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 2008  gennaio 16 Mercoledì calendario

Le scimmie non parlano ma sanno contare. Il Manifesto 16 gennaio 2008. All’inizio del ’900 in Europa si discuteva di un prodigioso cavallo che sembrava in grado di fare di conto

Le scimmie non parlano ma sanno contare. Il Manifesto 16 gennaio 2008. All’inizio del ’900 in Europa si discuteva di un prodigioso cavallo che sembrava in grado di fare di conto. Quando Wilhelm von Osten, il suo proprietario, scriveva su una lavagna una certa operazione aritmetica, il cavallo cominciava a battere uno zoccolo per terra. Tra lo stupore dei presenti si fermava solo quando il numero di battiti corrispondeva alla soluzione. Tuttavia, grazie a un esame accurato si scoprì che il cavallo non era in grado di svolgere alcuna operazione aritmetica. Era sensibile a certi lievi mutamenti che avevano luogo nel viso di von Osten quando il numero di battiti era quello giusto. Anche se il proprietario non aveva alcuna intenzione ingannevole, di fatto il suo volto mutava espressione quando il cavallo avrebbe dovuto interrompere il conteggio, come quei genitori che sembrano mimare le gesta dei figli al saggio di fine anno. Dunque, benché Hans non sapesse far di conto, esibiva una non meno interessante sensibilità alle espressioni facciali del suo padrone. Trascorso un secolo dalla storia dell’«astuto Hans», Jessica Cantlon e Elizabeth Brannon, due ricercatrici della Duke University negli Stati Uniti, hanno scoperto che le scimmie dispongono realmente di capacità aritmetiche astratte. Le hanno poste di fronte a uno schermo sensibile al tocco, in cui si vede un insieme di puntini, e dopo un breve lasso di tempo hanno fatto comparire un nuovo insieme di puntini, infine una nuova schermata con due insiemi collocati in due regioni diverse del monitor, uno dei quali ha un numero di punti che è la somma delle prime due configurazioni e l’altra invece è la «risposta sbagliata». Testate centinaia di volte, le scimmie coinvolte nell’esperimento hanno scelto la risposta giusta in una misura statisticamente significativa. Parecchi animali si comportano come se facessero complessi calcoli matematici. Per esempio, le formiche del deserto, dopo avere girovagato intorno al loro nido, al momento di tornarci non seguono la strada di Pollicino, ossia non si incamminano lungo il percorso degli odori lasciati all’andata, ma tornano a casa disegnando una semplice linea retta verso il nido. Noi esseri umani, per comprendere come compiti di questo tipo possano essere svolti, ricorriamo a una spiegazione matematica. Le formiche, ovviamente, non padroneggiano la matematica, non almeno nel senso in cui la intendiamo noi, ma poiché svolgono compiti la cui spiegazione sembra implicare questo know how, è un po’ come se la padroneggiassero. A dare retta a Jessica Cantlon e a Elizabeth Brannon, gli animali sembrano conoscere la matematica anche in un senso più convenzionale e, come si sapeva già da tempo, reagiscono in modo appropriato di fronte a alcuni compiti specifici. I ratti, per esempio, sono stati addestrati a premere una leva un certo numero di volte per ottenere del cibo (e nello stesso tempo a non prendere una scossa elettrica!). Sempre per guadagnarsi qualcosa da mangiare un corvo ha imparato ad associare correttamente un cartoncino che raffigurava un certo numero di macchie a un coperchio di una scatola in cui si trovava lo stesso numero di macchie. Nonostante l’interesse destato da esperimenti come questi, in tutti questi casi resta il dubbio che il comportamento dell’animale non sia dovuto ad alcuna competenza matematica genuina, ma a qualche forma di condizionamento. Se scambiassimo per competenza matematica ciò che in effetti è soltanto una capacità di discriminazione tra configurazioni percettive diverse? E se, dopo tutto, l’animale fosse solo condizionato dalla ricompensa del cibo? Sono tutte domande legittime, fatto sta che se un animale sapesse compiere una operazione aritmetica, come l’addizione che richiede una trasformazione mentale eseguita su dei valori numerici, potremmo essere più fiduciosi sulle sue competenze matematiche. Quest’ultima considerazione ha causato in molti ricercatori la smania di «mandare alle elementari» ogni sorta di specie animale nel tentativo di saggiare le loro capacità. I macachi reso, per esempio, si sono rivelati dei buoni candidati. Se si nascondono due gruppi di quattro limoni dietro uno schermo e poi, togliendolo, appaiono quattro limoni invece che otto, i macachi guardano la scena più a lungo di quanto accada se il risultato è quello giusto, come se fossero sorpresi dalla «scomparsa» di quattro limoni e quindi in grado di avere una intuizione di cosa sia una somma corretta. L’esperimento dei ricercatori della Duke University è più elegante di quelli condotti precedentemente in quanto mostra delle scimmie in grado di sommare numeri interi rappresentati in una forma analogica abbastanza astratta. Se compiere una operazione aritmetica vuol dire saper manipolare delle configurazioni secondo certe regole, allora siamo davanti a scimmie che possono dirsi «matematiche». probabile che gli esseri umani, in cui sono state riscontrate capacità simili quando sono tanto piccoli da non avere ancora sviluppato il linguaggio verbale, condividano una sorta di matematica intuitiva di base con altre specie animali.  come se tale matematica elementare fosse parte del corredo cognitivo di cui sia le creature umane sia altri animali dispongono naturalmente. Questo genere di scoperte sconfesserebbe dunque l’idea secondo cui, per avere qualsiasi tipo di competenza matematica, occorre la facoltà di linguaggio. Abbiamo così scoperto un altro pezzo di noi stessi che condividiamo con gli altri animali, un pezzo appartenente a una regione, come quella matematica appunto, che finora ci era sembrata un fortino della specialità umana. Pietro Perconti