventisette anni fa era «Un Paese senza». Oggi dovrebbe essere «Declino e degrado». Il libro di Alberto Arbasino (foto), uscito nel 1980, disincantato congedo dagli anni Settanta e sferzante analisi di un Paese senza passato e senza avvenire, ieri a Bari è finito nel discorso del presidente della Regione Puglia Nichi Vendola che ha fatto riferimento a un’Italia smarrita sul piano economico, politico e sociale com’era quella raccontata da Arbasino. Un’analogia ripresa subito da Mario Draghi che, mettendo in guardia contro i rischi di ricadere nell’inflazione, ha ricordato che «è proprio in un periodo di grande inflazione che si svolge il bel libro di Arbasino». «Mi fa molto piacere, sono stupito ma anche sorpreso – commenta lo scrittore – perché è un libro vecchio e adesso la situazione mi pare molto peggiorata». Nel volume (Garzanti) Arbasino, insuperabile cronista del quotidiano, fustiga la politica «portata avanti come Discorso», gli intellettuali che non sanno se è «più di sinistra mangiare macrobiotico o nutrirsi di confezioni in cellophane prodotte da lavoratori alimentari in lotta», il «marxo-machismo italiano» per cui il cuore della vita sono «i gloriosi pensionati dello Stato» mentre i giovani sono parcheggiati nella crisi, dove comandano «il posto, il padrone, il potere, la paga». Un Paese che ha rifiutato i maestri e innalzato gli stregoni. Oggi è peggio di così, Arbasino? «Non sono constatazioni personali, pessimistiche. Basta sfogliare i quotidiani: declino e degrado sono le parole che ricorrono più spesso. Due parole che allora non c’erano». Che sia giunto il momento di un’edizione, riveduta e corretta? «Non viene molta voglia di tornarci sopra, anche perché si corre il rischio di riproporre la stessa amarezza. Io quello che ho da dire oggi preferisco dirlo in tante letterine ai giornali. Prima di "Un Paese senza", avevo scritto un libro dedicato al caso Moro, "In questo stato", dove la parola "stato" poteva essere intesa sia con la minuscola che con la maiuscola. Il tema di quei libri era se il ripetersi di momenti infelici, quei corsi e ricorsi di vichiana memoria fossero imputabili a caratteri etnici, antropologici, immodificabili. La domanda è ancora aperta». Cristina Taglietti