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 2008  gennaio 17 Giovedì calendario

Gaber e gli autoriduttori. La Repubblica 10 anni.  difficile far capire alla gente che questi autoriduttori non portano un messaggio rivoluzionario, ma fanno solo casino, impediscono di far politica attraverso lo spettacolo, e in più forniscono alla polizia l’alibi per Intervenire

Gaber e gli autoriduttori. La Repubblica 10 anni.  difficile far capire alla gente che questi autoriduttori non portano un messaggio rivoluzionario, ma fanno solo casino, impediscono di far politica attraverso lo spettacolo, e in più forniscono alla polizia l’alibi per Intervenire. A me non resta che cantare sotto scorta o andarmene». Al caffè all’antolo, a due passi dal teatro Trianon, Giorgio Gaber, severamente in blu, il viso pallido e affilato incorniciato dalla sciarpa di lana gettata casualmente sul giaccone alla marinara, è smarrito, nervoso, Incerto. Davanti al quarto caffè dei pomeriggio avverte subito che «per coerenza» non vuole rilasciare Interviste. Ma desídera parlare, raccontare, confrontarsi, chiedere un parere. «SI, mollo tutto. Questa sera me ne vado a Roma. E poi? Poi farò Il ragioniere. Per me va benissimo, ma è giusto per la gente che ha tutto il diritto d’andare ad assistere ad uno spettacolo?». Dopo Mestre (gli autoriduttori erano intervenuti e lo spettacolo era stato sospeso) e Padova la scorsa settimana (regolari spettacoli al Comunale sotto la discreta protezione della polizia), la compagnia sperava che a Roma le cose andassero diversamente. La scelta è caduta sul Teatro Trianon, nella città dormitorio dei Tuscolano, dove il basso costo dell’affitto del locale permetteva di contenere il prezzo del biglietto (2500 platea, 1500 galleria) e dove Gaber poteva presentare Il suo show politico: uno spettacolo nei contenuti estremamente corrosivo e contestatario, «alla sinistra dell’estrema sinistra», che distrugge in un’ironia disperata la Dc come il Pci e i gruppi. Nella forma sofisticata e smagliante con richiami ad Adorno, alla Scuola di Francoforte, a David Cooper (1), della «distruzione della famiglia». il punto d’approdo di un discorso iniziato anni fa quando Gaber cantava "Libertà é partecipazione", "castigando" allo stesso tempo gli atteggiamenti dei giovani studenti del bar dell’Università statale di Milano, ribattezzato il "bar Casablanca". Ma il tentativo è fallito. Gli autoriduttori penetrati discretamente la prima sera dopo un lungo pour-parler con Casellato, impresario di Gaber, sono intervenuti ancora più numerosi la sera successiva e con la chiara intenzione di distruggere lo spettacolo. Hanno letto un volantino ed esigevano, nonostante il tutto esaurito, posti a sedere anche per loro. Non ce l’hanno con Gaber per quello che esprime, ma pretendono di fare loro stessi lo spettacolo sul palcoscenico «perché gli stonati sono solo un’invenzione borghese». Ieri, poi, l’aut-aut della polizia: «Noi dobbiamo garantire l’ordine pubblico: qui ci sono stati tafferugli. Se Gaber vuole cantare, gli piaccia o non gli piaccia, noi dobbiamo presidiare il teatro». «Ed lo». conclude Gaber, «non canto protetto dalla polizia: torno a fare il ragioniere». (la Repubblica, Roma, 29 gennaio 1977) Tiziana Bottazzo