La Stampa 14 gennaio 2008, Maurizio Molinari, 14 gennaio 2008
I reduci dell’Iraq. La Stampa 14 gennaio 2008. Thomas Tiffany, studente, ucciso nella notte dell’ultimo dell’anno a sangue freddo in una strada di Arnold, Nebraska
I reduci dell’Iraq. La Stampa 14 gennaio 2008. Thomas Tiffany, studente, ucciso nella notte dell’ultimo dell’anno a sangue freddo in una strada di Arnold, Nebraska. La piccola Krisiauna Calaira Lewis, di appena 2 anni, con la testa schiacciata sul muro di casa in del Texas. La giovane Kimberly O’Neal, colpita a morte a distanza ravvicinata in un’abitazione dentro la base militare di Camp Pendelton, in California. Sono tre delle 132 vittime di violenze commesse da veterani delle guerre in Iraq e Afghanistan, rintracciati da un’indagine condotta del New York Times per documentare un fenomeno che non figura a tutt’oggi in alcuna statistica militare. Il Pentagono infatti non tiene il conto dei crimini commessi dai militari dopo aver lasciato la divisa. Sono stati dunque i reporter a ricostruire, Stato per Stato, 132 delitti relativi a 121 casi di omicidio e strage in cui hanno perso la vita 41 famigliari di soldati, 32 commilitoni e 59 altre persone, coinvolte tutte per caso in sparatorie, rapine ed altri atti di violenza. I responsabili hanno in comune il fatto di essere stati esposti in combattimento a situazioni di "forte stress", come spiega Robert Jay Lifton, docente di psichiatria della Medical School di Harvard, e provengono soprattutto dall’esercito (76) e dai marines (37) perché sono queste due armi ad aver sottoportato il maggiore sforzo nell’affrontare gli attacchi della guerriglia in Iraq e in Afghanistan. Solo in 8 casi i responsabili provengono da altri reparti. L’Iraq comunque pesa più dell’Afghanistan: i veterani trasformatisi in killer sono stati in gran parte impiegati nell’operazione Iraqi Freedom (108) rispetto a Enduring Freedom (13). Ciò che colpisce è come tre quarti dei veterani fossero ancora sotto le armi al momento di commettere l’omicidio, che dunque ha avuto come vittime parenti o commilitoni. Più della metà ha ucciso con armi da fuoco mentre in alcuni casi si è trattato di accoltellamenti, percosse, strangolamenti o affogamenti nella vasca da bagno. Sono inoltre 25 i militari arrestati per omicidio per aver causato gravi incidenti stradali guidando ubriachi oppure con intenti suicidi. Ne esce il ritratto di un fenomeno esteso sull’intero territorio nazionale, frutto di esperienze spesso molto dure fatte su un campo di battaglia senza confine, dove il nemico può essere qualsiasi civile che si incontra per strada. Seth Strasburg, di Arnold in Nebraska, è stato condannato ad una pena fra i 22 e 36 anni di carcere per l’assassinio di Thomas Tiffany, il 31 dicembre 2005, e quando è stato interrogato ha raccontato lo shock subito allorché, nel 2004, si trovò per la prima volta ad uccidere ad un posto di blocco in Iraq. Un civile iracheno aveva in mano un grande sacco, i militari americani temettero che fosse pieno di esplosivo e Strasburg fece fuoco uccidendolo, per poi verificare che dentro il sacco non c’era nulla di pericoloso. Il trauma di Strasburg era evidente a tutti, tornò in patria e il suo ufficiale - poi ucciso in Iraq - fece richiesta di farlo accettare in un centro di cura ma ciò non avvenne. Strasburg non riuscì a reinserirsi e la notte dell’ultimo dell’anno, ubriaco ed armato, fece fuoco contro il giovane Thomas forse immaginando che dietro quel civile si nascondesse un terrorista. Simile la storia di Matthew Sepi, tornato dopo lunghi mesi di pattuglia nelle zone infestate dalla guerriglia in Iraq, che nel 2005 si mise alla guida di una macchina carica di armi da fuoco e cartucce di ogni calibro - quasi fosse un blindato - sparando a zero contro due persone incontrate per caso, una delle quali poi è morta. Episodi del genere avvennero anche dopo il Vietnam ma all’epoca il Pentagono teneva il conto di tali violenze, mentre oggi sono i singoli psicologi di Stati, città e centri di cura a occuparsi di un fenomeno di dimensioni nazionali nel quale rientrano casi come quello di Noah Gamez, 21 anni, che entrato per caso con la propria auto nel parcheggio di un hotel di Tucson, in Arizona, è stato ucciso dai colpi sparati all’improvviso da un veterano dell’Iraq che si sarebbe poco dopo suicidato alla periferia di San Diego, in California. Procuratori e avvocati, come Brockton Hunter di Minneapolis, chiedono "strumenti per aiutare i veterani nel reinserimento sociale anche per evitare che commettano gravi crimini". Proprio sulla base di tale motivazione i parenti di alcune vittime - come quelle causate dal soldato Lucas Borgers, Camp Lejeune, in North Carolina - hanno fatto causa allo Stato, chiedendo i risarcimenti al Pentagono per non essere riuscito a prevenire gli omicidi commessi da veterani. Maurizio Molinari