Corriere della Sera 14 gennaio 2008, Massimo Gaggi, 14 gennaio 2008
Le big three tentano il recupero. Corriere della Sera 14 gennaio 2008. Ripetuti crolli delle vendite, l’umiliante sorpasso da parte della Toyota, decine di miliardi di dollari di perdite, la Chrysler praticamente regalata dai tedeschi di Daimler al fondo Cerberus
Le big three tentano il recupero. Corriere della Sera 14 gennaio 2008. Ripetuti crolli delle vendite, l’umiliante sorpasso da parte della Toyota, decine di miliardi di dollari di perdite, la Chrysler praticamente regalata dai tedeschi di Daimler al fondo Cerberus. Difficile immaginare per le Big Three di Detroit un 2007 più nero. Salvo che il 2008, cominciato coi nuovi record del petrolio e lo spettro di una severa recessione, per l’industria Usa dell’auto rischia di essere ancora più drammatico. Non che General Motors, Ford e Chrysler stiano aspettando passivamente l’ineluttabile estinzione: le loro iniziative sono efficaci, anche se spesso sono state criticate. Ford ha ad esempio dovuto assumere un manager dell’industria aeronautica e dargli uno stipendio di 28 milioni di dollari per trovare qualcuno con il coraggio di chiudere la metà degli stabilimenti e tagliare la manodopera in eccesso. Il riassetto della Chrysler è invece affidato a Bob Nardelli, ex uomo dei supermercati Home Depot. Uno che, comunque, si sta muovendo molto rapidamente. General Motors è quella più avanti nel riassetto: ha tagliato i costi di ben 9 miliardi di dollari, ha raggiunto un accordo coi sindacati che riduce drasticamente gli oneri sanitari che gravano sul gruppo, ha chiuso gli impianti inefficienti e lanciato nuove vetture – dalla Chevrolet Malibu alla Cadillac Cts – che per gli americani saranno le «regine» del Salone di Detroit. Rick Wagoner, il manager-dinosauro che resiste da otto anni alla guida del gruppo automobilistico nonostante le ripetute crisi, è riuscito perfino ad azzerare – o quasi – il gap di produttività rispetto alle migliori fabbriche aperte dai giapponesi negli Usa: il maggior costo di fabbricazione di una vettura Gm rispetto ad un analogo veicolo di un produttore asiatico, che era di 1500 dollari, è ormai ridotto a meno di 200. Ma, appena Wagoner ha rimesso la casa in ordine, le sue mura sono state scosse dal terremoto della congiuntura: non solo petrolio alle stelle e recessione, ma anche crisi dei mutui che sta chiudendo i rubinetti del credito, quelli che alimentano anche l’acquisto di auto. Così, per la prima volta da 10 anni, gli analisti prevedono che le vendite nel mercato Usa scendano al di sotto dei 16 milioni di veicoli. Prima di cogliere i frutti della ristrutturazione, insomma, le Case di Detroit dovranno fare un’altra «traversata del deserto». Che, oltre alle difficoltà di tipo produttivo e di mercato, per la prima volta è resa molto rischiosa anche dall’estrema fragilità finanziaria delle società dell’auto. Gruppi che hanno ancora una discreta riserva di liquidità per gli investimenti e far fronte alle emergenze, ma hanno ormai una capitalizzazione minuscola: dopo una serie di continue cadute del titolo, il mercato oggi attribuisce, ad esempio, all’intero gruppo Gm un valore di 13,5 miliardi di dollari. La Microsoft, tanto per fare un paragone, vale venticinque volte di più. MASSIMO GAGGI