Il Manifesto 13 gennaio 2008, Valentino Parlato, 13 gennaio 2008
Commiato dal nido natale. Il Manifesto 13 gennaio 2008. Un trasloco è sempre una cosa seria. Specie se lasci un luogo dove hai vissuto e lavorato per 37 anni e ti ricordi che quando ci sei entrato avevi 40 anni e ora ne hai 77
Commiato dal nido natale. Il Manifesto 13 gennaio 2008. Un trasloco è sempre una cosa seria. Specie se lasci un luogo dove hai vissuto e lavorato per 37 anni e ti ricordi che quando ci sei entrato avevi 40 anni e ora ne hai 77. Se ricordi tutti gli amici e compagni con i quali hai cominciato a lavorare, che ti hanno diretto e insegnato e che ora non ci sono più, soffri di solitudine.Ma un trasloco può essere anche un rilancio di vitalità. Un proverbio, ottimista, recita: casa nuova, vita nuova. Certo 37 anni fa, abbiamo cominciato il 28 aprile del 1971, via Tomacelli era piuttosto diversa. Non c’erano la Ferrari, la Frau, palazzo Fendi. C’era però il Bar Antille, anche Settimio all’Arancio, l’indimenticabile Davide a Piazza dell’Oro e un gentile tabaccaio che mi dava le sigarette a credito dove ora c’è un gioielliere. E poi il palazzo. Era dell’Ina ancora non era arrivato Tronchetti Provera e fu Luciana Castellina a ottenere il contratto d’affitto. In quel palazzo negli anni ”50 c’era stata una sezione importante del Pci. Quando siamo arrivati noi del manifesto, ci abbiamo trovato la Voce repubblicana, l’Avanti!, alcuni uffici del partito socialista e arrivò anche Bettino Craxi con il quale ci incontravamo in ascensore. Al piano terreno dove adesso ci sono le poltrone Frau c’era una libreria socialista, che poi noi rilevammo perdendoci un sacco di soldi. Una volta abbiamo avuto un incontro con Craxi e io all’uscita sbattei la faccia contro una porta a vetri che non avevo visto. C’era anche un amministratore del Psi, con il quale sono ancora in ottimi rapporti, che ci scontava delle cambiali che poi abbiamo sempre pagato. Eravamo tutti sistemati al V° piano con due terrazze straordinarie, assolate e panoramiche. Eravamo tutti (quelli che siamo rimasti) più giovani. Chi eravamo? Accanto ai padri fondatori (del giornale e non del movimento), cioè Luigi, Rossanda, Aldo Natoli, Luciana Castellina e poi i giovanissimi (io ero una recluta recente e non più giovanissimo). C’era giovinezza d’età e di impresa, fiorirono anche gli amori. Al quinto piano c’era anche una doccia spesso usata nell’estate. E il tutto con molta allegria. Il giornale a quattro pagine si riempiva facilmente e un po’ di lavoro andava fatto sulle notizie a una colonna (più difficili delle articolesse) e sulle schede che avrebbero dovuto indottrinare i lettori. Allora il manifesto (come sono cambiati i tempi) costava la metà degli altri giornali e questo ci procurò il ringraziamento di Giulio Andreotti (così frenavamo l’ascesa della scala mobile). L’amministratore era Giuseppe Crippa, di Bergamo, bravissimo, ma che più sparagno non se ne poteva trovare un altro. Una volta per strappargli un anticipo mi sono sdraiato sul pavimento della stanza dell’amministrazione. Allora non c’erano i computer e tutti avevamo macchine da scrivere di seconda mano rimediate da Luciana Castellina e Filippo Maone. Mangiavamo panini oppure andavamo da Cesaretto (Luciano) che ci faceva credito o da Settimio all’Arancio e lì ci fu una prima divisione tra cesarettisti e orangisti. Ma il Cavalier Gino fu il primo (almeno mio) punto fermo, tanto che oggi sono andato dal Cavaliere per dirgli che ce ne andiamo e a salutare con ovvie promesse di farci rivedere. Dal Cavaliere se la sera andando a mangiare apparivo triste e inappetente non mi faceva pagare. Altri tempi viene da dire. E poi la tipografia sotto casa, a via del Grottino, ancora con il piombo e le linotype e i bossoli per la posta pneumatica per mandare i pezzi in tipografia. Uno di quei tipografi ancora mi vuole bene e spesso passa per portarmi un pacchetto di Marlboro. E poi, nel corso degli anni, ci furono anche la bomba del povero fascista salito in ascensore, qualche manifestazione di protesta contro di noi, i volantini blasfemi sull’auto del Papa che andava a Piazza di Spagna per la festa dell’Immacolata e tante altre cose allegre dalle quali dispiace allontanarsi. Un trasloco è sempre un’emigrazione, con il dolore di lasciare ma con la grande speranza di arrivare, di rinnovarsi. Da via Tomacelli a via Bargoni, ma Tomacelli chi era costui? Puzza di Vaticano, un Tomacelli (Pietro), napoletano diventò anche papa. Bargoni invece era un garibaldino di Cremona. Quindi? Quindi avanti con le camicie rosse. Comincia un nuovo tempo e la sfida è a tutti noi, ma soprattutto ai giovani, che ci sono e che non hanno voglia di mollare ma, soprattutto vogliono rinnovare. Rinnovare anche noi, i primi abitatori del manifesto a Via Tomacelli. Valentino Parlato