La Stampa 13 gennaio 2008, Marco Tosatti, 13 gennaio 2008
Ma chi scrive i discorsi del Papa? La Stampa 13 gennaio 2008. Chi scrive i discorsi al Papa? E chi li legge, prima che Benedetto XVI li pronunci? Il «caso» nato dalle critiche pesantissime rivolte agli amministratori di Roma non è unico; basti pensare a Ratisbona (con la citazione su Maometto che incendiò il mondo islamico) e ad Auschwitz con la parola «Shoah» aggiunta in extremis
Ma chi scrive i discorsi del Papa? La Stampa 13 gennaio 2008. Chi scrive i discorsi al Papa? E chi li legge, prima che Benedetto XVI li pronunci? Il «caso» nato dalle critiche pesantissime rivolte agli amministratori di Roma non è unico; basti pensare a Ratisbona (con la citazione su Maometto che incendiò il mondo islamico) e ad Auschwitz con la parola «Shoah» aggiunta in extremis. Oppure al Brasile, dove fu accusato di aver omesso il lato oscuro della conquista. Ma probabilmente l’attacco alla giunta capitolina - forse senza precedenti, nella storia delle udienze pontificie - merita un’attenzione particolare. In genere la bozza del discorso a Roma, Regione e Provincia, parte dal Vicariato. Vicario del Papa per la città di Roma è, ancora per qualche mese (pare che il cambio avverrà a giugno), il cardinale Camillo Ruini. Non è un mistero per nessuno che i rapporti del porporato con la Segreteria di Stato non sono particolarmente idilliaci. Fra l’altro è in pieno svolgimento la battaglia per la successione a «don Camillo»; che vorrebbe monsignor Betori al suo posto. E’ probabile invece che ad aiutare il Papa vada Agostino Vallini, Prefetto della Segnatura, o Angelo Comastri, Arciprete della basilica vaticana, entrambi più vicini al cardinale Bertone. Ed entrambi, a differenza di Ruini, poco «interventisti» in politica. Quindi una prima lettura dell’avvenimento porterebbe a identificare nel Vicariato l’origine delle critiche, tanto più imbarazzanti in quanto oltre che sindaco di Roma Veltroni è leader del Pd. Di sicuro il primo cittadino della capitale l’ha presa male. Ha disdetto la sua partecipazione a un dibattito - il pomeriggio stesso dell’udienza - alla Radio Vaticana. E ha fatto pressioni perché ci fosse una correzione ufficiale. E questa lettura vede l’intervento della Segreteria di Stato per smussare l’impatto, con una mossa assolutamente irrituale. Non è normale che la Sala Stampa vaticana esprima «meraviglia» per la «strumentalizzazione politica» delle parole del Pontefice, e arrivi a precisare che «non era certo intenzione del Papa sottovalutare l’azione sociale» che gli amministratori locali stanno compiendo «con apprezzabile impegno». un gesto straordinario, probabilmente da attribuire all’iniziativa dello stesso Bertone, che dopo la partenza di Ruini dalla Cei ha avocato a sé completamente l’onore e l’onere del rapporto con il mondo politico italiano; così come lo è il suggerimento a Benedetto XVI di inserire - come è stato fatto in un’udienza giovedì scorso - parole di elogio per la «collaborazione delle autorità che hanno cura di rendere la città di Roma sempre più bella e accogliente». Se il «caso Roma» può inserirsi in un contesto di lotta di potere fra due organismi quali Segreteria di Stato e Vicariato, ci sono però altri risvolti che vedono centri di potere meno visibile, ma ben radicato e influente. I discorsi del Papa cadono (in Vaticano) sotto la responsabilità dell’arcivescovo Paolo Sardi, di cui si dice che abbia tempo fa respinto una nomina cardinalizia, per non lasciare quel posto oscuro ma di grande potere alla terza loggia. Una delle «eminenze grigie» - come monsignor Carlo Maria Viganò, Delegato per le rappresentanze pontificie, affiancato anche da suo nipote, monsignor Polvani -, che per la loro posizione consolidata all’interno della Segreteria di Stato godono di grande indipendenza e autonomia. Caratteristiche che rendono più difficile il controllo della «macchina» da parte sia del Segretario di Stato, sia del nuovo Sostituto alla Segreteria di Stato, il nunzio Fernando Filoni. Non a caso è atteso l’arrivo di un salesiano, don Enrico dal Covolo, come nuovo capufficio nella «stanza dei bottoni» del piccolo Stato. Marco Tosatti