Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  gennaio 13 Domenica calendario

Quant’è civile il caos italiano. La Stampa 13 gennaio 2008. Peduzzi lei è direttore da sei anni di Villa Medici, l’Accademia di Francia, i suoi predecessori furono illustri artisti che vanno da Ingres a Balthus

Quant’è civile il caos italiano. La Stampa 13 gennaio 2008. Peduzzi lei è direttore da sei anni di Villa Medici, l’Accademia di Francia, i suoi predecessori furono illustri artisti che vanno da Ingres a Balthus. «Mi sono domandato a lungo cosa vuol dire la Villa Medici. E’ un luogo singolare, antico, di una bellezza estrema e direi anche pericolosa. E’ sopra la bellissima città di Roma che si vede dall’alto, una città complicata e profonda. Ho sempre pensato che Roma sia la città più verticale del mondo, più la scavi e più è profonda». Ma che cos’è in realtà la Villa Medici? «E’ un museo, è una galleria di esposizioni. Del resto il 28 gennaio inauguriamo la Mostra dell’artista Giuseppe Penone. Ma ci sono anche dei concerti, mostre di arte contemporanea, conferenze. E’ un luogo dove si mostra, dove si mette in scena e dove si crea, si lavora. La mia preoccupazione è di aprire questo luogo il più possibile agli italiani, non voglio che sia semplicemente un convento chiuso». Per la Francia la cultura ha sempre un ruolo centrale secondo lei? «Certo, gli artisti sono la guida di ciò che succede domani. Un luogo come la Villa Medici rappresenta la cultura francese ma anche quella italiana. L’Italia è uno dei paesi più civili del mondo malgrado il suo caos. L’Italia ricade sempre in piedi perché è un paese da perdere la testa, ho arricchito la mia cultura qui in Italia e scopro sempre qualcosa di nuovo, è la sorgente di ogni ispirazione». Il suo vero lavoro è quello di scenografo? «E’ un pretesto, un mestiere che ha in sé pittura, musica, architettura. Ho appena realizzato la scenografia per il Tristano e Isotta alla Scala con la regia di Chéreau. Lavorare sul Tristano è lavorare sulla mitologia, renderla contemporanea, mescolare il quotidiano e l’infinito, è un modo di dipingere, è essere architetto». Con Chéreau lavorate insieme da più di quarant’anni? «Si dall’inizio, ci unisce la nostra differenza. Siamo complementari e la nostra amicizia è cresciuta con il lavoro. C’è stato un rapporto così tra Luciano Damiani e Strehler ma poi si sono lasciati. Chéreau ed io ci appoggiamo mutualmente». Adesso lavorerà a Torino al Museo del Risorgimento con il Professor Levra che è il direttore del Museo. Cosa farete? «Rifacciamo tutto il museo, la scenografia, i mobili, le luci, c’è una gamma straordinaria in ogni stanza, qualcosa di diverso. E’ un museo di storia e bisogna mostrare quel periodo nel modo più chiaro e semplice possibile». Lei ha lavorato al Grand Palais, al Louvre, a Siviglia, all’Opera a Parigi? «Si, sempre con questo concetto, sempre mettendomi al servizio dei visitatori e degli spettatori». Si sente un artista? «L’uomo è un artista, siamo tutti artisti. La cosa più importante per me è disegnare bozzetti, spazi, luoghi, mi piace il mio lavoro perché mescolo molte arti tra cui anche scrivere. Io faccio il direttore di Villa Medici, non solo come un mestiere amministrativo ma con coerenza artistica. E’ impressionante pensare che persone come Ingres e Balthus abbiano diretto quel luogo prima di me». E Torino, la storia d’Italia? «Mi interessa molto, la mia famiglia è originaria del Piemonte, sento a Torino qualcosa che mi riporta alle origini. La prima città che ho conosciuto in Italia è stata Susa dopo il Moncenisio. Andavo in vacanza a Como con la mia famiglia e a passeggio a Torino con i miei nonni, poi ho scoperto la letteratura italiana e amo sempre Pavese. Adoro la città di Torino, Juvarra, Guarino Guarini, credo che sia una grande città con un’organizzazione formidabile delle strade, tento sempre di fare un paragone con l’America, Roma, Torino e New York. Amo i colori di Torino, il cielo e le montagne, amo enormemente Giuseppe Penone, un artista che trovo che sia uno dei maggiori contemporanei, e come ho detto sta allestendo una mostra per noi alla Villa Medici». Lei quali progetti nuovi ha? «Una Tosca al Metropolitan a New York nel 2009, poi Tristano e Isotta alla Scala per una ripresa e il Museo che deve essere pronto nel 2011 per celebrare il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia». Tornerebbe in Francia? «Si, ho il mio appartamento a Parigi ma penso che potrò andare anche a Vienna e in Germania, mi piace cambiare ma adoro soprattutto l’Italia. Amo moltissimo Parigi ma non capisco bene cosa succede là, ma non è Parigi in questo momento dove preferisco stare perché manca un’energia. In Italia anche se c’è caos politico si combinano molte cose. Spero che l’era Sarkozy in Francia ci porti verso qualcosa. Per un vecchio mondo che se ne va spero in un nuovo mondo. Non posso fare a meno di Parigi, così come non posso fare a meno di Roma». Perché Vittorio Sgarbi l’ha attaccata per il suo Tristano e Isotta? «Dice che il mio è un teatro comunista. Io ho detto no, in quanto i miei riferimenti sono Mantegna e Piero della Francesca, e non c’entrano niente il comunismo o il muro di Berlino». Alain Elkann